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Economia

Cina-Stati Uniti: prove "tecniche" di Guerra Fredda

E se il confronto commerciale tra Stati Uniti e Cina portasse allo scoppio di una seconda Guerra Fredda? Sono sempre di più gli analisti che non se la sentono di escludere questa possibilità.

Se Washington continua ad attaccare Pechino non può fare altro che rispondere colpo su colpo. E in questo modo la possibilità di arrivare a un compromesso si allontana sempre di più. Non solo: questa guerra commerciale è destinata a dividere il mondo in due schieramenti. Qualcuno, per convenienza, deciderà di sostenere gli Stati Uniti, qualcun altro, sempre per ricavarne vantaggi per il proprio paese, farà la stessa cosa con la Cina. E così, senza rendercene conto, ci ritroveremo in un mondo spaccato su due sfere di influenza ben distinte.

Gli obiettivi di Donald Trump

L'opinione dell'economista cinese Zhang Lin è confermata dai fatti: dal suo punto di vista l'obiettivo di Donald Trump è quello attaccare la Cina non solo sulle pratiche commerciali sleali che ha adottato fino ad oggi per stimolare la crescita del paese, ma anche per costringerla ad abbandonare un modello economico che continua a ruotare attorno ad aziende di stato potentissime, che rinnovandosi sfruttando i trasferimenti di tecnologia dagli Stati Uniti puntano ad espandere l'influenza cinese in tutto il mondo.

Ormai non sono più solo voci occidentali a pensare che la Cina possa presto mettersi nelle condizioni di sfidare l'ordine mondiale a guida statunitense. Anche Pechino ne è consapevole. Per questo Trump ha bisogno di fermarla prima che sia troppo tardi.

Una strategia efficace

Washington sta calcando la mano su punti su cui Pechino non può cedere. Il Partito non riformerà mai il sistema delle aziende di stato perché solo grazie a loro è in grado di mantenere il controllo totale sull'economia di cui ha bisogno per sopravvivere. Perché allora la Cina continua a dichiararsi "disponibile al dialogo", presentandosi come un paese favorevole al compromesso ma costretto a reagire duramente a causa dell'intransigenza di Washington?

Pechino ha bisogno di guadagnare tempo

Alcuni osservatori molto attenti ai dettagli della diplomazia cinese hanno iniziato a convincersi che l'apparente disponibilità di Pechino nasconda un obiettivo molto diverso. Quello di guadagnare tempo. Per acquisire le competenze necessarie a far andare avanti il paese senza appoggiarsi agli Stati Uniti.

Il mondo è grande, è da quando Europa e Stati Uniti hanno iniziato a ridurre gli spazi di manovra per gli investimenti cinesi Pechino li ha spostati verso l'Africa e L'America Latina. Senza dimenticare il resto dell'Asia, naturalmente. Tuttavia, pur continuando ad espandere il suo raggio di azione dove le è possibile, la Cina sa di non potersi ancora isolare dall'Occidente. Il deficit di tecnologia accumulato è ancora troppo grande per essere colmato autonomamente.

Il Grande Fratello vacilla

Skynet, il complesso sistema di riconoscimento facciale usato per monitorare ogni singolo movimento di chiunque si trovi in Cina, inaugurato nel 2005 a Pechino e destinato ad essere esteso su tutto il paese, che conta oggi 170 milioni di telecamere e altre 400 milioni di installazioni sono in programma entro il 2020, sta in piedi grazie all'importazione di componenti tecnologiche dagli Stati Uniti. Per alcuni prodotti estremamente sofisticati l'esportazione verso la Cina è già stata vietata. E Pechino teme che molti altre componenti possano entrare presto in questa lista nera. Ecco perché mentre manda avanti il piano B, ovvero quello della corsa sfrenata all'innovazione per internalizzare competenze che ancora le mancano, il Partito prende tempo ed evita di alzare troppo la voce. In fondo, sa di non poterselo (ancora) permettere.

Scenari futuri

Lo scenario più probabile è quello di una Cina che piano piano, e appoggiandosi allo spionaggio internazionale per accorciare il più possibile i tempi del recupero tecnologico, riesca a colmare questo gap di competenze e a produrre internamente quello che le serve per andare avanti da sola. Per evitare che questo succeda, e quindi anche per mantenere un minimo di capacità negoziale, tocca a Trump alzare la posta in gioco. Associando ai dazi anche divieti mirati di esportazioni di tecnologie sofisticate verso il Regno di Mezzo.

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