Economia
June 18 2017
"Preferisco ancora comprare una pagina di pubblicità su un quotidiano, piuttosto che far fare otto post a questa qui con addosso i miei prodotti: rischio pure che stia antipatica a qualcuno e mi rovino il brand. Sei d’accordo?"
La spinta a immergerci nello scintillante mondo degli influencer nasce proprio dalla domanda di questo giovane imprenditore.
Non avevamo elementi per dare una risposta, dunque ci siamo documentati, anche perché abbiamo capito di non essere i soli ad avere le idee poco chiare sul marketing influencerche, solo nel 2016, ha fatto circolare per il mondo 570 milioni di dollari. E il trend è in continua crescita.
Di cosa stiamo parlando? Del fenomeno per cui persone, più o meno famose, non necessariamente autorevoli, ma con un forte seguito digitale - al secolo gli influencer -, reclamizzano su piattaforme online, prevalentemente YouTube e Instagram, prodotti commerciali: certe volte gratis, altre in cambio di regali, denaro o differenti forme di pagamento, tra cui persino buoni acquisto spendibili su Amazon e deducibili dalle tasse.
I loro seguaci, di solito, sono molto giovani, la loro portabandiera italiana (conosciuta, lei sì, probabilmente anche tra gli over 40), l’antesignana Chiara Ferragni: un profilo da 9,7 milioni di follower (seguaci) che, secondo i beninformati, le vale un tariffario da 20 mila euro a post, ovvero ogni fotografia sponsorizzata pubblicata sulla sua pagina Instagram.
E qui si arriva a una novità di queste settimane: "La Federal trade commission, negli Stati Uniti, ha dichiarato che se si ricevono compensi per reclamizzare prodotti è necessario dichiararlo esplicitamente nel post, altrimenti è pubblicità occulta" spiega l’avvocato Gianluca De Cristofaro, esperto in diritto della pubblicità.
"Nel Regno Unito si sono già adeguati, in Italia, sembra che ci si stia muovendo nella stessa direzione, anche sotto la spinta dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria e dell’Unione consumatori".
Lo conferma Carlo Noseda, ceo e fondatore dell’agenzia creativa M&C Saatchi, oltre che presidente di Iab, la principale associazione di categoria delle aziende di comunicazione e pubblicità in America ed Europa: "Col cappello del pubblicitario, dico che questo fenomeno rappresenta un media nuovo: una gigante opportunità per parlare con le persone in un modo ancora diverso. Con quello da presidente di Iab, aggiungo che tutti devono pagare le tasse e che è fondamentale regolamentare il settore, anche se sono convinto che il pubblico sia molto meno ingenuo di come lo pensiamo: capisce da solo quando l’iniziativa è commerciale".
Ivano Marino, avvocato con la passione per il fashion, è capitato per caso in questo mondo, ora è un influencer e con altri due colleghi ancor più noti, Paolo Stella ed Eleonora Carisi, ha fondato Grumble, un’agenzia dove uniscono le forze in progetti di comunicazione. Per lui, ben venga la dichiarazione di contenuti a pagamento: "Non vedo perché gli utenti non debbano essere a conoscenza del fatto che un post sia sponsorizzato da un brand, il problema nasce quando si rinuncia al gusto personale per seguire quello economico. A me è capitato di dire no a diverse collaborazioni perché non in linea con il mio stile, mentre con alcuni brand collaboro gratis".
Il tariffario, per quelli ben quotati, è tra i 2 e i 4 mila euro a foto pubblicata e molto spesso è gestito da veri e propri agenti.
Tenere alta la propria bandiera è vitale. Lo conferma Elena Braghieri, 74 mila follower: "Sono un’influencer atipica perché mi mantengo facendo l’assicuratrice e dunque non prendo soldi per i post". Solo regali. Laureata in matematica, la 41enne sposta l’attenzione sui numeri, l’altro tallone d’Achille dei nuovi imprenditori digitali. "Esistono molti sistemi per comprare sia i follower che l’engagement, cioè il coinvolgimento, ottenuto da finti commenti e finti like sotto ciò che si pubblica".
Per stanare chi bara, a ogni modo, è già nato un trucchetto: si chiama Social blade, un’app che monitora giorno per giorno l’andamento di seguaci per ogni profilo esistente su YouTube e Instagram. "Se uno aumenta mediamente di 200 al giorno e una mattina ne incamera 18 mila in un colpo capisci che ha fatto shopping di ammiratori".
