News
January 09 2024
Le etichette possono bruciare come il fuoco sulla pelle. Lo sa bene Chiara Ferragni, indagata ieri dalla procura di Milano per truffa aggravata nell'ambito delle indagini che coinvolgono l'influencer più famosa al mondo e l'azienda dolciaria Balocco.
In un strano gioco del destino, l'esperta e imprenditrice digitale, ora si ritrova per la prima volta a dover forzatamente cedere le chiavi esclusive della sua gabbia digitale dorata e affidarsi a esperti di comunicazione nel tentativo di raccogliere i brandelli di quella "reputation", usando un termine prettamente social, che ha visto vacillare a colpi di unfollow e critiche. Una vera e propria task force, composta da avvocati ed esperti del settore guidata dall’agenzia di comunicazione Community e dagli studi legali Gianni & Origoni (in capo agli aspetti legali, societari e civilistici della vicenda del Pandoro Balocco) e Marcello Bana (in capo agli aspetti penali).
Odi et amo. Dietro uno schermo e una tastiera siamo tutti bravi. E Ferragni questo lo sa bene. La ribattezzata imprenditrice digitale, si dice tranquilla, in attesa che la giustizia faccia il suo percorso. Passa il tempo in famiglia, nella sua nuova reggia a City Life. Leone e Vittoria. La mamma. Federico, in arte Fedez.
Al momento la posizione sembra essere sobria. Lontana anche dall'ennesimo errore mediatico della tuta grigia da centinaia di euro e lo sguardo dismesso. Chiara è truccata, alla moda, mamma. È sicuramente pacata. Silenziosa sui rapporti commerciali o sulla questione Balocco (e le connesse indagini in corso tutti i suoi progetti passati). Oggi, stando alle cronache, la donazione di un milione di euro da parte promessa dall'influencer nel video di scuse più contestato d'Italia sarebbe arrivata a destinazione all'ospedale pediatrico torinese Regina Margherita. Per Klaus Davi, massmediologo, «La Ferragni ha ammesso un errore, ha fatto autocritica, ha tirato fuori un milione di euro. Per chi vive di comunicazione ammettere un errore in questo campo non è una cosa da poco. Sicuramente ha tentato di rimediare a un errore ma comunque ha reagito alla crisi. All'inizio è stata un po' tentennante poi ha reagito. Non mi sembra un comportamento così negativo». «Un bel gesto» conclude l'esperto «che tenta di riparare. L'evoluzione della storia dipenderà molto dal mondo del web, che è quello della Ferragni». E il web, a oggi, non sembra ancora pronto a perdonare, tanto che la donazione e le storie da "persona comune" non bastano a risollevare le sorti della famiglia Ferragnez, colpita come da un ciclone e oggi in continuo calo di followers.
Pacata è anche la reazione dell'altra metà della vicenda, Balocco, che in una nota fa sapere di essere «un'azienda abituata a "far parlare i propri prodotti"». «La sobrietà fa parte dello stile della famiglia, incline al lavoro ma riservata, poco esposta a livello mediatico» continua.«Le recenti vicende – in particolare gli sviluppi della giornata odierna – ci hanno profondamente turbato, anche pensando ai valori che ci guidano e all’etica che ci ha sempre contraddistinto. Siamo fortemente dispiaciuti che l’iniziativa sia stata fraintesa da molti: collaboreremo con le autorità – in cui riponiamo piena fiducia – certi che emergerà la nostra assoluta buona fede, e continueremo a impegnarci a creare prodotti di qualità da offrire ai consumatori in Italia e nel Mondo, anche per tutelare chi è legato all’azienda, a partire dalle famiglie di chi lavora con noi.E proseguiremo a fare del bene, come già facciamo da tempo, mettendo con ancor più forza i nostri valori al centro di tutti i nostri progetti». Nessuna menzione all'influencer ma piuttosto un sottolineare l'heritage culturale di Balocco e il suo impatto da anni nell'ambito dolciario italiano.
