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June 19 2017
Il 13 luglio 2005, a pochi giorni dalle bombe sulla metropolitana e sugli autobus di Londra volute da Al Qaeda che fecero 52 morti, un cinquantenne pakistano uscito per comprare le sigarette venne pestato a sangue da una gang di giovani inglesi a Nottingham. Si volevano vendicare per le "infami bombe" e, al grido di "talebano", lo uccisero di botte.
Dopo di allora, la parola “islamofobia” associata a un crimine è entrata a pieno titolo nei database della polizia di Scotland Yard. E, da dieci anni a questa parte, quel fenomeno è cresciuto esponenzialmente nel Regno Unito, parallelamente all’aumento dei crimini connessi con la matrice religiosa, che sono saliti addirittura del 70% dal 2014 al 2015, quando si sono registrati 816 reati ascrivibili a quel contesto, rispetto ai 478 dell’anno precedente.
Anche il caso del furgone che nella notte tra il 18 e il 19 giugno 2017 ha travolto un gruppo di fedeli musulmani a Seven Sisters Road, nella zona di Finsbury Park dove sorge la grande Moschea omonima (il bilancio provvisorio parla di un morto e 10 feriti), rientra in questa statistica. A riferirlo è la stessa Scotland Yard: "è stato un atto terroristico".
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Senza voler ingigantire il problema, è però un fatto che il Regno Unito sia considerato da anni un incubatore di rabbia inespressa: il contesto economico generale, la gioventù disoccupata, l’economia stagnante, la situazione politica incerta, sono i principali meccanismi che hanno impedito sin qui di contenere un fenomeno sempre più preoccupante, ovvero il radicalismo tout court.
Questo ha permesso all’odio sociale di emergere all’interno della comunità islamica (quella del Regno Unito è tra le più estese d’Europa e, con i suoi 3,5 milioni di musulmani, oggi rappresenta il 5,5% dell’intera popolazione) e all’interno della destra inglese (nel 2016, il ministero dell’Interno britannico ha dichiarato fuori legge il gruppo di ultradestra denominato National Action, perché accusato di progettare e istigare atti di violenza razzisti).
Per quanto riguarda il radicalismo islamico, grazie al lavoro di predicatori salafiti molto motivati (e spesso sovvenzionati da quello stesso stato che vogliono abbattere), quell’odio sociale si è innestato sul fallimento del modello multiculturale britannico, basato sul rispetto e sul mantenimento del senso etnico-comunitario degli immigrati. Un modello differente da quello francese, che è vocato all’integrazione dei popoli secondo un unico precetto, cioè il rispetto della laicità dello stato a garanzia di eguali diritti e doveri per tutti, senza che si frappongano differenze socio-culturali o religiose.
Ciò nonostante, entrambi i modelli hanno fallito. Questo perché alle rispettive politiche di accoglienza non si sono accompagnati strumenti economici e di sviluppo sostenibile all’altezza, ma soltanto forme blande di assistenzialismo, che hanno finito per indignare chi non vi ha avuto accesso (ovvero gli inglesi stessi).
Anche da qui, il razzismo e l’avanzata dell’estrema destra inglese, che si è evoluta come reazione alle ingiustizie sociali, al punto da esprimersi non più soltanto nelle strade ma anche a livello politico, attraverso due principali partiti: il British National Party e lo United Kingdom Independence Party (o UKIP, quest’ultimo più moderato ed evoluto, ma tuttavia cresciuto nello stesso stagno).
Il Regno Unito è così divenuto il paese del vecchio continente con la più alta disuguaglianza sociale, con le minori prospettive di mobilità sociale e con i salari minimi “da fame” (working poor), oltre a un’immigrazione imponente che si va spostando in tutto il paese in cerca di certezze che non trova. Basti ricordare l’esodo delle centinaia famiglie che ogni settimana sono costrette ad abbandonare Londra per motivi economici, fenomeno definito da alcuni quotidiani inglesi come una vera e propria "pulizia sociale in stile Kosovo".
Questo ha alimentato fenomeni allarmanti di disagio come la rivolta di Tottenham dell’agosto 2011, quando il quartiere nord della capitale fu teatro di violenze, saccheggi e vere e proprie sommosse che si estesero poi a tutta la città, in risposta all’uccisione di un ricercato dalla polizia. E ha alimentato risentimenti politici, come il caso dell’omicidio della deputata laburista Jo Cox, uccisa da un sostenitore della destra inglese non tanto per il suo impegno contro la Brexit, ma soprattutto per il suo sostegno ai rifugiati siriani.
Al tempo stesso, tutto ciò ha posto le basi per il consenso e l’adesione da parte dei più disperati a ideologie come il salafismo, la corrente più estremista dell’Islam sunnita, che pretende d’imporsi attraverso la violenza (di cui la serie di attacchi terroristici di basso e medio livello occorsi nel 2017 è lo specchio).
Dopo oltre quindici anni di attivismo, gli “estremisti del Corano” oggi possono contare in tutto il paese su un network esteso di sostenitori, che spesso si traduce anche territorialmente: è il caso delle cosiddette “Sharia zone”, ovvero quei quartieri ad alta concentrazione di immigrati inseriti nel contesto urbano di numerose città inglesi, dove la comunità islamica è predominante, e dove a dettar legge non è il sindaco né un comitato di quartiere ma una minoranza di estremisti che esercitano la coercizione sulla loro comunità per far rispettare la Sharia, la severa legge islamica.
Secondo Kenan Malik, filosofo britannico di origine indiana e autore del saggio Il multiculturalismo e i suoi critici – Ripensare la diversità dopo l’11 settembre (Nessun Dogma, 2016), il modello di accoglienza inglese ha fallito perché non ha prodotto alcuna inclusione, ma piuttosto "società frammentate, l’alienazione di molte minoranze e la trasformazione degli immigrati in capri espiatori".
Anche l’ex premier David Cameron concorda e già nel 2011 sosteneva: "Con la dottrina del multiculturalismo di Stato abbiamo incoraggiato culture differenti a vivere vite differenti, separate l’una dall’altra e da quella maggioritaria. Non siamo riusciti a fornire una visione della società in grado di far desiderare loro di appartenervi".
Ragion per cui oggi le comunità immigrate del Regno Unito sfuggono a ogni controllo da parte dello stato, e sono finite nelle mani di quei pochi, i salafiti, che rifiutano di diluire la propria identità in un tutto più grande, e fanno leva su valori fortemente radicati nella loro religione per dirigere a proprio piacimento la cultura e il modo di vivere delle grandi masse musulmane dimenticate ai margini della società britannica.
Di conseguenza, gli unici che vi pongono attenzione sono soltanto coloro che subiscono per primi il fenomeno, ovvero la “generazione Tottenham” all’interno della quale si trovano anche i “vigilantes” dell’ultradestra, che da qualche tempo si sono arrogati il diritto di reagire a questo fenomeno preoccupante con altrettanta violenza.
Dunque, il rischio di uno scontro sempre più virulento all’interno della società britannica, dove una parte non accetta l’altra ed entrambe non accettano lo stato, non è una possibilità così remota, ma anzi probabile fintanto che il malcontento si potrà alimentare della frustrazione popolare, la cui origine è anzitutto economica.