Dal Mondo
August 22 2023
La crisi del settore immobiliare cinese, oberato da un eccesso di costruzioni sfitte e per di più costruite a debito, sta conoscendo la sua fase più acuta. Dopo che il gruppo cinese Evergrande, un tempo il secondo più grande promotore immobiliare del Paese, ha presentato istanza di fallimento a New York all’inizio di agosto, si è scatenato un effetto valanga che ha portato al default molti altri grandi costruttori cinesi – tra cui Kasia, Fantasia e Shimao Group – a causa dei loro debiti. Di recente, inoltre, anche l’altro colosso immobiliare cinese, Country Garden, ha avvertito che «prenderà in considerazione l’adozione di varie misure di gestione del debito», alimentando le speculazioni sul fatto che l’azienda potrebbe prepararsi a ristrutturare il proprio debito mentre lotta per raccogliere liquidità. Ma altri interpretano la notizia come un possibile nuovo crollo.
Il fallimento di Evergrande è un monito e una grave insidia per il modello di crescita «a tutti i costi» che ha sostenuto la spettacolare ascesa della Cina di Xi Jinping degli ultimi trent’anni. Con inevitabili ripercussioni domestiche e nelle relazioni internazionali, se la crisi dovesse essere prolungata e più profonda del previsto. Specie in campo energetico, dove produzione cinese non è mai stata al passo del suo sviluppo industriale, cosa che costringe la Cina al ruolo di più grande importatore al mondo di petrolio e il secondo, dopo l’Unione europea, di gas naturale. Una posizione scomoda che la rende non indipendente in un settore chiave.
Ma andiamo con ordine. Quali sono le ragioni specifiche dietro questa crisi? Per decenni, Evergrande ha continuato a indebitarsi a causa della esplosione/espansione dell’economia nazionale cinese. All’epoca, la domanda di alloggi era così forte che spesso i costruttori, scommettendo su un’espansione senza limiti, pre-vendevano le unità abitative agli acquirenti ben prima che le costruzioni fossero complete. Talvolta, addirittura quando erano soltanto sulla carta. Ma l’improvviso cambiamento di politica da parte dei leader cinesi nel 2021 (spinto dalla devastante crisi pandemica), ha frenato i crediti concessi dalle banche lasciando gli immobiliaristi del Paese a nudo e a caccia di liquidità, aggravando così i rischi finanziari della seconda economia mondiale.
All’epoca, per frenare l’eccessivo indebitamento del settore e nel tentativo di rallentare l’aumento dei prezzi delle case, il governo centrale aveva infatti deciso di tagliare una delle principali fonti di finanziamento per gli sviluppatori immobiliari. Così facendo, però, dopo aver raggiunto un passivo di 300 miliardi di dollari, Evergrande non è più riuscita a raccogliere liquidità a sufficienza per far fronte ai pagamenti del debito. Pertanto, nel dicembre 2021 è andata in default, scatenando il panico sul mercato cui è seguita un’ondata di insolvenze da cui l’immenso mercato immobiliare cinese non si è ancora ripreso. Intanto, decine e decine di progetti e costruzioni sono state sospese, lasciando innumerevoli acquirenti delle prevendite letteralmente senza casa e con un pesante fardello di debiti. Molti di loro non riusciranno più a riprendersi, e di certo non potranno contribuire alla ripresa dei consumi e della fiducia nell’economia cinese.
Aggiunge la reporter di Cnn a Hong Kong Nectar Gan: «Il tasso di disoccupazione giovanile del Paese, che negli ultimi mesi ha toccato picchi record consecutivi, è ora talmente grave che il governo cinese ha sospeso la pubblicazione dei dati». Il che, ovviamente, si somma alla grave congiuntura economica che Pechino si ritrova a dover gestire. Tutto ciò ha trascinato il mercato cinese in un territorio negativo, al punto che adesso Pechino sembra non sapere come rispondere efficacemente. Questa settimana, per esempio, la Cina ha sorpreso gli investitori decidendo di non tagliare un importante tasso di interesse che influenza i mutui. Una mossa che, secondo gli economisti occidentali, renderà ancora più difficile riattivare la fiducia nel travagliato settore immobiliare del Paese, minando le prospettive macroeconomiche della seconda economia mondiale. In parole povere, come hanno scritto Julian Evans-Pritchard e Zichun Huang di Capital Economics, «l’ultima serie di tagli è troppo piccola per avere un grande impatto. Questo rafforza l’opinione secondo cui è improbabile che la People’s Bank of China si dedichi a tagli dei tassi molto più consistenti, necessari per rilanciare la domanda di credito».
A dieci mesi dal suo terzo mandato, dunque, Xi Jinping ha deluso le attese di quanti, specialmente sulle questioni domestiche, speravano nell’affermazione definitiva di Pechino nell’empireo delle superpotenze. Ma la crescita infinita è il contrario del concetto stesso di ciclo economico che, per definizione, è in continuo mutamento. Se negli ultimi dieci anni Xi si è spinto molto e bene in avanti nelle relazioni internazionali, concentrandosi sull’appropriarsi del ruolo di dominus globale – così è riuscito a fare in Africa e nel rapporto con i Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), ma anche in Asia e nel Medio Oriente – altrettanto non ha saputo fare in casa propria. Questo è anche conseguenza del semi-fallimento del progetto della Nuova Via della Seta (Belt and Road Iniziative), ostacolato apertamente dagli Usa e in parte dall’Ue. La Cina, insieme ai suoi oltre 140 Paesi partner, grazie alla cooperazione della Belt and Road, sinora aveva «incrementato il suo commercio fino a oltre 9,2 mila miliardi di dollari e instaurato la più estesa piattaforma di cooperazione del mondo» come affermato orgogliosamente nel 2021 dal ministro degli Esteri Wang Yi.
