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March 12 2018
2.958 voti a favore, 2 contro e 3 astensioni. Sono questi i numeri che hanno sostenuto l'emendamento con il quale il leader cinese Xi Jinping ha soppresso il vincolo costituzionale che prevedeva per il presidente della Repubblica popolare cinese un limite massimo di due mandati al potere.
Quando, verso la fine di febbraio, Pechino ha reso nota la possibiità che il parlamento modificasse questo punto del testo costituzionale si è subito alzato un coro di voci, in Cina e all'estero, contrarie a quella che era sembrata un po' a tutti una strategia volta a garantire a Xi Jinping non solo il potere a vita, ma anche a trasformare la sua leadership autoritaria in una vera e propria dittatura.
Del resto, di certo la Cina non spicca per trasparenza, democraticità e rispetto dei diritti umani. Tuttavia, invece di fermarsi a condannare la scelta di Xi o di invocare un impossibile, se non controproducente "intervento esterno" per fermare la deriva autoritaria del Regno di Mezzo, sarebbe forse più utile capire le ragioni di questa manovra, le sue potenzialità ma anche i suoi limiti.
La più grande paura della prossima deriva autoritaria cinese è legata alla percezione di un'affinità fortissima tra Xi Jinping e Mao Zedong. Del resto, il limite dei due mandati presidenziali era stato introdotto nel 1982 su suggerimento di Deng Xiaoping proprio in risposta ai disastri del Grande Balzo in Avanti e della Rivoluzione Culturale lanciati da Mao. Regole, pesi e contrappesi sembravano l'unica soluzione per evitare che per delirio di onnipotenza dei leader la Cina si ritrovasse a fornteggiare nuove tragedie umane di dimensioni colossali (negli anni del Grande Balzo in Avanti e della Rivoluzione Culturale sono morte in Cina più di 46 milioni di persone).
Ecco perché l'associazione tra Xi e Mao fa paura. Tuttavia, forse l'unico aspetto che i due leader hanno in comune è proprio il desiderio di accentrare il potere nelle proprie mani. Eppure, come ha recentemente sottolineato il South China Morning Post, i due leader hanno personalità, interessi, valori, obiettivi e priorità molto diverse. E in più vivono in due epoche profondamente diverse, e se la leadership di Mao è stata un disastro, quella di Xi appare degna di rispetto e fiducia.
Il fatto che Xi Jinping e Mao Zedong abbiano personalità molto diverse non trasforma il primo in un leader in cui possiamo riporre la nostra massima fiducia ne' lo assolve dalla responsabilità di aver definitivamente distrutto quel poco di libertà di espressione e di opinione che si era negli ultimi anni affermata in Cina. E' un dato di fatto che dal 2012 ad oggi (vale a dire da quando Xi è diventato presidente), il livello di libertàsul piano politico, sociale e accademico si sia nettamente abbassato. Anzi, verrebbe da dire che la libertà non esiste più, e che in Cina regni la paura. Paura di pronunciare la frase sbagliata, di scrivere sui social un commento irrispettoso, di essere denunciati per questo. Perché nell'Era di Xi per problemi di questo tipo (e per tanti altri motivi) si può facilmente finire in prigione. Proprio come succedeva ai tempi della Rivoluzione Culturale, verrebbe da dire...
Chi è allora, Xi Jinping? Un leader determinato che vuole concentrare nelle sue mani il potere per rendere il governo più stabile e traghettare così ancora più in fretta la Cina verso un futuro di benessere e prosperità o un uomo a cui interessa solo essere più forte degli altri?
