Il cervello: quali malattie lo colpiscono e come mantenerlo giovane
Il cervello: il luogo dei pensieri e delle decisioni. Se non funziona, la nostra vita è solo meccanica, senza anima. Battiti senza sentimenti, routine senza nulla che renda la vita bella, piena, degna di essere vissuta.
Ecco perché è così importante tenerlo in salute, preservarlo, curarlo e lavorare ogni giorno affinché possa invecchiare nel miglior modo possibile.
Anche in tempi come quelli che stiamo vivendo, con la vita frenetica che ci insegue, lo stress che ci tormenta e il poco tempo che riusciamo a ritagliarci per camminare, viaggiare, mangiare in modo sano, vedere gli amici, fare attività sociale, dormire per il giusto numero di ore, svolgere insomma tutte quelle attività che consentono al nostro cervello di rimanere in salute.
Le patologie cerebrali, infatti, sono in grande crescita e per la prima volta nella storia hanno superato come incidenza quelle cardiache. Un “sorpasso”, quello del cervello sul cuore, che non era mai successo prima: soffrono di problemi neurologici il 43% della popolazione mondiale, qualcosa come 3,4 miliardi di persone, e secondo i calcoli della World Stroke Organization entro il 2050 il numero di persone che potrebbero morire di ictus aumenterà in modo significativo e ciò potrebbe riguardare anche i soggetti al di sotto dei 55 anni di età.
In occasione della Giornata Mondiale del Cervello che ricade oggi, lunedì 22 luglio, abbiamo intervistato il professore Paolo Calabresi, Ordinario di Neurologia all’Università Cattolica, Campus di Roma, e Direttore dell’UOC di Neurologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS.
Professor Calabresi, quali sono le patologie neurodegenerative, e perché sono in così grande crescita?
Sono un gruppo di malattie, come la malattia di Parkinson, di Alzheimer, la sclerosi laterale amiotrofica e altre condizioni nelle quali non si può ritrovare un inizio improvviso come uno stroke, ma una lenta manifestazione di sintomi che spesso nella fase iniziale vengono sottovalutati, ma che con il tempo diventano importanti e condizionano fortemente sulla vita del paziente. Nelle fasi tardive e conclamate sono malattie che limitano le attività cognitive, motorie, relazionali: è importantissimo quindi che ci sia da parte dei medici e dei neurologi uno sforzo di diagnosi sempre più precoce.
Per molte di queste malattie non abbiamo farmaci che possano completamente cambiare il decorso o bloccare la malattia, ma abbiamo approcci terapeutici che possono rallentare la progressione. E la ricerca nei prossimi anni ci fornirà verosimilmente armi più specifiche.
Quanto sono diffuse, oggi?
Si calcola che globalmente, nell’età avanzata, almeno il 10% della popolazione mondiale potrebbe essere interessata da questi problemi.
Nel nostro Paese, negli anni scorsi l’incidenza dell’ictus sembrava essersi stabilizzata o addirittura ridotta, e questo grazie alla prevenzione primaria e secondaria, alla dieta, al fatto che si prescrivono più farmaci per ridurre i livelli di colesterolo e più farmaci contro l’ipertensione. Recentemente, purtroppo, i pazienti con malattie cerebrovascolari sembrano nuovamente in crescita: vediamo molti casi di stroke anche in persone relativamente giovani. Questo è dovuto sia all’aumento dell’età della popolazione, all’obesità, al poco movimento fisico, ma anche ad altri fattori: vi sono fasce di popolazione che per motivi di impoverimento economico non riescono più a curarsi in modo adeguato. Inoltre, tutto il mondo occidentale è divenuto multietnico e nelle varie popolazioni i fattori di rischio e la vulnerabilità alle malattie cerebrovascolari possono essere molto diversi”.
Come si fa a fare diagnosi precoce?
Abbiamo diversi strumenti, tra i quali alcuni biomarcatori molecolari, altri marcatori che derivano dalla PET e dallo studio dei traccianti della dopamina. Sono strumenti costosi e non disponibili in tutti i centri, ma da conoscitore del mondo della neurologia del nostro Paese, posso dire che in quasi tutti i centri ci sono ottimi neurologi: e questa cultura italiana della prevenzione e della diagnosi precoce ben diffusa nel territorio si rivela un buon “corpo di guardia” per queste malattie.
