Tecnologia
January 08 2023
da Las Vegas
Il Ces è uno di quegli amori tossici che non si riesce a scrollarsi di dosso, una trappola spalancata di fronte ai piedi, in cui ci si butta dentro comunque di proposito. Un richiamo suadente e pericoloso, a cui si finisce comunque per rispondere sì, dopo essersi ripromessi che non ricapiterà, sarà l’ultima volta e poi basta. Io ci sono ricascato, eccome. Continuo a farlo per qualche irrisolta tendenza di sadismo: quella che si chiude oggi, per me, è la dodicesima edizione.
Sia chiaro, la fiera della tecnologia più importante al mondo, organizzata puntualmente a inizio anno a Las Vegas (pandemie permettendo), è una giostra di annunci e novità senza argine per gli appassionati del settore. L’antipasto di un futuro inevitabile per chi dovrà, comunque, subirne le propaggini. Ma per il cronista che deve viverla e raccontarla, assomiglia di più a una spirale di ansie, a un incubo logistico, a un incastro impossibile da realizzare pur possedendo il dono dell’ubiquità elevato all’ennesima potenza.
Gli espositori sono oltre tremila, significa che se ne hai smarcati un centinaio non hai nemmeno cominciato. Che sei parziale, pigro, incompiuto, in ritardo. «Hai visto il sensore che se ci fai la pipì sopra ti dice come stai? Funziona davvero? Provalo!» ti dicono. «Sto una chiavica, stordito dal fuso orario, martellato dall’insonnia, direi che posso esimermi dalla minzione» verrebbe da rispondere. «Ma della barca volante che ne pensi?»; «Ti avverto, c’è l’auto che ti avverte se hai dimenticato il bambino dentro». «Mi raccomando, prima lo schermo che si accorcia e poi la tv che si piega!» incalzano i tuoi referenti, perfettamente consapevoli del tenore della conversazione, tra il paradossale, l’imbarazzante e l’improbabile. È tutto vero. È il Ces.
Per rendere il nomadismo ancora più croccante, con un piglio da torturatori, gli organizzatori hanno avuto la geniale trovata di disperdere la manifestazione in siti plurimi, ufficiali e meno, segnalati sulla mappa o precipitati in un buco nero: il Convention Center con le sue tante aree (nella foto d'apertura), la parte esterna del medesimo, i vari luccicanti hotel della Strip, la strada principale di Las Vegas. E poi, sul serio, parcheggi di fronte a una grande catena d’abbigliamento con tendone con logo svolazzante; centri congressi più minuti della sede principale; suite introvabili e sconosciute a qualunque addetto alla reception; locali notturni, probabilmente la casa di qualche ingegnere, la dependance della villa di un Ceo, la nostra stessa stanza, a nostra insaputa. Ogni spazio è un avamposto d’avanguardia, un presidio per guardare oltre, dove provare a raccontarsi come innovatori.
Il panico, così, regna incontrastato. Come quando ti ciondoli tra un distributore di casse subacquee e l’inventore di un microfono per il metaverso che ricorda una museruola, tanto al tuo prossimo appuntamento mancano 25 minuti abbondanti. Sei convinto che l’incontro sia lì vicino, lo stand di quell’azienda è sempre stato lì.
Sei un ingenuo, un principiante, un illuso speranzoso: al Ces, mai dare nulla per scontato. È allora che verifichi per scrupolo, non si sa mai. Così scopri che stavolta, maledetti, si sono spostati all’Aria, albergo agli antipodi della tua posizione. Nemmeno al più vicino The Venetian, la finta laguna con il campanile in miniatura e i gondolieri in divisa che remano dentro il centro commerciale. Se tutto va bene, ci vogliono quaranta minuti per arrivare all’Aria. La stessa che, dall’ansia, ti manca.
Non andrà tutto bene, è evidente: taxi a singhiozzo e fila infinita per prenderli; Uber, Lyft e altre app per viaggiare su auto guidate da privati con il moltiplicatore impazzito, che rende la tariffa degna di una rata del mutuo. Di andare a piedi non se ne parla perché piove, anzi diluvia. Già: quest’anno a Las Vegas, nel pieno nel deserto, ne ha buttata giù tantissima. Non che sia una novità: una volta uno stand è stato inghiottito dalla terra bagnata, a qualche edizione fa è mancata la luce per la troppa tempesta. E meno male che è la fiera della tecnologia, visto che finisce schiacciata, quasi divelta, da una miope meteorologia.
