News
January 14 2019
Di quali protezioni ha goduto Cesare Battisti, il terrorista rosso che per 40 anni si è fatto beffe dell’Italia e dei parenti delle vittime da lui uccise a fine anni Settanta? La domanda se la sono posta in tanti, a cominciare da Adriano Sabbadin, che dopo avere appreso dell’estradizione concessa il 14 dicembre scorso dall’ex presidente brasiliano Michel Temer, credeva di poter trascorrere finalmente il primo Natale sereno dopo tanti anni. È figlio di Lino, il macellaio ucciso a pistolettate dall’ex membro dei Proletari armati per il comunismo in quel di Mestre. Era il 16 febbraio del 1979, una vita fa.
Di quali protezioni ha goduto Battisti? È stata la domanda anche delle famiglie Torregiani, Campagna e Santoro, le altre sue vittime, quando avevano appreso dell’ennesima fuga di questo assassino riciclatosi scrittore e dell’informazione che ad accoglierlo, secondo fonti di intelligence israeliane e brasiliane, poteva essere già la Bolivia, visto che il presidente «cocalero» Evo Morales avrebbe avuto tutti i motivi per proteggerlo. Innanzitutto ideologici, poi di rivalsa con il Brasile che ha dato asilo politico a uno dei più feroci accusatori del governo Morales sulle questioni del narcotraffico, quel senatore Roger Molina poi morto in un misterioso incidente aereo nel 2017. Del resto il terrorista dei Proletari armati per il comunismo, i Pac, è un esperto nello sgusciare via come un’anguilla, godendo di preziosi appoggi politici da quando, nel 1981, evase per la prima volta dal carcere di Frosinone.
Lo ha fatto in Messico, in Francia ed in Brasile dove è arrivato, in fuga da Parigi nell’agosto del 2004, quando la sua estradizione in Italia era ormai solo una questione di giorni visto che Jacques Chirac aveva deciso di accantonare finalmente il salvacondotto offerto ai terroristi italiani dal socialista François Mitterand. Secondo lo stesso Battisti fu una parte dei servizi francesi ad aiutarlo in quella fuga consegnandogli un passaporto italiano falso con all’interno del codice a barre, un’informazione cifrata che avrebbe consentito agli 007 transalpini di seguirne passo passo gli spostamenti sino all’approdo a Fortaleza, nel nordest brasiliano, dopo essere passato per Spagna, Portogallo, isola di Madeira, Canarie e Capo Verde. Quasi una rotta del narcotraffico al contrario.
Di certo gli è stata vicina la giallista francese Fred Vargas e l’ambiente radical-chic della lobby francese culturale che già nel 1999 gli aveva permesso di cominciare a pubblicare con il prestigioso editore Gallimard. La stessa Vargas che non ha esitato a venire più volte in Brasile, sempre accompagnata da un nerboruto francese dal fisico assai poco intellettuale ma molto «Legione straniera», dopo l’arresto di Battisti avvenuto nel marzo del 2007 sulla spiaggia a Copacabana per mezzo dell’Interpol. Non perché monitorato dai servizi paralleli transalpini, che a suo dire lo avevano aiutato a fuggire, ma perché si era tradito con una telefonata a uno dei suoi contatti parigini intercettato a propria insaputa dell’intelligence francese: Battisti era appena stato derubato ed aveva bisogno di soldi, con urgenza.
Il grande colpo di scena arriva, poi, il 31 dicembre del 2010, ultimo giorno dell’ultimo mandato dell’allora presidente Luiz Inácio Lula da Silva, grande mito della sinistra mondiale che concede l’asilo al terrorista più ricercato d’Italia. Prova, questa, della massima protezione di cui Battisti godeva nel paese del samba, dopo aver goduto per anni dell’ala protettrice di Mitterand che con la sua «dottrina» sul diritto d’asilo ospitò decine di nostri terroristi.
Nel 2011 Battisti esce così di prigione e va a vivere, ironia del destino, prima a Embu das Artes - cittadina vicina a San Paolo famosa perché lì fu sepolto sotto nome falso il criminale nazista di Auschwitz Josef Mengele, anche lui eterno fuggitivo - poi, dal 2015 a Cananéia, sul litorale di San Paolo. Qui l’internazionale rossa continua a non abbandonarlo e per proteggerlo gli mette a disposizione Magno de Carvalho, un sindacalista della Cut, il sindacato fondato da Lula e dal suo Pt, il partito dei lavoratori che oggi ha tutti i suoi ex tesorieri in carcere, oltre allo stesso Lula. Magno prima gli presta una sua casa a Cananéia dove Battisti va a vivere protetto da Paulo, un bodyguard tutto fare, poi lo aiuta a trovare un terreno e a costruirsi una casetta tutta sua dove il terrorista, spenti i riflettori, comincia una vita anonima. «Vivo dei miei libri» aveva raccontato a chi scrive, «ma non me la passo bene tanto che non posso più pagare l’assicurazione medica». Difficoltà economiche confermate anche dall’ex moglie Priscila Luana Pereira che ha dichiarato che Cesare Battisti viveva dei diritti d’autore e di qualche soldo fattogli arrivare dall’Italia dalla sua famiglia.
