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June 06 2019
Mentre l'orologio scorre veloce verso il momento in cui l'Uefa dovrà fare sintesi e decidere ufficialmente i format delle competizioni europee a partire dal 2024, la guerra intorno alla riforma della Champions League e alla creazione di un sistema piramidale semi-aperto (o semi-chiuso a seconda delle interpretazioni) si combatte a colpi bassi.
Gli schieramenti sono abbastanza definiti. Da una parte l'Eca che racchiude l'associazione dei grandi club, ma non solo, che spinge per il nuovo format. Dall'altra le leghe europee che sono salite sulle barricate perché temono di perdere centralità nel calcio del futuro e, quindi, di vedere i campionati nazionali relegati al ruolo di ruote di scorta di un sistema sempre più elitario.
In mezzo l'Uefa a cercare una sintesi. L'idea del presidente Ceferin è quella di provare a mettere tutti seduti intorno allo stesso tavolo a settembre per cercare un accordo che tenga insieme le diverse anime. Non sarà facile, però è un tentativo obbligato dal gioco di pesi politici e veti incrociati che rischia di bloccare il calcio europeo.
La realtà è che i fronti sono abbastanza fluidi, con sensibilità diverse anche per ragioni interne visto che tutte le leghe top d'Europa (Italia, Germania, Inghilterra, Francia e Spagna) si sono pronunciate contro l'ipotesi della Superlega o nuova Champions sul modello Nba. Tutte temono di perdere fette di mercato a favore dei ricchi, destinati a diventare ricchissimi.
La riunione dell'Eca a inizio giugno a Malta è stata, però, preceduta anche da una presa di posizione che ha segnato differenze di vedute nello schieramento dei medio-piccoli. A firmarla è stato Dariusz Mioduski, presidente del Legia Varsavia (Polonia) espressione di un calcio non da big ma allo stesso tempo anche vice presidente dell'Eca.
Un duro attacco all'attuale sistema e chi cerca di difenderlo in nome dell'interesse dei poveri, ovvero Javier Tebas che è capo della Liga e si è messo in testa al gruppo degli oppositori contro la riforma. Un esercito nutrito che in Italia conta anche l'appoggio di Urbano Cairo, grande sponsor di Tebas all'epoca in cui cercava di portarlo in Lega Serie A.
L'attacco a Tebas è l'attacco all'attuale sistema difeso, viene scritto nel documento inviato a tutti i club, solo per garantire alle leghe top l'attuale trattamento che ha scavato il gap rispetto al resto del panorama. "Tebas si propone come il portavoce dei poveri e di quelli che non sono rappresentati - si legge -, ma in realtà vuole solo difendere gli interessi di chi ha polarizzato la situazione attuale".
Ed ecco i numeri. Solo 101 società su oltre 900 in Europa dichiarano fatturati superiori ai 50 milioni di euro e il 90% viene da Italia, Spagna, Inghilterra, Francia e Germania (ovvero l'attuale oligarchia), grazie a un sistema che garantisce alle società di questi campionati oltre 9 miliardi di euro di introiti da diritti tv complessivi contro i 775 delle altre 50 leghe con un rapporto di uno a dodici.
O, ancora, il 75% dei 2,6 miliardi di euro di montepremi Uefa stagionale che va a finire sempre lì lasciando agli altri le briciole tanto che, sostiene l'opposizione degli oppositori, l'unico modo per far crescere i ricavi per tutti sarebbe aumentare le competizioni Uefa come progetto Eca (128 posti distribuiti su tre livelli) e dare un tetto massimo di 5 squadre per campionato iscritte. Quello che nessuno, nemmeno Tebas, vuole.
La guerra è solo all'inizio e sarà un confronto durissimo dall'esito incerto. Il peso attuale dei grandi club dentro la Uefa è maggioritario rispetto al fronte opposto. Dall'autunno si entra nella fase decisiva perchè dal 2021 sarà il momento di cominciare davvero a costruire i nuovi format.