ANSA/LUCA ZENNARO
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L'ultimo paradosso del patto tradito tra scuola e famiglia

L'ultimo dei paradossi di quel Cerbero a tre teste che è diventato il rapporto tra i ragazzi, la scuola e la famiglia arriva da Casteller di Paese, nel trevigiano.

Lì lo scorso dicembre un professore di scienze delle medie, Giuseppe Falsone, 42 anni, con 15 anni di carriera alle spalle è stato picchiato dalla famiglia (padre, madre e fratello sedicenne) di un ragazzino di origine rom che era stato rimproverato dal professore.

La vittima a carnefice

Dopo un mese di malattia il docente è tornato in classe e ha trovato un'indagine disciplinare in corso a suo carico.

"Un atto dovuto" - ha spiegato la Preside dell'Istututo - che ha precisato di aver dovuto escludere oltre ogni ragionevole dubbio le eventuali responsabilità del professore.

Si tratta di un gesto di civiltà a fronte di un atto di gratuita violenza, ma all'uomo quel procedimento a suo carico non è andato giù e, intervistato da Corriere della Sera, ha dichiarato: "Non riuscivo a crederci. Ma come, io vengo picchiato e finisco cornuto e mazziato?".

L'uomo poi è tornato con la memoria al 21 dicembre quando, spiega: "Era appena cominciata la ricreazione che, da regolamento, gli alunni devono trascorrere all’aperto. Un ragazzino, di origini rom, con la tendenza a non rispettare le regole, non voleva uscire. Così gli ho posato una mano sulla spalla e l'ho accompagnato fuori".

A quanto pare, però, il ragazzetto ai compagni avrebbe poi detto: "Lo farò picchiare dai miei genitori".

Il successivo sabato mattina padre, madre e fratello 16enne del minore si sono presentati a scuola prima minacciando il Prof. e poi aggredendolo fisicamente. 

Al ritorno dalla malattia l'amara sorpresa dell'indagine disciplinare in corso perchè, come spiegato dalla Preside: "È stato sollevato un dubbio sul comportamento di un professore ed è mio dovere capire cosa sia successo. E poi io ho fatto di tutto per aiutarlo, cercando anche di fargli scudo con il mio corpo".

Falsone ha deciso di scrivere al Ministro Fedeli per esporre il suo caso mentre gli altri genitori degli alunni della classe gli hanno inviato una lettera che l'uomo ha molto apprezzato nella quale si leggeva: "Conosciamo le sue qualità umane, il suo rigore di pensiero e la sua correttezza".

Non solo Falsone

A fronte dei tanti genitori che sostengono i professori nel difficile compito cui sono chiamati, e cioè istruire i ragazzi, si moltiplicano i casi di madri e padri che aggrediscono fisicamente i docenti per una nota, un rimprovero o un brutto voto. 

C'è la mamma di Catania che prende a schiaffi il preside che non permette al figlio di 8 anni di tornare a casa da solo; ci sono i genitori di Siracusa che, insieme, prendono a calci il Prof. di educazione fisica del figlio dodicenne rompendogli una costola; ma c'è anche il vicepreside del foggiano finito in ospedale a causa dei pugni ricevuti dal padre di un ragazzino o le due coppie di genitori che, a Palermo, picchiano il Prof dei rispettivi figli perché aveva mandato i due studenti fuori dalla classe per punirli a causa di una risatina di troppo.

Storie di (Stra)ordinaria violenza

Storie agghiaccianti di violenza, relazioni di verbi che, a scuola, proprio non dovrebbero entrare: minacciare, picchiare, umiliare, sopraffare. Verbi che corrispondono ad azioni che rappresentano il fallimento del patto educativo di corresponsabilità che era alla base dell'alleanza scuola famiglia

Il più recente caso arriva dal foggiano dove il Vicepreside di una scuola media, lo scorso 10 febbraio, è stato preso a calci all'addome e alla testa dal padre di un ragazzino. L'uomo, con precedenti per aggressione, era stato convocato per discutere della disciplina del figlio e ha mandato in ospedale il dirigente scolastico.