Ecco che per raggiungere la tua destinazione, non ti restano che le meste navette messe gratuitamente a disposizione dal Ces. Trattasi di inquietanti bus dai vetri oscurati, di taglia xxl, con le poltrone mangiate dal tempo, su cui plotoni di avventori convergono scalpitando, per assicurarsi un posto e non dover attendere il mezzo successivo, che – a seconda delle linee – è previsto in intervalli di mezz’ora.
«No standing!», non ci pensare nemmeno a rimanere in piedi, ripete scocciato al microfono l’implacabile autista a una ragazza che era riuscita a salire, però non aveva trovato dove accomodarsi. Cacciata via, senza pietà, senza nemmeno il contentino di un gradino. Fuori e subito, come a scuola in punizione. La fiera non è per furbetti, tantomeno per cuori teneri.
All’appuntamento mi presento con un ritardo accettabile, chi doveva incontrarmi era molto più in ritardo di me, bloccato da qualche parte davanti a una colonna di lamiere di fronte a un semaforo. E dire che la mobilità sarebbe il piatto forte di questa edizione. I produttori di vetture, autobus, camion, ruspe ed escavatori (in fiera se ne sono visti alcuni con ruote più alte di un uomo) sono i padroni della scena, occupano per intero la West Hall, il padiglione più figo, inaugurato da pochissimo, che almeno non sembra un reperto d’archeologia espositiva come gli altri. A terra hanno comunque messo la moquette, così sa di polvere e di piedi. Chissà perché gli americani sono tanto allergici ai pavimenti solidi.
E poi, in quest’orgia di dinamismo coatto, tutti vanno pazzi per il Loop di quel geniaccio di Elon Musk. Serve a evitare di spostarsi a piedi da un capo all’altro della sede principale della fiera, operazione che richiederebbe 25 minuti di cammino a ritmo spedito. Ma il Loop non è Hyperloop, il treno superveloce a lievitazione magnetica che avrebbe dovuto essere; trattasi piuttosto di un sistema di gallerie su cui viaggiano delle macchine elettriche Tesla con conducente. Ci si aspettava fossero a guida autonoma, affidati alla bussola di sensori e robot come il contesto suggerirebbe, per ora non se ne parla proprio. Al volante c’è un tipo con l’autoradio a palla, che mette musica techno sentendosi la versione sotterranea di Iron Man.
Il Loop doveva coprire tutta Las Vegas, aeroporto incluso, per adesso ci si accontenta di questo quasi niente, da raccontare ad amici e lettori, in un dolceamaro di futuro che sa tanto di passato. Il padrone di Twitter arriverà pure su Marte, in Nevada non ha fatto molta strada: la sua trovata ricorda una galleria o una metropolitana su ruote. Se davvero è questo il livello del Ces, siamo bloccati al secolo scorso.
In verità, alcune cose sono cambiate. La più evidente, segno dei tempi, è che non si vedono più le standiste ammiccanti e semisvestite, la fiera è stata desessualizzata, oltre che per pudore e buon senso, per non invadere le altrui competenze: quella del sesso si svolge in contemporanea da un’altra parte, non lontano dal Ces.
I grandi colossi dell’elettronica, nel frattempo, danno meno enfasi ai prodotti, costruiscono storie, rappresentano visioni. Ripetono come un mantra il tema della sostenibilità, dell’impatto zero in prospettiva, quasi a cercare una legittimità al loro solleticare una continua voglia di consumare.
Il Ces versione 2023, che per presenze e livello degli annunci non è ancora tornato ai livelli prepandemia, tenta di essere più contenuto e un filo meno contenitore. Ma poi tutti parlano del sensore su cui fare la pipì e la fiera della tecnologia ridiventa un circo dell’assurdo con pretese di funzionalismo, dove abbandonarsi, stravolti, all’ironia dell’anarchia.