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Ecco chi arma (ancora) i terroristi dell'Isis

Cina, Russia, Europa dell'est e Stati Uniti, tutti insieme, non a combattere l'Isis, ma a fornire armi e munizioni proprio ai miliziani dell'autoproclamato Califfato. 

È uno dei paradossi della guerra in Siria, che non risparmia neppure l'Iraq.

Da un lato Mosca solo pochi giorni fa ha annunciato, tramite il Capo di Stato maggiore russo, Gherasimov, di aver annientato tutti gli jihadisti, liberando il territorio siriano dopo aver combattuto contro l'Isis; dall'altro, però, proprio il Cremlino figura tra i principali fornitori di armi agli islamisti.

A dirlo è unreport dell'associazione britannica Conflict Armament Research, che ricostruisce la provenienza di oltre 40mila tra detonatori, munizioni e materiale per armi chimiche, usato in Siria per realizzare i cosiddetti Ied, acronimo dell'inglese Improvised Explosive Device.

Proprio tra i produttori di fertilizzanti figura anche un'azienda italiana, involontaria fornitrice di materia prima per realizzare bombe artigianali.

Il rapporto britannico

Il lavoro, che indica nella Cina il principale Paese di provenienza dell'arsenale dell'Isis, è stato condotto da un team britannico nell'arco di tre anni, dal 2014 al 2017.

Secondo i ricercatori, i miliziani dello Stato islamico utilizzano fucili cinesi, insieme a razzi anticarro prodotti in paesi dell'est europeo e munizioni russe, oltre ad armi che Washington aveva inviato ai ribelli siriani anti-Assad, ma che sono poi finite nelle mani dei sostenitori del Califfo.

Diversi gruppi di insorti del variegato fronte che da anni combatte il raìs siriano, infatti, avrebbero finito con l'unirsi ai terroristi dell'Isis, di fatto mettendo loro a disposizione un ingente armamento. Lo stesso è accaduto anche per armi di provenienza saudita, giunte da Riad, e che si aggingono a quelle iraniane.

Dalla Siria all'Iraq

Nel dossier si legge che, una volta entrati in possesso di tanto materiale bellico, gli jihadisti hanno utilizzato sul campo armi e detonatori anche in Iraq. Tra i prodotti trovati dai ricercatori britannici del CAR figura anche un carico di 12 tonnellate e mezzo di fertilizzante chimico, uscito da un'azienda di Bologna.

Si tratta della Biolchim, dalla cui sede di Medicina nel bolognese, nel 2013 sarebbe partito un carico destinato ad Amman, in Giordania.

Qui, però, i prodotti, normalmente utilizzati in agricoltura, sarebbero stati esportati a Bagdad in Iraq l'anno dopo da una società locale, la Green Land. La merce "preziosa" sarebbe poi finita nelle mani dell'Isis nel 2016 a Mahmudiyah, vicino a Bagdad, destinandola a ben altri scopi, ovvero proprio alla realizzazione di ied.

Uno dei sacchi di fertilizzante prodotto in Italia, dalla Biolchim, trovato in Iraq, vicino a Bagdad e usato per realizzare ordigni artigianali  (foto @conflictarm.com)

Fornitori "involontari"

La stessa sorte sarebbe avvenuta anche per armi statunitensi e saudite, prodotte in paesi come Bulgaria e Romania, e finite negli arsenali dell'Isis in Iraq. Non è un caso che in ex roccaforti del Califfato come Mosul, Tikrit, Falluja e Ramadi sia stato rinvenuto materiale americano.

Già nel 2014 il Washington Post aveva documentato la fornitura di lanciamissili BGM-71 Tow ai ribelli anti-Assad, all'epoca del sostegno da parte del Presidente Obama ai combattenti del Free Syrian Army.

Spesso il materiale bellico veniva ufficialmente venduto all'Arabia Saudita (si parlava di 15 mila tra pistole e fucili), la quale poi provvedeva a sostenere militarmente i miliziani contrari al regime di Assad.

A sorprendere ora è però la rapidità con la quale anche armamenti molto recenti siano in possesso degli estremisti islamici: secondo il rapporto britannico, infatti, la metà del loro arsenale risulta prodotta negli ultimi 4 anni, ovvero dopo la nascita dell'Isis stesso.

La Cina principale fornitore

Se gli Stati Uniti figurano come fornitori "involontari" di armi al Califfato, è invece la Cina il principale esportatore di materiale bellico ai miliziani islamisti in Siria e Iraq: ben il 90% degli armamenti, secondo il report, proviene da Pechino, insieme a Mosca e ad alcuni paesi dell'est europeo.

Su quest'ultimo dato, la spiegazione pare debba essere ricondotta al fatto che le armi prodotte ad esempio come Romania e Bulgaria, tra le quali razzi e proiettili, erano state prima vendute a Stati Uniti e Arabia Saudita, poi da questi inviate in Siria e Iraq in funzione anti-Isis.

Proprio per evitare che tutto ciò potesse ripetersi l'Unione europea aveva stabilito il divieto di riesportazione di tecnologia e attrezzature militari, con una legge del 2008, che però forse è stata aggirata o che non ha fatto in tempo a bloccare il materiale già esportato negli anni precedenti.

L'Isis è ancora pericoloso

Il rapporto del Conflict Armament Research mostra anche preoccupazione per l'attuale pericolosità degli uomini del Califfato: nonostante le sconfitte sul campo, infatti, i miliziani rappresenterebbero ancora una minaccia, proprio in virtù del materiale di cui dispongono.

Nelle scorse settimane è giunto l'allarme per possibili attentati in Europa da parte di cosiddetti foreign fighters fuggiti da Siria e Iraq, e ora potenzialmente pronti ad entrare in azione nel Vecchio Continente con attacchi terroristici.

Secondo il Global Terrorism Index 2017, pubblicato a novembre dall'Institute for Economics and Peace, i paesi a più alto rischio attentati in Europa sono la Francia (23esima al mondo) e la Gran Bretagna (35esima), precedute solo da Turchia e Ucraina, considerate parte del Vecchio Continente. A seguire si trovano Germania, Belgio, Grecia, Svezia e Irlanda. Nella lista, guidata a livello mondiale da Iraq, Afghanistan e Nigeria, l'Italia è al 10° posto tra i paesi europei.

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