Debutta la nuova Champions League, non è detto che sia più ricca

Pronti, partenza... via. Si comincia con Milan-Liverpool (13 coppe in bacheca) e Manchester City-Inter, riedizione della finale 2023 di Istanbul. Ma anche con le imperdibili sfide tra Brest e Sturm Graz oppure tra Celtic Glasgow e Slovan Bratislava. La fotografia esatta dei paradossi di una Champions League che nasce e della quale oggi è impossibile essersi fatti un'idea precisa. Piacerà? E' probabile, visto che il grande calcio d'Europa piace sempre. Sarà quello che serviva per superare le tentazioni di dar vita a un prodotto parallelo, non gestito dalla Uefa? Non è detto, soprattutto se si prova a guardare dentro i numeri dell'annunciatissimo record del montepremi.

Due certezze: sul tavolo ci saranno più soldi (2,467 miliardi di euro contro i 2,020 del ciclo precedente) ma anche più squadre (36 contro 32). Ergo, si giocherà molto di più perché le partite saranno 189 e non più 125. E siccome la crescita del montepremi non copre l'incremento del prodotto messo in circolazione, ecco che può venire il sospetto che l'operazione nel suo complesso abbia diminuito e non aumentato il valore dello stesso. Per capirci: prima ogni singola gara della stagione 'pesava' 16,1 milioni di euro e oggi ne vale poco più di 13. Non è l'unico criterio di giudizio, però nell'orgia di consensi preventivi è bene anche provare ad inserire qualche chiave di lettura neutra.

La nuova Champions League è stata ideata nel mezzo della tempesta per la Superlega. I club chiedevano più partite tra big e in definitiva più ricavi, la Uefa ha risposto con una formula che promette maggiore appeal ed equilibrio, più incassi e qualche match tra grandissime squadre anticipato all'autunno senza dover aspettare l'inverno inoltrato. Se il format sia corretto dal punto di vista sportivo, tuteli le fasce di ranking di provenienza e alla fine produca una classifica corretta lo capiremo nei prossimi mesi, visto che oggi si vive solo di simulazione (18 punti per entrare agli ottavi direttamente o 8-9 per arrivare almeno al playoff di febbraio).

La promessa è che non ci siano sfide inutili come spesso erano quelle delle ultime due giornate dei gironi. Il timore è che il meccanismo della classifica unica risulti indigesto e ingiusto, perché c'è chi - a parità di ranking di partenza - avrà fatto un percorso a ostacoli e chi si sarà visto assegnare dalla sorte una prima fase più morbida. Anche solo giocare in casa o fuori contro un avversario potrà aver fatto la differenza.

Alla fine per alzare la coppa al cielo di Monaco di Baviera potrebbero servire 17 partite (15 se non si deve passare dal playoff) contro le 13 di prima. Aumenta il bonus per la partecipazione (18,6 contro 15,6 milioni), scende il valore delle prestazioni nei singoli match (meno 700mila euro la vittoria), sale quello dei vari passaggi di turno e viene rimodulata la parte ranking storico e market pool. Ne varrà la pena? Solo ragionando in termini di bonus partecipazione e ricavi diretti dalle prestazioni la stima è che il vincitore perfetto (en plein di successi) porterà a casa 98,9 milioni rispetto agli 85,1 dell'anno scorso. E che il conto finale potrebbe arrivare a 150, ma qui siamo nella forchetta altissima della stima.

Di sicuro allenatori e giocatori continuano a lamentarsi del numero di partite che cresce, incuranti del fatto che tutto ciò avvenga per spinta dei loro datori di lavoro. Altro paradosso dal quale non si esce. Ultimo tema: la nuova Champions League occuperà almeno un giovedì (19 settembre) fermando Europa e Conference League, le parenti povere del grande calcio europeo. Potrebbe essere irrilevante o un segnale di come la pensano a Nyon a proposito del rapporto tra le super multinazionali del pallone e tutto il resto.

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