Cina la nuova egemonia

Si scrive transizione energetica ma si legge transizione basata sui metalli. I metalli necessari alla costruzione di tecnologie a basse emissioni di carbonio. È il lato oscuro delle tecnologie verdi (ma anche l’elemento fondamentale delle tecnologie digitali), ad essere intrinsecamente legate a metalli “sporchi”. Un'economia globale a zero emissioni, se si concretizzerà, non sarà solo neutrale dal punto di vista delle emissioni di carbonio, consumerà anche molte meno materie prime. Per arrivarci però, ci vorranno un bel po' di materie prime critiche. Un esempio? Un veicolo con motore a combustione ne richiede 50 kg, un veicolo elettrico quattro volte di più. Un impianto eolico offshore richiede una quantità di risorse minerarie 13 volte superiore a quella di un impianto a gas della stessa capacità.

Nei prossimi decenni, le catene di approvvigionamento minerario determineranno nuove fortune. Se è indubbio che l’abbondanza di giacimenti di combustibili fossili ha arricchito nazioni come Arabia Saudita, UAE, Stati Uniti o Norvegia, per citarne solo alcune - meno note sono le riserve di petrolio in Guyana dove le recenti prospezioni indicano che nel 2028 lo stato sudamericano sarà in grado di produrre giornalmente 1,2 milioni di barili ovvero 1,1% del volume mondiale di greggio; in prospettiva una ricchezza più duratura può essere guadagnata esportando miliardi di tonnellate di metalli e terre raredi cui il mondo ha estremamente bisogno per costruire tecnologie a basse emissioni di carbonio. I metalli della transizione si trovano nei pannelli fotovoltaici, turbine eoliche, batterie per la mobilità elettrica e per la conservazione dell’energia, nei magneti degli alternatori e negli elettrolizzatori per la produzione di idrogeno, e sono indispensabili anche per le tecnologie di informazione e comunicazione. Si ridisegna la cartina mondiale della geopolitica del mondo dell’energia trasformando alcuni Paesi più piccoli e storicamente sottosviluppati in superpotenze delle materie prime della transizione green. Cile e Perù forniscono già la maggior parte del rame. Tale è la fame del primo metallo storicamente lavorato dall’uomo, che un’industria mineraria canadese è pronta a investire 7 miliardi di dollari in un mega-progetto persino in una zona instabile come la frontiera tra Pakistan e Iran. Il Congo si afferma come principale produttore di cobalto che non si trova allo stato puro ma è un sottoprodotto dell’estrazione di rame o nichel. Caratteristica che ha consentito all’Indonesia produttore di metà del nichel mondiale, altra materia prima essenziale per le batterie delle auto elettriche, di diventare anche uno dei principali fornitori di cobalto. Facendo leva su questa supremazia, il governo di Jakarta ha vietato l’esportazione di qualsiasi materia prima. Quando l’Unione Europea ha impugnato presso il WTO l’applicazione di queste misure protezionistiche, si è sentita controbattere dal ministro degli investimenti indonesiano che il loro bando all’esportazione non è che una moderna replica delle misure economiche utilizzate in passato dalle economie occidentali per consolidare il loro sviluppo industriale: dal divieto di esportazioni di lana grezza per stimolare l’industria tessile britannica ai dazi sulle importazioni per rafforzare la produzione interna degli Stati Uniti nel XIX° e XX° secolo.



L’impatto di questa transizione metallica, i condizionamenti dell’approvvigionamento di minerali critici e il rischio di abuso della posizione dominante dei nuovi padroni dei metalli rari, sono i temi su cui indaga il documentatissimo saggio “Cina la nuova egemonia. La guerra dei metalli rari” di Giovanni Brussato (Guerini e Associati, 2024). L’articolata analisi dell’ingegner minerario espone tre ordini di problemi. Primo dilemma. Ora chenei prossimi 25 anni ci apprestiamo ad estrarre più rame di quanto estratto dall’età del bronzo,è lecito chiedersi se la disponibilità delle materie prime necessarie è sufficiente?Il picco produttivo raggiunto nel 2012 è solo una frazione della produzione di metalli richiesta per raggiungere gli obiettivi climatici. Secondo le stime dell’agenzia Internazionale per l’Energia, IEA, per raggiungere la neutralità carbonica la domanda di metalli verdi dovrà aumentare di almeno di 6 volte entro il 2040. Siamo decisamente fuori traiettoria.

L’esplorazione di base è un’attività costosa con un tasso di riuscita stimato inferiore all’1%. Negli ultimi dodici anni, la crisi del settore ha spinto le compagnie minerarie a concentrarsi sullo sviluppo di depositi geologici già collaudati piuttosto che su prospezioni minerarie in nuove aree. Dei 224 depositi di rame scoperti tra il 1990 e 2020, solo 15 sono quelli trovati nel penultimo quinquennio (2010-2015) e solo uno tra il 2015 e 2020. In calo anche la produttività dei siti con tenori di rame inferiore allo 0,5%. Peraltro, l’oro continua a monopolizzare quasi la metà del budget totale delle prospezioni minerarie mondiali, mentre il rame rappresenta 24%, il nichel e il litio ciascuno 6%, e le terre rare 1%. Il secondo nodo sollevato dall’autore riguarda la capacità dell’industria mineraria, oggi palesemente sottocapitalizzata, di riuscire ad estrarre e raffinare queste risorse. Il dominio della Cina nella lavorazione dei cosiddetti “metalli tecnologici” e controllo indiretto di miniere in diversi paesi africani, ha prodotto delle frizioni tra il Regno di Mezzo e l’Occidente. Finalmente quest’ultimo ha colto il nesso strategico tra industria mineraria estrattiva e sicurezza nazionale.

Pare incredibile ma come fa notare Brussato, la concentrazione nella produzione e riserve della catena di approvvigionamento dei metalli necessari per la transizione green è di gran lunga superiore a quella della materia prima da sempre più scambiata al mondo: il petrolio. Per alcuni minerali e metalli raffinati i paesi europei arrivano a dipendere dalla Cina per oltre 75%. Eppure, nessuno finora ha ipotizzato di attribuire a un organismo sovranazionale il mandato di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento dei metalli critici, come invece dopo lo shock petrolifero del 1973, venne istituita l’IAE.Anche se tardivamente, gli Stati Uniti e l’Europa si sono risolti a adottare misure per riappropriarsi se non dell’intera catena di approvvigionamento mine-to-market, almeno per un ripiego su fornitori di paesi alleati con iniziative di friend-shoring. Tuttavia, oltre ad andare contro i principi del libero scambio, un mondo a due blocchi porterebbe a una perdita potenziale del 5% della produzione economica globale nei prossimi 10-20 anni, equivalente a circa 4,4 trilioni di dollari.Per garantire disponibilità e sicurezzaalla suppy chain strategica per le energie rinnovabili e la mobilità elettrica dell’UE,dal 23 maggio è entrato in vigore il Critical Raw Materials Act, regolamento europeo che tra l’altro pone come obiettivo quello di estrarre in loco almeno il 10% della domanda annuale di terre rare dell'Unione Europea entro il 2030. La recente notizia della scoperta in Norvegia del più grande giacimento continentale di elementi di terre rare altamente pregiati potrebbe rappresentare un momento di svolta per spezzare il dominio cinese queste. La partita dell’estrazione e trasformazione dei metalli rari è ancora tutta da giocare. Ma come s’interroga l’autore, l’opinione pubblica è pronta ad accettare il lato meno sexy della transizione verde?

(Recensione di Patrizia Feletig)

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