Senza fare classifiche a tutti i costi, possiamo dire se tra queste malattie ce n’è una per la quale ci si aspetta una crescita maggiore delle altre, nei prossimi anni?
La malattia di Alzheimer è stata classicamente la malattia più diffusa, anche perché è legata all’invecchiamento e l’età della popolazione europea si innalza ormai da molti anni. Però la malattia di Parkinson, per una serie di ragioni legate anche all’aumento del rischio dopo grandi epidemie, sta purtroppo crescendo molto come incidenza e nei prossimi anni potrebbe condividere gli stessi numeri dell’Alzheimer.
E’ importante che tutti gli stakeholder, la politica, le associazioni, programmino un futuro del nostro sistema sanitario in grado di fronteggiare questo incremento, che sarà inesorabile nei prossimi anni.
Di fronte a una diagnosi di Parkinson o di Alzheimer, quali sono oggi le aspettative di vita e di qualità della vita stessa?
Una diagnosi di questo tipo è sempre un dramma, per la persona che la riceve e per i familiari. Tuttavia, dobbiamo noi neurologi essere in grado anche di fornire una prospettiva dopo una diagnosi che può incidere pesantemente in un’organizzazione familiare, in un’aspettativa di vita.
Dobbiamo guidare la famiglia a organizzarsi in modo adeguato, a curare quelli aspetti comportamentali che possano non far pesare ulteriormente sul paziente la disabilità
L’attività fisica è fondamentale, lo stare insieme, combattere la solitudine, formare un gruppo di assistenza qualificata.
In generale,la salute del corpo influenza la salute della mente? Curare il fisico può aiutare il nostro cervello?
Certamente sì. Basti pensare che quando c’è un problema fisico-corporeo, uno stato infiammatorio dovuto a varie cause somatiche, si osserva anche un comportamento che porta al ritiro sociale, ad evitare di vedere gli altri: questo è un atteggiamento quasi arcaico che è presente anche negli animali.
E’ un meccanismo di prevenzione, perché isolandosi si evita che venga contagiata la comunità che è intorno al soggetto. Questo meccanismo viene attivato presumibilmente da alcune citochine, messaggeri dell’infiammazione, che agiscono sul cervello e che lo portano al ritiro sociale e al rallentamento delle attività. Condizioni di malessere generale possono influenzare la prontezza cognitiva e la capacità di vivere una vita normale. Ricordiamo però che ci sono anche citochine anti infiammatorie, che hanno un ruolo benefico sul cervello e regolano gli stati cognitivi.
Quanto è importante il movimento, per la prevenzione e anche la cura delle patologie neurologiche?
E’ importantissimo. Prendiamo per esempio la malattia di Parkinson: quando viene posta la diagnosi, è sempre bene proporre al paziente di svolgere un’efficace attività motoria, camminare all’aria aperta, perché studi preclinici e clinici hanno dimostrato che l’attività motoria sostenuta ha un effetto benefico enorme sull’andamento della malattia, riducendone addirittura la progressione.
Camminare almeno tre volte alla settimana aiuta i pazienti tanto quanto i farmaci che noi neurologi andiamo a prescrivere. Occorre una grande campagna di sensibilizzazione al riguardo.
Quali sono al momento le cure più avanzate e quali i trial di ricerca particolarmente promettenti?
Abbiamo un approccio clinico sperimentale con la cosiddetta immunità passiva: introdurre nell’organismo degli anticorpi che siano in grado di bloccare l’attività deleteria di due proteine fondamentali, importanti rispettivamente nella malattia di Alzheimer, e cioè la beta-amiloide o nella malattia di Parkinson come l’alfa-sinucleina, che quindi abbiano l’obiettivo di ridurre la progressione se non la regressione completa della malattia. Questa strada, tuttavia, per ora non è un’autostrada aperta, ma una via piena di ostacoli. Spesso l’aspettativa per questi farmaci è superiore a quello che poi si riscontra in clinica e il loro funzionamento spesso non è sufficiente. Penso che dovremo nel futuro riuscire a combinare -come già si fa in oncologia- diversi farmaci che siano in grado insieme di fronteggiare la complessità di queste patologie
I dati ci dicono che il 12% degli ictus nei giovani, nel mondo occidentale, sia imputabile alle droghe. Ma anche alcool e diete rigide possono influire, in generale, sullo stroke e sulle patologie neurologiche?
