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ROBERTO PFEIL/AFP/Getty Images
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Centrodestra, prove tecniche di masochismo

Quella frase di Matteo Renzi, gettata là, in una conversazione con un amico, sembrava un omaggio al tatticismo.

"Non abbiamo portato lo "ius soli" in aula al Senato" spiegava il segretario del Pd in quella circostanza "anche perché, sia in caso di vittoria, sia in caso di sconfitta avremmo dato una tribuna a Salvini. E gli avremmo dato la possibilità di crescere a scapito di Forza Italia".

In realtà quest'analisi, a prima vista contraddittoria, risponde a una vera e propria strategia: anche gli avversari hanno capito che dentro il centrodestra la competizione tra i diversi soggetti della coalizione alle elezioni politiche rischia di essere foriera di grossi guai, per cui spingono su quel tasto. C'è una sorta di sindrome da autosufficienza, infatti, che ha contagiato Matteo Salvini e, per alcuni versi, anche Georgia Meloni.

Un atteggiamento che li porta a privilegiare il risultato del partito a quello della coalizione e, come conseguenza, a far prevalere i distinguo e le differenze nel rapporto con gli alleati rispetto alle posizioni comuni.

Per cui all'orizzonte comincia a profilarsi un pericolo tutt'altro che peregrino: giocando sulla propria autosufficienza, i partiti del centrodestra rischiano di non rendere autosufficiente la coalizione.

La logica dei leghisti e di Fratelli d'Italia discende, soprattutto, da una previsione sbagliata e da una presa d'atto: sia Salvini, sia la Meloni, da un anno davano per scontato il tramonto di Silvio Berlusconi, per cui puntavano, tra una polemica e una riconciliazione, ad assorbire l'elettorato di Forza Italia; ora il ritrovato dinamismo del Cav e la centralità degli azzurri, ha mandato all'aria quel processo che consideravano irreversibile, e ha scompigliato i loro piani.

Piani, diciamoci la verità, che si basavano su un paradosso: al di là delle fumisterie e delle elucubrazioni politiciste, per vincere il centrodestra ha bisogno che Forza Italia raggiunga almeno il 20 per cento (ed è un calcolo per difetto); ostacolare o, peggio, sabotare un obiettivo del genere, significa mettere a repentaglio il successo dell'alleanza.

Per cui se Salvini, e in misura minore la Meloni, non asseconderanno il Cav, delle due l'una: o stanno commettendo un errore madornale, o non puntano a vincere.

Per essere più chiari, convinti che questa legge elettorale non dia chance di vittoria a nessuno, danno l'impressione di pensare più al risultato del loro partito, che non a quello della coalizione.

C'è, insomma, in embrione, una sorta di masochismo che somiglia in qualche modo, sia pure con conseguenze meno letali, a quello che sta andando in scena a sinistra.

I segnali di una simile "involuzione" non mancano. I "niet" di Salvini ai tentativi di allargare il campo della coalizione al centro: prima il "no" ai reduci di Scelta Civica, poi quello a Flavio Tosi.

E ancora, se per la coalizione il leader leghista ha scelto uno schema "non inclusivo", per la Lega, invece, è tutto il contrario: si è già visto alle elezioni siciliane l'apertura alla destra; e, ora, per le politiche, Salvini punta a ripetersi, aprendo le porte ai superstiti di Alleanza Nazionale.

E, altra contraddizione, la disponibilità verso Gianni Alemanno e soci, cozza con il trattamento brusco che il leader leghista sta riservando a Umberto Bossi, accusato di filo-berlusconismo.

"A volte Salvini non lo capisco proprio" conferma il capogruppo dei senatori leghisti, Gian Marco Centinaio. "Se lui apre agli ex-An, scelta che considero un errore, non può, poi, fare lo schizzinoso sugli alleati di Berlusconi".

La prova del nove si avrà quando si arriverà alla scelta delle candidature per i collegi uninominali: se Salvini non si farà carico anche delle esigenze dell'ala centrista dello schieramento, vorrà dire che ha maturato l'idea che per lui arrivare al governo del Paese ha un senso, solo come conseguenza del suo successo personale, in quella sorta di primarie in cui si sono trasformate le elezioni politiche dentro il centrodestra.

"Non penso che sia così" è il commento laconico di Paolo Romani, "ma se Salvini non vuole governare, vorrà dire che governeremo con altri".

Appunto, sarebbe il caso che tutti riacquistino l'uso della ragione, prima che sia troppo tardi.

Questo articolo è uscito sul numero 51/2017 di Panorama, con il titolo: "Prove tecniche di masochismo"

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