Dal Mondo
May 16 2024
Un’alleanza sempre più stretta, un’interdipendenza sempre più reale. È questo lo sfondo del meeting a Pechino tra i leader delle due grandi potenze illiberali d’Oriente, Xi Jinping e Valdimir Putin. Con una precisazione: c’è un re e c’è un vassallo. Mentre il cinese Xi non ha richieste particolari da fare alla sua controparte russa – se non per quanto concerne il mercato delle automobili –, questo incontro (il quarto, da quando è iniziata la guerra in Ucraina) è invece cruciale per il russo Putin, poiché l’inizio del suo nuovo mandato presidenziale coincide con una nuova e delicatissima offensiva militare russa nella regione di Kharkiv (il capoluogo è la seconda città più grande del Paese), con il rimpasto della linea di comando militare (il generale Shoigu non è più il ministro della Difesa, sostituito dall’economista Andrey Belousov), con una crescente instabilità politica nell’Est europeo dovuta anche alle imminenti elezioni generali dell’Unione; infine, con probabili ulteriori sanzioni economiche da Occidente e la destinazione verso la ricostruzione dell’Ucraina dei beni e capitali russi bloccati sinora dagli Stati membri per un valore di 330 miliardi di dollari.
Tutto questo offre una dimostrazione di quanto sostegno la Federazione russa abbia bisogno da parte del suo più potente partner politico. Non a caso è stato lo stesso Putin a sottolineare come sia «logico che il mio primo viaggio all’estero sia in Cina». La sua missione di due giorni vorrebbe evidenziare la vantata partnership «senza limiti» tra i due, in barba alle pressioni degli Stati Uniti sull'invasione dell'Ucraina da parte della Russia nel 2022. E Xi Jinping gli ha concesso tutti gli onori del caso, concludendo il suo discorso di apertura con l’elogio per i «settantacinque anni di persistente amicizia e cooperazione a tutto tondo» tra i due Paesi, e per la forza trainante che spinge questo rapporto avanti «nonostante il vento e la pioggia».
Già, perché di nubi all’orizzonte se ne intravedono molte. In primo luogo, sebbene Xi in conferenza stampa abbia parlato del fatto che Cina e Russia daranno «il dovuto contributo» alla stabilità del mondo, il presidente cinese sa bene che Putin gli ha già mentito una prima volta su questo punto: è stato quando, durante l’inaugurazione delle Olimpiadi invernali di Pechino nel febbraio 2022 – meno di una settimana dall’inizio della guerra – lo rassicurò sul fatto che l’invasione dell’Ucraina era un’operazione militare calcolata, che si sarebbe risolta rapidamente e in maniera indolore, con il risultato di vedere insediato a Kiev un governo filo-russo (e dunque filo-cinese). Quest’anticipazione sussurrata all’orecchio del leader cinese era nel migliore dei casi una speranza personale di Putin e nel peggiore una palese bugia da parte del leader russo. In entrambi i casi, Xi Jinping ha subìto tale decisione e, di fronte al fatto compiuto, ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco. La qual cosa non deve aver gradito molto.
Non solo. Xi Jinping si trova attualmente a dover gestire un rapporto sempre più difficile con l’America anche in ragione della guerra sconsiderata scatenata dal suo vicino di casa, che ha creato un clima teso tra le due sponde dell’Oceano Pacifico, dove intanto si è riaperta una guerra commerciale che ha portato gli Stati Uniti ad annunciare di voler quadruplicare le tariffe sui veicoli elettrici cinesi, portandole al 100%. Un grave danno per l’economia cinese, che puntava a invadere l’appetitoso mercato americano con le esportazioni di auto a basso costo energetico di cui l’America invece non dispone, non meno che il mercato europeo. Invece, cancellati i progetti di «conquista» dell’Europa dopo l’interruzione della Belt and Road Iniziative e sfumato il sogno di irrompere nel mercato automobilistico statunitense, Pechino adesso deve accontentarsi del mercato russo, assai meno vasto e ben più povero di quello occidentale.
Anche se gli scambi tra Cina e Russia sono quadruplicati, e sebbene il ministro degli Esteri cinese Wang Yi abbia dichiarato che «il gas naturale russo alimenta numerose abitazioni cinesi e le automobili di produzione cinese circolano sulle strade russe», il grandioso nuovo gasdotto tra la Siberia e la Cina - che dovrebbe rendere Pechino e Mosca ancor più legati e interdipendenti - esiste soltanto sulla carta a livello progettuale. Come se la Cina non intendesse davvero legarsi mani e piedi alla Russia con una eccessiva dipendenza energetica, probabilmente per non fare la fine della Germania e degli altri Paesi europei che si sono ritrovati a corto di idrocarburi a causa delle «follie dell’imperatore» quale Putin ha sempre creduto di essere.
Di esempi su come non comportarsi in relazione alla Russia, insomma, Xi Jinping ne ha sin troppi e la cautela cinese nelle relazioni internazionali è massima, specie da quando l’India minaccia il benessere della superpotenza asiatica. Ecco perché la filosofia del leader del Partito comunista cinese è oggi quella della «diplomazia del cavallo», rispetto alla tradizionale «diplomazia del panda» attraverso cui Pechino negli ultimi decenni ha distribuito orsetti bianchi e neri negli zoo di mezzo mondo con l’obiettivo di compiacere i Paesi riceventi come gesto di distensione. La «diplomazia del cavallo», invece, è tipica della Mongolia, Paese privo di sbocchi sul mare e unica democrazia negli altipiani dell’Asia, che proprio per tale ragione deve destreggiarsi tra i rapporti con i suoi alleati di peso: gli Stati Uniti, la Cina e la Russia. Per questo, Ulan Bator distribuisce destrieri a seconda dei venti politici e sempre per questo chiama gentilmente l’America «terzo vicino», stesso appellativo che riserva anche al Giappone e all’Europa.
Ecco. Anche Xi Jinping ama i cavalli e da un lato dichiara: «La Cina è pronta a lavorare con la Russia per rimanere un buoni vicini, buoni amici e buoni partner che si fidano l’uno dell’altro, per continuare a consolidare l’amicizia duratura tra i due popoli e per perseguire congiuntamente lo sviluppo e la rivitalizzazione nazionale e sostenere l'equità e la giustizia nel mondo». Dall’altro lato, però, si cura di non deteriorare i rapporti col «terzo vicino» ovvero l’Occidente, consapevole che schierarsi a-criticamente sulle posizioni di Mosca non farà altro che isolare Pechino dal resto del mondo e ne rallenterà lo sviluppo economico.
Per queste ragioni, mentre Vladimir Putin arriva all’appuntamento con Xi col proverbiale cappello in mano, l’avveduto leader cinese si limita a riceverlo con tutti gli onori del caso, senza caricare di troppi significati la visita di Stato. Questo perché anche Xi Jinping, la cui moglie è una cantante folk, comprende bene le parole della canzone del cantautore canadese-americano Neil Young che il segretario di Stato Anthony Blinken ha improvvisato alla chitarra in un pub di Kiev durante la sua visita a sorpresa in cui ha garantito miliardi di dollari per sostenere l’Ucraina: «Abbiamo carburante da bruciare, strade da percorrere, continuiamo a fare rock in un mondo libero».