Sì, certamente. La cocaina, per esempio, aumenta i fattori di rischio di stroke emorragico ed ischemico perché può causare vasocostrizione e vasodilatazione, ma anche l’uso eccessivo di alcool è deleterio. Ma i problemi arrivano anche dai bassi livelli di vitamina B-12: uno studio molto importante che ha seguito 48mila persone per 18 anni ha dimostrato infatti che il rischio di ictus -in chi rifiuta carne, pesce e derivati- è superiore del 20% rispetto alla popolazione generale. In generale, possiamo dire che questo tipo di regime dietetico, specie se molto stretto, pone l’organismo in una situazione di sofferenza metabolica. Una dieta vegana rigida porta a uno squilibrio energetico e metabolico, e quindi può causare anche neuropatie periferiche, disturbi midollari e problemi cognitivi.
Qual è l’importanza di una nutrizione equilibrata?
Molto significativa. Un’alimentazione corretta, che comprenda anche un giusto apporto di proteine, soprattutto per gli anziani, è importantissima. Proprio gli anziani infatti vanno spesso incontro a un processo di sarcopenia, cioè di riduzione della massa muscolare perché non si nutrono in maniera adeguata.
Riguardo ad alcune malattie neurologiche, alcuni studi hanno suggerito che hanno vi è una correlazione con l’IMC (indice di massa corporea), ossia al peso. Fino ai 65-75 anni è bene mantenere peso corporeo e circonferenza addominale contenuti, con IMC idoneo. Dai 75 anni in poi, invece, meglio evitare perdita di massa muscolare e deperimento, con un IMC un po’ più elevato, in grado di proteggere da eventuali danni cerebrali. Le ricerche scientifiche sull’uomo hanno individuato la dieta mediterranea come protettiva contro il declino cognitivo.
TUTTE LE NEWS DI SALUTE
In occasione della giornata mondiale del cervello, l’IRCCS ISMETT-UPMC,, centro di eccellenza nel settore dei trapianti(nato dalla partnership internazionale fra la Regione Siciliana e UPMC, University of Pittsburgh Medical Center) e punto di riferimento nel bacino del Mediterraneo lancia un nuovo progetto, finanziato con il 5x1000, sul mantenimento delle funzioni neuro cognitive per i pazienti trapiantati.Si tratta di una brochure, dal titolo “Il cervello in salute. Le regole per mantenerlo attivo e prevenire le demenze”che verrà presentata oggi ai pazienti e che intende aiutarli anche con una serie di quiz ed esercizi sviluppati appositamente per tenere allenata la mente. Nell’ambito delle malattie neurologiche, infatti, quello dei trapianti è un setting ideale per le attività di brain health, in quanto i pazienti spesso subiscono un deterioramento cognitivo che a sua volta li squalifica per ricevere trapianti. Il progetto punta, quindi, a trasformare l’attesa del trapianto in attesa attiva, puntando a intervenire sullo stile di vita del paziente anche per il post-intervento: "I pazienti affetti da malattie di organi come cuore, polmoni, fegato, rene e pancreas” spiega la dottoressa Enza Lo Re, responsabile del servizio di neurologia di ISMETT-UPMC “possono manifestare problematiche neurologiche, sia come complicanze della malattia, sia come comorbidità che prescinde dalla malattia. Inoltre, spesso hanno un’età avanzata e possono essere affetti da patologie neurologiche correlate all’età, come il declino cognitivo.
Importantissimo, soprattutto per loro (ma non solo) imparare il prima possibile come tenere allenata la mente, equali buone pratiche di vita quotidiana adottare per ritardare il più possibile il declino del cervello.
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