Era andata ancora peggio, poco più di un mese fa, a un professore di educazione fisica di Avola, nel siracusano. Il docente, 49 anni, si trovava in classe quando ha chiesto a uno dei suoi studenti, 12 anni, di chiudere la finestra, e il giovane non solo ha tirato un libro contro al Prof. rifiutandosi di farlo, ma ha anche preso il cellulare e ha avvisato i genitori.

Dopo 20 minuti, ha raccontato il docente aggredito, si è presentata la coppia: 47 anni lui e 33 anni lei che in pigiama e cappotto hanno iniziato a prendere a calci e pugni l'uomo rompendogli una costola e mandandolo in ospedale con un mese di prognosi. 

Nel dicembre del 2016, invece, a Squinzano, nel salento, il padre di una bambina ha preso, per cause sconosciute, a botte un bidello e un altro collaboratore scolastico.

A Catania, invece è successo che la madre di un bambino di 8 anni ha preso a schiaffi il Preside perché non lasciava tornare a casa il minore da solo. Non è servito neppure far presente alla donna che il reato ipotizzato sarebbe stato quello di abbandono di minore per metterla a regime spiegandole inoltre che anche la figlia diciassettenne era minorenne e quindi non poteva esserle consentito di ritirare il fratellino. La violenza di questa donna si è tradotta in grida, calci, pugni, insulti e graffi ai danni del Preside.

Cosa c'è dietro questi episodi di violenza?

La cronaca regala anche storie come quella del commando di genitori che agisce in squadra: due coppie del palermitano hanno picchiato a sangue il professore dei figli. L'uomo aveva cacciato dalla classe i ragazzini perché chiacchieravano e i quattro genitori hanno aspettato fuori il Prof. reo di tale affronto per dargli una lezione. 

Che qualcosa si sia rotto nel rapporto tra la casa e la scuola è palese, ma mettere a fuoco quale sia l'anello della catena entrato in crisi e soprattutto capire come saldarlo è questione su cui educatori e istituzioni devono interrogarsi e confrontarsi.

E' come se fosse in corso la sfida tra due istituzioni (la casa e la scuola) entrate in conflitto a vicenda in un periodo storico in cui il concetto stesso di istituzione sta attraversando una forte crisi.

Si tratta di singoli episodi isolati o di un malessere che da casa arriva a scuola e viceversa? Un tempo neppure troppo lontano la parola del professore e tanto più quella del preside era considerata legge e nessuno in famiglia si sarebbe sognato di metterla in dubbio.

Parliamo, però, di un periodo storico nel quale le aspettative sulla scuola erano più alte. Le famiglie affidavano i figli alle scuole perchè l'educazione arrivasse a colmare lacune che in casa nessuno aveva gli strumenti per riempire.

I ragazzini venivano consegnati a scuola sperando che ne uscissero giovani in grado di affrontare le sfide dell'età adulta, trovare un lavoro, tenerselo, essere in grado di mantenersi e aspirare a una vita migliore rispetto a quella condotta dalla generazione precedente.

Il patto tradito

Poi, però, quel contratto non scritto è stato tradito e coloro che oggi sono i genitori violenti fanno parte di quella generazione tra i 35 e i 45 anni senza arte né parte, tradita dalla scuola, dallo Stato, dall'illusione stessa di poter aspirare a una vita migliore. E allora la domanda è. Quei genitori chi picchiano esattamente? I Prof dei figli monelli o i sogni infranti della propria di adolescenza?

E quei poveri docenti davanti a chi si trovano? A dei ragazzini indisciplinati e cafoni o a dei giovani lasciati senza guida e senza la certezza di una presenza educativa che dia continuità alla formazione?

Un tempo, del resto, il professore era colui che seguiva lo studente dal primo all'ultimo anno del percorso scolastico e in quel lasso di tempo guadagnava stima, fiducia e rispetto da parte tanto dei ragazzini quanto delle famiglie. Ora, invece, tra supplenze, sostituzioni e cattedre vaganti uno studente fortunato può aspirare al massimo ad avere lo stesso Prof per due anni di fila e poi si deve ricominciare tutto dal principio.

Da qualunque punto lo si guardi, in questo momento, è un rapporto malato quello tra scuola e famiglia, e, come tutti i rapporti malati, spesso genera mostri.

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