Eppure, ad aziende e addetti ai lavori non importa granché. "È un male accettabile» dice Michele Gentile, head of digital presso il centro media (sono le agenzie di mediazione nella fascia alta della pubblicità) Maxus. "Le aziende che investono su questo canale sono pronte ad accettare il rischio: si prende per buono il numero di follower dichiarato".
D’accordo anche Simone Tornabene, professore di communication strategy e media planning alla Iulm di Milano. Sostiene infatti che sia proprio Instagram, con i suoi numeri espliciti, ad aver alimentato la bolla dell’influencer marketing: "I rapporti commerciali qui sono molto più trasparenti di quelli che riguardavano i blog, sui quali il pubblico non era direttamente verificabile".
Ragione per la quale, secondo Paride Vitale, capo dell’omonima agenzia di comunicazione "la stagione dei blog è finita". Quanto agli influencer, nel concreto, "non servono a posizionare un marchio, anzi, quelli già forti di loro non ne hanno bisogno. Sono utili soprattutto a vendere perché raggiungono molto velocemente tante persone, di solito giovani. Per Vitale: "Rappresentano una piccola, nuova, parte della comunicazione, non la nuova comunicazione".
Posizione condivisa da Massimiliano Giorgetti, direttore creativo di MSGM, marchio di moda figlio di questi tempi, che aggiunge: "Trovo che la comunicazione tradizionale e il lavoro con un influencer siano due cose completamente diverse: una non deve escludere l’altra, dipende dalle priorità dell’azienda. Ma non rinuncerei mai a quella tradizionale».
Più digitale la posizione di Alice Carli, direttore marketing, retail e business developer mondo del marchio Peuterey: "Internet non è più uno dei tanti ambiti della comunicazione, né soltanto uno dei diversi canali in cui si declina un progetto: è 'testa' delle strategie di marketing. Il potenziale digitale, il cosiddetto digital thumb di un’idea, è ormai determinante in una campagna". Quanto agli influencer, "sono degli 'strumenti' imprescindibili per le aziende: bisogna però saperli utilizzare".
Il passo successivo di questa evoluzione sembra essere quello di lavorare sulla loro professionalizzazione. "Molti si offrono senza dare valore aggiunto" spiega Silvio Corbi, head of digital del centro media Mec. "Per marchi solidi come Barilla, Grana Padano o Sky è molto importate la qualità di chi parla di loro, per questo si affidano a influencer medi, che chiedono da 50 a 80 euro a post, ma sono autorevoli nei rispettivi settori".
Lo conferma Campari: "Sono un fenomeno destinato a espandersi" spiega Lorenzo Sironi, direttore marketing Italia dell’azienda di beverage. "Con ogni probabilità, però, ci sarà un ridimensionamento che premierà i creatori di contenuti di qualità".
Detto fatto. Sulla scena si stanno già affacciando gli advocate: "Preparatissimi negli specifici canali tematici. La notorietà non basta più, anzi, certe volte può diventare un boomerang" spiega Alessia Salvatori, co-fondatrice di Rankit, la prima piattaforma di advocate marketing. "Il popolo di internet è pieno di haters, ovvero odiatori seriali".
E forse ci bastano già quelli in carne e ossa.
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Ci sono le app per barare e quelle per stanare i bari
Si chiamano bot di Instagram, anche se la piattaforma le disconosce, e sono quelle applicazioni, non regolari, ma rintracciabili su Google, che consentono di recuperare follower, commenti e like senza muovere un dito.
Alcune trasformano le persone seguite in seguaci, oppure fanno sì che i like e i commenti che noi lasciamo sui profili di altri utenti diventino like e commenti sul nostro.
Tra le più popolari, Instagress, che però il 20 aprile è stata soppressa per espressa richiesta di Instagram.
In giro si trovano ancora, tra le tante, PeerBoost, InstaPlus, Mass planner e Fan harvest: con 5 dollari si comprano anche 1.000 follower. La app Social Blade, invece, è un ottimo trucco per scoprire chi bara: monitora l’andamento giornaliero dei seguaci di ogni profilo, rendendo così palesi eventuali impennate sospette.