Christian De Sica: 5 (buoni) motivi per chiamarlo “cult”
Il meglio deve ancora venire. Si cita Luciano Ligabue e si dice Christian De Sica. Perché in capo a una novantina di film consumati, inclusi sette da regista e uno girato da suo figlio Brando, si materializza una figura di attore, meglio, di artista in totale evoluzione e in pieno stadio di transito.
Cose che, prima o poi, succedono. Ma soltanto ai grandi. I quali, per un verso o per l’altro, sentono il bisogno di ritoccare la mappa del proprio percorso e scovare nuove sollecitazioni, sostanze diverse da modellare. Càpita. Per volontà o per caso, ma càpita. Anche a uno che, come lui, sta facendo la storia dello spettacolo in Italia (con propaggini internazionali), nel cinema e nel teatro. Senza, peraltro, compiacersene troppo o sentirsi pago. Così i buoni motivi per amarlo e considerarlo, già a questo punto, una figura di culto ci sono tutti. Molto motivati. E su alcuni è giusto approfondire.
1) Artista a 360 gradi. Portati bene
Intanto, la qualità della sua recitazione. Il trasformismo, che è peculiarità del mestiere d’attore e suo necessario patrimonio, diventa con De Sica un autentico mezzo di rivelazione, crescita, manifestazione ed espansione dell’arte. Non solo nella capacità di profilare una imponente e singolare entità di personaggi e di caratteri, ma anche di dilatare l’area di partecipazione e di comunicazione del proprio estro. Christian interpreta e crea, attiva più procedimenti espressivi, riesce a fare proprio tutto: intrattiene, presenta, recita, canta, balla, scrive sceneggiature, fa doppiaggio. Nel cinema, a teatro, in televisione, in area discografica. 360 gradi portati bene. Con una freschezza e un entusiasmo che hanno l’impronta della continua, instancabile renaissance stilistica e concettuale. Garbo, misura e brillantezza restano in Christian supporti stabili, inalterati e lineari nel tempo, al di là di una maturazione e di una crescita che sembrano davvero inesauribili. Aspettando prove nuove e sorprendenti.
2) Proprio come papà Vittorio
Mi dice il suo amico di sempre Carlo Vanzina: “Più passano gli anni, più la rassomiglianza con papà Vittorio diventa evidente. E non solo adesso. Era il ’97 e stavamo sul set del seguito di A spasso nel tempo. Christian nei panni di Ascanio si ritrovava nella Positano del ’55 vestito da carabiniere. Era l’omaggio al padre in una scena celebre di Pane, amore e… Bene, la gente che assisteva alle riprese non credeva ai suoi occhi quando lui è arrivato con quegli abiti; e tutti a dire ‘Vittorio!’ Roba da far venire la pelle d’oca”. Non è però solo un fatto fisico. E non una volontà, anche inconscia, di citazioni e di emulazione. L’eleganza ineguagliabile e la signorilità, il bon ton e la delicatezza aristocratica di Vittorio si ritrovano fedelmente e molto “naturalmente”, direi fisiologicamente, in Christian. Cui d’altra parte l’amore dichiarato e totale per il padre ha lasciato tracce addirittura commoventi oltre che tenerissime. Il cult non è qui nella mimesi o nella simulazione – che diverrebbe contraffazione - ma nella continuità e nella persistenza capaci di perpetuare, come in una sorta di incantesimo iconico, l’archetipo stesso.
3) Il dono degli affetti familiari
Da ragazzino il suo modello era Alberto Sordi. Già, da ragazzino. Quando Christian e Carlo diventarono amici, come Vanzina ricorda ancora, “Le nostre famiglia si frequentavano, lui e Manuel mi stavano antipatici, la mamma Maria, che era spagnola, li vestiva come ometti, stoffe lucide da Superbone e figli di papà. Poi invece diventammo inseparabili. Sognavamo di fare il cinema pure se avendo genitori famosi sapevamo che sarebbe stato complicato. Ma pensavamo sempre al modello Sordi, tanto che ad un certo punto avremmo voluto fare una specie di Vita difficile. Il suo personaggio di simpatica canaglia, senza cattiveria ma con punte di malinconia e solitudine, Christian l’ha costruito piano piano ma adesso gli va stretto. Perché è un grandissimo attore e sono sicuro che può misurarsi con ruoli davvero rilevanti”.
