Economia
July 09 2015
Quando abbiamo scritto che a dispetto di tutte le previsioni Pechino non si sarebbe limitata a osservare passivamente l'evoluzione della crisi abbiamo avuto ragione. Del resto, oggi più che mai il regime non può permettersi da un lato di lasciar cadere il paese nel panico, dall'altro di alimentare oscillazioni pericolosissime che in una manciata di settimane hanno bruciato ricchezze per un valore complessivo che si sta rapidamente avvicinando al tetto dei tremila miliardi di dollari.
Risorse di emergenza
Dopo un fine settimana drammatico, lunedì la situazione è migliorata grazie alla scelta del governo di indurre banche e fondi azionari a mettere insieme "risorse d'emergenza" da utilizzare per restituire un minimo di liquidità a un mercato che in un mese e mezzo, era sceso del 18 per cento. Ancora, le contrattazioni di circa 1.300 società, tra Shenzhen e Shanghai, sono state sospese. E così facendo sono state congelate circa il 45 per cento delle operazioni.
Il secondo crollo
In un primo momento le borse avevano reagito bene. E dopo i primi rialzi era stato dato per scontato che piano piano, e con nuove regole, l'equilibrio sarebbe stato ritrovato. E invece non è successo: mercoledì lo Shanghai Composite, uno degli indici di riferimento della borsa cinese, ha perso un altro 6,8 per cento di valore. Costringendo le autorità ad intervenire di nuovo. Quindi agli investitori che posseggono più del 5 per cento delle azioni di un'azienda è stato proibito vendere, ed altre 500 aziende sono state aggiunte al già lungo elenco di operatori cui è stato vietata la compravendita di titoli ai fini di isolarle da un possibile contagio.
Per la seconda volta, i mercati hanno reagito bene, e infatti già oggi le borse asiatiche hanno chiuso segnando un minimo rialzo: +1,3 Shanghai, +3,4 Hong Kong, + 0,6 Tokyo.
Le incognite sui prossimi giorni
La vera incognita, però, resta legata a ciò che succederà sui mercati finanziari orientali nel fine settimana. La voglia di vendere ora è altissima, e lo è per due motivi. Anzitutto una piazza che si è rivalutata in pochi mesi del 150 per cento crea aspettative e incentivi alla vendita enormi. Ed è altrettanto naturale che se questo guadagno inatteso comincia ad essere eroso, l'unico scenario possibile è quello di una corsa alla vendita generalizzata. Aggiungiamo poi il panico creato prima dalle scivolate dei mercati, poi dalla sospensione dei titoli, ed è evidente che la corsa alla vendita non può che diventare ancora più frenetica, irrazionale, e sconsiderata. E questo è il clima che si respira sui mercati finanziari della Repubblica popolare in questi giorni. Ed è di questa "inevitabile irrazionalità" che dovremmo preoccuparci.
Perché il governo continuerà ad intervenire
C'è chi è convinto che gli interventi per evitare crisi di panico non possano far altro che alimentarlo ancora di più. Dal loro punto di vista, le borse stanno bruciando gli eccessi di ricchezza accumulati nell'ultimo periodo quindi, nella peggiore delle ipotesi, ci ritroveremo nelle prossime settimane con un mercato che sarà tornato agli stessi livelli di inizio anno. Ma questa lettura è solo parzialmente vera. Perché tanta di questa ricchezza è stata creata con investimenti basati sui prestiti. Quando si investe più di quanto si possiede (quindi chiedendo in prestito denaro) e il mercato cresce, i profitti aumentano ma chi se ne avvantaggia di più è chi ha messo il denaro extra a disposizione. Quando invece il mercato cala, chi deve far fronte alle perdite è il singolo che ha chiesto denaro a prestito, che inevitabilmente ne esce fortemente penalizzato. E visto che sono soprattutto i piccoli operatori che si muovono in questo modo, la crisi potrebbe bruciare risparmi e piccole aziende. E Pechino non può permettersi che succeda. Quindi continuerà a intervenire per evitare il peggio, nella speranza che con questi piccoli aiuti il mercato riesca prima o poi a ritrovare un equilibrio sostenibile.