Economia
May 17 2016
"Compreremo tre aziende in Italia, probabilmente nel lusso, nel design e nella chimica": così, tre mesi fa, Andrea Bonomi – il "cavaliere bianco" che Mediobanca ha pescato dal mazzo per contrapporsi all’Ops di Urbano Cairo sul gruppo Rcs – prometteva nell’ultima intervista ad ampio raggio rilasciata a un quotidiano. Quasi gol. Ha comprato Artsana, ha comprato Valtur, sta comprando il Corriere della Sera.
I primi due profili, come dire, “somigliano”: Artsana qualcosa di chimico nella storia e nel perimetro di business ce l’ha, in fondo lavora nel parasanitario; Valtur non è un brand del design ma cosa c’è di più “glamour” della vacanza all’italiana? E il Corriere della Sera? È un lusso: un lusso che Bonomi si vuole permettere e può farlo, dall’alto dei 2 miliardi di dollari appena raccolti per il suo nuovo fondo e del palmares di buoni risultati che, oggettivamente, ha messo insieme negli ultimi vent’anni.
Cogliendo due piccioni con una fava: da una parte, si comporta come l’Oracolo di Ohama, Warren Buffett, che sta investendo nell’editoria, anche stampata, convinto dall’alto del suo fiuto infallibile che dopo la notte fonda appena attraversata presto sul settore tornerà il sereno (e comprare ai minimi è ciò che fa ogni bravo gestore di patrimoni); e poi si appunta sul bavero del doppio petto la medaglia che mani ciniche e bare strapparono trent’anni fa dalla giacca di suo padre Carlo, lasciando che l’Opa della Montedison di Mario Schimberni gli scippasse dalle mani il controllo della sua holding Bi-Invest: dentro la finanziaria di papà Bonomi, non dimentichiamocelo, c’era tra l’altro una preziosa partecipazione nel salotto buono della finanza italiana, la Gemina, che a sua volta controllava il Corriere della Sera.
Corsi e ricorsi storici: Bonomi padre fu scalzato dal co-controllo del Corriere, senza che Mediobanca riuscisse (perché non volle: all’epoca poteva tutto!) a contrastare gli scalatori; e Bonomi figlio viene invocato dagli eredi di quella Mediobanca, oggi invero assai meno potenti, per recuperare il co-controllo del Corriere che un “barbaro alle porte” gli stava per portare via.
E fa anche specie che tutto questo sia nato, alla fin fine, dall’abbandono del campo da parte dell’erede dell’Avvocato Gianni Agnelli, quel John Elkann che a capo del gruppo Fca ha deciso di uscire dalla Rcs, sguarnendo il gruppo dei muscoli del primo azionista. John, erede dello stesso avvocato che, 29 anni fa, quando Schimberni tentò di scalare anche la Fondiaria, sentenziò: “Bi-Invest humanum, Fondiaria diabolicum”, suonando in questo modo la carica del vincente contrattacco di Mediobanca. Dunque scalare il mite Carlo Bonomi fu “humanum”? E adesso il diavolo ci mette la coda e consegna le sorti di Mediobanca & C. alla forza finanziaria e al coraggio del figlio Andrea.
E dunque cosa c’è nella testa di Andrea? Una rinvincita “di famiglia” sicuramente; ma soprattutto il business. Per Alberto Nagel è invece soprattutto un modo per riaffermare la forza di Mediobanca sul mercato dei grandi affari, contrastando la crescita in realtà già trionfante del gruppo Intesa, con Banca Imi, sponsor di Urbano Cairo.
Per Diego Della Valle la voglia di restare a centrocampo del futuro di Rcs, sapendo bene lui – proprio perché lo conosce e lo stima – che con Urbano Cairo tutti i ruoli in partita sono avocati dal mattatore, lo stesso Cairo, che gioca a centrocampo, in porto, all’attacco e in difesa. Per Pirelli e Unipol, la semplice (e convinta) cura dei propri interessi finanziari a medio termine (perché davvero pensano che l’Ops di Cairo sia troppo avara, e certo generosa non è); e, nell’immediato, la conferma di un’appartenza all’area Mediobanca che, pur non collimando in tutto con la visione di Nagel, ritengono di non dover per ora rinnegare.
C’è poi davvero un livello politico di lettura dell’intera vicenda? Ha senso l’interpretazione, intensamente circolata, di un Bonomi filogovernativo contro un Cairo d’opposizione? Chi conosce meglio i due giura di no. Cairo nobilmente vota – come tutti gli imprenditori - dove lo porta la tasca; se avesse voluto far politica (o anche solo trarne vantaggio), essendo stato in quindici anni di collaborazione più che prezioso per Berlusconi ed essendogli sempre rimasto caro, non avrebbe avuto che l’imbarazzo della scelta, nel Ventennio del Cavaliere; quanto a Bonomi, da sempre residente in Svizzera e cittadino del mondo, non appartiene a quel gruppetto di manager, imprenditori e finanzieri italiani che periodicamente si lasciano sedurre dal fascino del “safari istituzionale” e si mettono a finanziare campagne elettorali, fanno passerelle alla Leopolda e interviste plenarie nelle quali riscrivono la finanziaria al governo di turno.
Bonomi fa business, di Renzi ha certo apprezzato la riforma delle popolari, ma le popolari non hanno apprezzato lui, e ha voltato pagina. Se poi nei fatti lo spazio di mercato del gruppo Rcs e dei suoi media, domani, dovesse corrispondere più all’area filogovernativa che a quella anti, sarebbero forse tempi duri per alcune delle firme del Corriere meno morbide con il premier fiorentino. Ma sono scenari di là da venire. Tutt’altro che definiti. Oggi conta solo l’articolo quinto: chi mette i soldi, ha vinto.