Il meglio, appunto, deve ancora venire. Ma le parole di Vanzina riportano anche a quel passato che Christian non solo non dimentica ma cerca anche, continuamente, di far rinvenire, nostalgico e romantico, fin nelle sensazioni, nei profumi. In modo quasi proustiano. È l’uomo, qua, non l’attore, a meritare ammirazione e rispetto, a diventare “esempio”. Gli affetti familiari di ieri e quelli perduti, quelli di oggi divisi fra la moglie Silvia (Verdone) e i figli Mariarosa e Brando sono il segnale di una misura sentimentale sempre viva e presente, rara combinazione di cuore e testa in quegli ambiti privati equilibranti e concreti.
4) Due film da ricordare, uno da scoprire
È tempo, anche in termini di valutazione e rivalutazione critica, di percorrere rapidamente la filmografia di Christian De Sica recuperando il valore di due passaggi esemplari, non solo nella sua carriera ma anche nella storia del cinema italiano. In tema di cult, probabilmente, Sapore di mare (1982), come si dice, non lo batte nessuno.
Quella di farlo, rinunciando a molti soldi che gli erano stati offerti per girare un altro film, fu scelta tutta sua ed ebbe ragione a sentirgli attorno, come lui stesso ha poi scritto, “odore di successo”, a puntarci su un pezzo di carriera come si fa al casinò e prender parte a quella sorta di “italian graffiti astuto ma sincero, il beach movie, la commedia di villeggiatura che racconta le estati italiane anni Sessanta sul set ideale di Forte dei Marmi”. Le parole, da condividere pienamente, sono di Christian, quel film va considerato come un piccolo spartiacque tra fasi, generazioni d’attori e stili narrativi diversi della commedia italiana.
Merito anche di Carlo ed Enrico Vanzina, naturalmente, che all’amicizia fraterna con De Sica hanno associato un lungo sodalizio professionale attraverso i molti film girati assieme (l’altro regista dei record, per Christian, è Neri Parenti).
In tema di valori della recitazione voglio ricordare Il figlio più piccolo di Pupi Avati, 2010, che rimane per De Sica – nella parte del miserabile imprenditore Luciano Baietti - una stupefacente prova drammatica, specchio, tra l’altro, di una ingente potenzialità recitativa. Quella che promette di esprimersi, questi giorni me lo raccontava proprio lui, in Fräulein - una fiaba d'inverno, esordio alla regia di Caterina Carone (uscirà in sala il prossimo 26 maggio). Parte inedita, imprevedibile, spiazzante in cornice altoatesina, incontro tra due solitudini (un turista sessantenne disorientato, una donna sfiorita e scontrosa) che promette un ulteriore salto di qualità.
5) Un mito del Cinepanettone
Strada facendo è diventato un genere. Un po’ commedia italiana, un po’ farsa, un po’ frutto d’un insieme di materie prime, intuizioni creative e pianificazioni produttive. “Genere” più a livello formale che sostanziale, comunque. E, alla fine, soprattutto in termini di definizione perché associato ad una tipologia di film consumata durante le festività natalizie. Insomma un’etichetta.
Concretamente, invece, lo racconta proprio Christian nel suo bel libro Figlio di papà (Mondadori), “nessuno lo ha inventato il cinepanettone. Non hanno fatto altro i Vanzina che rifare quei film che facevano Sordi, mio padre e il loro, di padre, Steno, tipo Vacanze d’inverno, dove mio padre faceva il portiere all’Hotel Posta di Cortina, Pupin, e Sordi faceva Sordi che andava lì in vacanza”. Dentro c’era tanta musica, canzoni e canzonette. E su quella linea, su un leitmotiv di quell’estate nacque Sapore di mare. Che Aurelio De Laurentiis volle aggiornare in chiave invernale con Vacanze di Natale dando vita, appunto, ad una serie fortunata e millionaire durata trent’anni e passa.
De Sica, in tutto questo, ha creato (per un lungo tratto anche in compagnia di Massimo Boldi) un personaggio perfino autonomo rispetto alla saga: non ripetitivo, sempre attuale, quasi prototipo e mitico nella sua matrice di borghese medio, a volte meschino e volgare, altre volte infedele e vigliacco. Con grande classe d’attore, ricchezza di sfumature e capacità di attrazione. Come solo Alberto Sordi aveva saputo esprimere nella sua galleria di tipi. Della quale Christian è diventato erede. Sopravvivendo, tra l’altro, alla “morte” del cinepanettone decretata cinque anni fa e diventando testimone straripante, proprio l’ultimo Natale (Vacanze ai Caraibi di Neri Parenti), della sua rinascita. E della sua metamorfosi che, forse, è anche palingenesi.
OUR NEWSLETTER