Arriviamo, così, a fine 2018 all’ultimo, ennesimo, colpo di scena: la fuga. Sparizione annunciata da anni di protezione del Pt di Lula, a tutti i livelli, giudiziario e politico, che hanno reso possibile quello che è accaduto. La Polizia di Cananéia, la cittadina di pescatori dove Battisti ha vissuto, aveva già confermato a chi scrive che da sabato 27 ottobre - ovvero dalla vigilia della vittoria elettorale di Jair Bolsonaro che lo avrebbe estradato subito dopo il suo insediamento, il primo gennaio di quest’anno - nessuno aveva più visto l’ex membro dei Pac. «L’ultima è stata una donna che lo aveva notato allontanarsi in barca» assicurò un poliziotto di Cananéia il 30 ottobre scorso, svelando poi un retroscena che ha dell’incredibile. «Ci avevano sollecitato dall’alto, su richiesta dell’ambasciata d’Italia, di monitorare Battisti e abbiamo subito chiesto alla nostra autorità giudiziaria cosa potessimo fare in concreto ma la risposta è stata chiara: nulla». Il terrorista rosso, infatti, all’epoca era davanti alla machiavellica legge brasiliana un cittadino libero a tutti gli effetti, con tanto di visto definitivo. Quindi non controllabile dalle forze di polizia.Insomma, nonostante le ripetute rassicurazioni all’Italia sul fatto che la polizia brasiliana stesse «monitorando da vicino» il latitante più ricercato d’Italia, in realtà sul campo aveva «le mani legate». Una verità che, per quanto vergognosa, era stata confermata dallo stesso terrorista a una radio italiana qualche giorno dopo l’allarme di fuga lanciato due mesi fa e resa possibile da una serie di decisioni sconcertanti.
A riprova di quanto la protezione garantita a Battisti da 14 anni in qua dal partito di Lula fosse ancora fortissima e capillare, nonostante la vittoria del neo presidente Jair Bolsonaro, che aveva fatto del caso del terrorista uno dei suoi principali cavalli di battaglia della sua campagna elettorale. Purtroppo, però, il danno ormai era fatto ed è stato il risultato di una serie di decisioni accumulatesi nell’ultimo biennio. Già perché se era chiaro che, dopo l’impeachment di Dilma Rousseff nel 2016, il suo successore Temer fosse propenso ad annullare la decisione di Lula di concedere l’asilo a Battisti, altrettanto chiaro era che la questione si sarebbe complicata grazie agli appoggi politici ma anche di giudici e intellettuali sinistrorsi del terrorista.
A mettere sul chi va là Battisti era stato già un articolo pubblicato da O Globo a fine settembre 2017 in cui il quotidiano carioca rivelava che l’Italia aveva chiesto in gran segreto a Temer di rivedere la decisione di Lula e di estradare a Roma il terrorista. In neanche una settimana Battisti viene arrestato alla frontiera con la Bolivia con 6.000 euro, 1.300 dollari e un piccolo cilindro arancione pieno di polvere bianca, «apparentemente cocaina» a detta della polizia: stava tentando di fuggire dal Brasile. Intanto mentre è in cella nel commissariato di Corumbá, città al confine con la Bolivia, un aereo militare ha i motori già accesi, pronto a rimpatriare il terrorista rosso in Italia. Manca solo la firma di Temer che però non arriva perché «è un Don Abbondio» confidò all’epoca a Panorama Walter Fanganiello Maierovitch, magistrato in pensione che aiutò il nostro Giovanni Falcone nella cattura di Tommaso Buscetta nel Brasile di inizio anni Ottanta. Questo nella migliore delle ipotesi visto che l’ultimo avvocato di Battisti, Igor Tamasauskas, difende anche i fratelli Batista, boss della Jbs, l’azienda maggiore produttrice di proteine animali al mondo sospettata di avere pagato tangenti milionarie proprio a Temer, che per questo è stato denunciato penalmente dalla procura generale brasiliana, fatto mai successo prima a nessun presidente in carica in Brasile.
Invece di firmare l’ordine di espulsione, dunque, Temer chiede alla Corte Suprema brasiliana se può ribaltare la decisione di Lula sull’asilo a Battisti. Peccato che il giudice Luiz Fux che ha in carico il caso impieghi 14 lunghissimi mesi per rispondergli. Arriva così prima l’ordine di scarcerazione firmato da José Lunardelli, un giudice che deve tutta la sua carriera al Pt di Lula da Silva e Dilma Rousseff, cui fa seguito la cancellazione di tutte le misure cautelari, compreso l’obbligo di firma e, da aprile 2018, anche la cavigliera elettronica. Il motivo? «Non esiste rischio di fuga». Decisioni, queste, che si sono rivelate cruciali perché potesse realizzarsi l’ennesima fuga di Battisti. Perciò non c’è da stupirsi se dopo l’ordine di arresto su richiesta dell’Interpol firmato il 13 dicembre scorso dal giudice «tartaruga» Fux, Battisti non si sia fatto trovare in casa. «È un assassino sanguinario ma non un idiota» sbotta Maierovitch, definendo «incredibile» che l’arresto sia stato annunciato dal telegiornale più seguito del Brasile, il Jornal Nacional della tv Globo, prima ancora che la polizia l’avesse eseguito. Insomma, il caso Cesare Battisti ha evidenziato una scacchiera planetaria dove il terrorista è riuscito a dribblare tutti, governi, partiti politici, magistrati facendo leva su un’ideologia che gli ha permesso di garantire i suoi interessi. Con questa immagine finale paradossale di un Lula, mito della sinistra e suo salvatore, oggi in carcere condannato per riciclaggio e corruzione e Battisti, invece, di nuovo in fuga. Oltre che dalla giustizia anche da se stesso. Fino a ieri.
© riproduzione riservata