Ma dove sta il nodo della questione? In un concetto tanto piccolo quanto ampio chiamato influencer marketing. Sempre più aziende oggi inseriscono questa leva all’interno del proprio marketing mix, ma essendo questo un settore multi sfaccettato, veloce, che corre se possibile più veloce del tempo, che non può più essere affrontato con superficialità, sia per la rilevanza a livello di investimenti, sia per tutte le implicazioni che porta con sé. Ovvero uno strumento che mira a rispondere ad alcune delle domande più comuni da parte di aziende e attori del settore sul rapporto tra Influencer e sicurezza del brand, ma anche sulla tutela degli stessi creator e dei loro intermediari.
E a spiegarcelo meglio è Rosario Magro, COO FLU, Part of Uniting Group, realtà specializzata in influencer marketing. «L’ultimo report di UPA (Utenti Pubblicità Associati) dimostra come il mercato dell’influencer marketing sia in decisa crescita. La spesa in questo strumento di comunicazione è aumentata del 10% quest’anno, molto di più della media di mercato – che dovrebbe (sempre per UPA) chiudere tra il +2,5% e il 3% - e si attesta sui 323 milioni di euro e c’è sempre un maggiore interesse da parte delle aziende: il 90% delle aziende ha scelto questa leva nel 2023. Erano l’81% nel 2022». Secondo Magro, «I creator sono equiparati a veri e propri mezzi di comunicazione: il 56% delle aziende, infatti, inserisce la spesa per gli influencer nel budget media. Un 19% lo utilizza come strumento di comunicazione, il 14% come strumento di marketing». C’è però una sostanziale differenza tra l’utilizzo degli influencer e tutte le altre tipologie di canali media. «Si tratta, infatti, di associare il proprio brand, la propria azienda o uno specifico prodotto, ad un volto. Una persona, con le sue caratteristiche, il suo tono di voce, i suoi valori. E anche le sue possibili debolezze. Diventa, quindi, fondamentale tenere a mente alcune regole e alcuni comportamenti. Gli esperti la chiamano “Brand Safety”, ovvero sicurezza della marca. Una disciplina che non interviene solo a posteriori ma anche, e soprattutto, nel momento in cui la collaborazione con gli influencer si costruisce».
In controtendenza a una crescita costante solo metà delle aziende italiane utilizza tool per monitorare e garantire la brand safety e solo il 30% ha una figura o un team dedicato alla gestione delle attività di influence marketing. Brand safety, esatto.
Come spiegano in un report redatto da FLU, Part of Uniting Group, «La reputazione online è sempre più il risultato della percezione e della conseguente valutazione dei nostri comportamenti da parte di chi direttamente o indirettamente influenza il nostro operato. Tale percezione non è controllabile: la comunicazione sui social non è unilaterale, né verticale. Il pubblico non è un semplice fruitore passivo perché il web ha amplificato le attività di ricerca delle informazioni e la condivisione delle opinioni. Il digitale è dunque un ecosistema dove tutti sono costantemente interconnessi e sottoposti alla valutazione collettiva, spesso secondo regole che quello stesso contesto crea. Anche una sola comunicazione sbagliata può riflettersi negativamente sulla percezione dell’azienda da parte degli stakeholders, creando un crescendo di reazioni spesso anche rapidissime, con gravi conseguenze anche di tipo economico». Secondo uno studio dell'agenzia, realizzato con il contributo di IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria) e dello studio legale DGRS, «La credibilità e la reputazione sono i due aspetti più importanti per i marketer quando si parla di Brand Safety. Per il 30% la più difficile da controllare è invece l’efficacia, ovvero la certezza che gli influencer selezionati per la campagna siano veramente in grado di raccontare il proprio brand e prodotto con un tono di voce e dei contenuti allineati con i valori e l’immagine di brand».
Ma come combattere quello che sembra un declino annunciato? Rosario Magro ha stilato un vademecum di buone regole da applicare in casi come quello di Chiara Ferragni e Balocco.