Non potendo entrare nella testa del presidente cinese, rispondere a questa domanda è molto difficile. Tuttavia, è un dato di fatto che la Repubblica popolare potrebbe beneficiare molto da una leadership forte in grado di approvare e implementare rapidamente quelle misure politiche, economiche e sociali con cui Xi spera di riuscire a trasformare la Cina in una nazione più sviluppata, ricca ed equa. Dopo essersi reso conto che in cinque anni è riuscito, e nemmeno completamente, a debellare il problema della corruzione, è ovvio che in altri cinque anni gli obiettivi di lungo periodo di trasformare la Cina in un'economia avanzata, eliminare la povertà e mettere in piedi una società moderatamente prospera non potranno essere raggiunti. Ecco perché conviene puntare sulla continuità. E per evitare problemi meglio creare le condizioni per farlo in maniera legale.
Xi Jinping si è lanciato in una serie di iniziative particolarmente ambiziose, in patria e all'estero, ma gli va dato atto di essersi addossato la responsabilità del loro successo. "Xi ci ha messo la faccia", direbbero i cinesi, e questo significa che Xi Jinping non può permettersi di fallire. Ne va del suo onore e della sua rispettabilità. Del resto, anche il noto sinologo britannico Kerry Brown ha sottolineato come "per quanto Xi possa essere visto come una figura guidata esclusivamente da megalomania e sete di potere, in realtà si comporta come un leader che porta sulle spalle la responsabilità di una missione storica che vuole a tutti i costi portare a termine". Xi non assomiglia ne' a Mao ne' a Vladimir Putin o a Recep Erdoğan. Al contrario, sembra essere guidato da un destino che dopo averlo messo ai margini della società (la famiglia di Xi Jinping, e Xi Jinping con loro, venne spedita nelle campagne a "rieducarsi" negli anni della Rivoluzione Culturale, e Xi ha sofferto molto in quei sette lunghissimi anni di isolamento), gli ha affidato l'importantissimo compito di guidare il suo paese verso la rinascita.
Sono anni ormai che Xi Jinping ha riabilitato la tradizione confuciana tanto contestata da Mao. Sta facendo di tutto per spronare la popolazione a riabbracciare i "valori tradizionali" della cultura cinese, ben riassunti nei testi di Confucio. Ultimamente ha persino iniziato a descrivere la Cina come una "grande famiglia" che lui ha l'onore di guidare "come se ne fosse il padre", metafora di certo utilizzata per strizzare l'occhio a quei valori di pietà filiale, rispetto assoluto e deferenza che nel sistema confuciano un padre può aspettarsi dai figli (e quindi Xi dai suoi sudditi). Tuttavia, se davvero Xi sta concentrando il potere nelle sue mani per "restituire alla Cina il futuro radioso che merita", e per "riconciliare l'antica potenza cinese alle necessità del mondo contemporaneo", non è chiaro il motivo per cui il Presidente creda che, per avere successo, sia necessario muoversi in un contesto in cui la libertà non esiste.
I ripetuti tentativi portati avanti negli ultimi decenni di plasmare le coscienze dei cinesi per creare una nazione "rispettosa e obbediante" hanno fallito, perche' hanno creato una società in cui nessuno conosce la verità. La verità storica ufficiale, quella diffusa dal Partito, viene infatti regolarmente ricostruita, generazione dopo generazione, per allinearsi alle esigenze del momento, creando ancora più confusione in un paese in cui non solo nessuno sa più a cosa deve credere, ma dove, oggi più che mai, tutti, dagli studenti ai membri del Partito, hanno paura di esprimere un'opinione.
Forse è vero che il dissenso non aiuta a crescere, ma il confronto sì. E per quanto Xi Jinping possa credersi un leader illuminato, annullando la capacità critica del paese non riuscirà mai a realizzare il suo disegno. La Cina ha bisogno di idee, sia all'interno del Partito, per sperimentare nuove politiche cercando di commettere meno errori possibili, sia nella società, per far emergere quelle dimaniche competitive virtuose in grado di guidarne il progresso. Ed è questa cortina di silenzio che sta calando sulla Repubblica popolare che dovremmo temere, non l'ipotetico terzo mandato di Xi Jinping.