Ma dopo il rigido blocco delle attività cinesi dovuto alla pandemia, la tanto attesa ripresa economica della Cina ha vacillato e oggi rallenta in maniera preoccupante. Come mai? «Perché il traino della crescita (di ogni Paese) viene dai consumi, dalla spesa pubblica, dagli investimenti, dal saldo fra esportazioni e importazioni. Le famiglie cinesi, temendo che il peggio non sia passato, non si sono riversate a consumare come è accaduto negli Stati Uniti e, in misura minore, in Europa» spiega l’economista Giorgio Arfaras, autore nel 2022 dell’illuminante saggio Le Regole del Caos (Paesi Edizioni) sulla differenza tra le economie dei sistemi democratici e quelli illiberali.
Ecco perché Cina e Russia hanno sempre più bisogno più l’una dell’altra: gli scambi commerciali tra Pechino e Mosca sono aumentati addirittura del 36 per cento quest’anno, raggiungendo i 34 miliardi di dollari. Se l’export russo ha sinora impedito il tracollo della sua economia è proprio perché, dopo aver perso il mercato europeo, ha conosciuto comunque un incremento grazie ai prodotti energetici - gas, carbone e petrolio – esportati in quantità in Cina per soddisfare i suoi crescenti bisogni. Pechino, di converso, non può che ricambiare premiando Mosca quantomeno con il sostegno all’avventura in Ucraina di Putin, senza mai davvero esprimere una condanna della guerra. E semmai fornendo armi sottobanco o via Medio Oriente. Intorno a questo asse energetico sino-russo, infatti, adesso ruotano anche i Paesi del Golfo: non solo Iran ma anche Arabia Saudita. Le relazioni diplomatiche tra i due Paesi-guida mediorientali sono state ristabilite dopo anni di tensioni grazie proprio ai negoziati promossi da Pechino, che ha un disperato bisogno della loro energia per rilanciare l’industria nazionale.
La seconda economia mondiale, in definitiva, è a un passaggio cruciale della sua storia, perché afflitta da una convergenza di problemi che qualcuno definirebbe «tempesta perfetta»: non solo la grave crisi immobiliare e la fame energetica, ma anche l’aumento del debito delle amministrazioni locali, fino al peggioramento della pressione deflazionistica e le incertezze sugli scenari internazionali, con particolare sguardo a Taiwan e al Pacifico. Dove gli Stati Uniti non a caso intendono mettere sempre più pressione al loro antagonista asiatico, al fine di non perdere la primazia degli scambi commerciali nell’area.
La Cina di Xi Jinping, insomma, vive quella congiuntura negativa di eventi di un ciclo economico che Giorgio Arfaras chiama la «trappola dei Paesi a medio reddito»: trappola che si manifesta quando si va esaurendo la grande crescita economica che si ha (come è stato il caso della Cina) con l’urbanizzazione dei contadini che vanno nelle fabbriche a svolgere dei lavori che non richiedono particolari competenze. «Per uscire dalla trappola, per fare il passo successivo» riflette l’economista «non si può non imitare i Paesi che ne sono usciti. Come? Con la stabilità che sorge dal “capitalismo combinato con la democrazia”. Con quest’ultima intendendo la certezza del diritto, libere elezioni, e l’uso dello stato sociale per ottenere il consenso. Un salto che in Cina non è stato ancora fatto».
Se il passaggio a un’economia capitalista stabile sia o meno in relazione alla forma di Stato e di governo è un pensiero che deve aver sfiorato l’élite cinese, ma è anche vero che il Partito comunista non rinuncerà mai al controllo sui cittadini in nome di una crisi economica che, se pur grave, non rappresenta ancora un elemento di rischio tale da vedere dissolversi i grandi progressi dell’era Xi. A meno che non si voglia pensare che la exit strategy migliore per Pechino sia una guerra vera, e non soltanto commerciale.
Essendo uno dei maggiori promotori immobiliari cinesi, il default del debito di Evergrande annunciato alla fine di dicembre 2021 ha scatenato una crisi immobiliare senza precedenti dopo anni di ottimismo nel settore immobiliare.
Da quando la Cina ha iniziato ad aprire la sua economia negli anni '80, il mercato immobiliare è stato un motore chiave della crescita economica. Tuttavia, la richiesta di protezione dal fallimento degli Stati Uniti da parte di Evergrande nell'agosto 2023 si aggiunge alle attuali preoccupazioni sullo stato e sulle prospettive del settore immobiliare cinese. Il settore immobiliare cinese è di importanza sistemica e la sua traiettoria futura avrà implicazioni per molti dei nostri membri che hanno beneficiato della sua robusta crescita in passato.
La Cina ha anche smesso di pubblicare dati sulla sua disoccupazione giovanile record, vista da alcuni come un'indicazione chiave del rallentamento economico e un ulteriore segnale della svolta della Cina verso l'interno.
Dato che molti si aspettavano una ripresa economica positiva della Cina dopo la revoca delle misure zero COVID, le aziende stanno adottando un approccio "aspetta e guarda" per il prossimo trimestre dopo l'ondata di politiche di aumento dei consumi rilasciate negli ultimi mesi.
La Camera di commercio dell'Unione europea in Cina è pronta a continuare a sostenere la ricostruzione della fiducia delle imprese e la stimolazione degli investimenti esteri, il che richiederà chiare tabelle di marcia per le riforme dell'accesso al mercato per sostenere pienamente la crescita economica della Cina.