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May 25 2018
Possibile che l'escalation di critiche lanciata da Kim Jong-un per contestare la linea americana della denuclearizzazione "immediata, verificabile e irreversibile" sia stata, come ha ipotizzato anche Donald Trump 24 ore prima di annunciare che gli Stati Uniti non fossero più disponibili ad incontrare il leader della Corea del Nord a Singapore il prossimo 12 giugno, sia stata in qualche modo orchestrata dalla Cina?
Come sempre, quando si parla di Corea del Nord dare risposte certe è impossibili, e a dire il vero vale la stessa cosa anche per la Cina, ma qual che è sicuro è che la Repubblica popolare si sta muovendo in maniera molto scaltra per trovare modi efficaci per contrastare la linea anti-cinese di Trump.
Il presidente americano ha definito Xi Jinping "un giocatore di poker di classe mondiale", e ha ragione perché sa bene come, invece, nella primissima fase dei negoziati Kim Jong-un avesse posto come condizione proprio quella di escludere la Cina dai giochi. Poi ha cambiato idea. Il motivo? Per ora non lo sappiamo. Forse un giorno lo scopriremo, fatto sta che è stato Xi Jinping a rischiare per riprendersi il posto "che gli spetta" sullo scacchiere coreano, e dopo un paio di passi falsi, tra cui la visita fallimentare del commissario Song Tao e altri viaggi ufficiali che Pyongyang non ha vluto autorizzare, ce l'ha fatta. Kim è andato a Pechino a marzo e, ancora più importante, a Dalian a inizio maggio. E dopo essere rientrato dal suo secondo viaggio in Cina ha cambiato atteggiamento, diventando sfacciatamente americano.
La Cina ha ottenuto diversi vantaggi da questo strappo. Anzitutto è stata riconosciuta da tutti come attore chiave di questi negoziati. In secondo luogo ha indirettamente rafforzato il suo legame con Pyongyang, perché è evidente che se Kim Jong-un non può trattare la pace con Washington non gli resta che provare a farlo con la Cina. Pechino, però, non vuole necessariamente sostituirsi con prepotenza agli Usa.
Preferisce infatti che le venga riconosciuto il ruolo di potenza necessaria per portare avanti una mediazione di successo. Quindi se la Cina ha dato "consigli" alla Corea del Nord, di certo non l'ha invitata a buttare al vento i successi ottenuti fino ad ora.
Tant'è che nella notte il viceministro degli Esteri nordcoreano Kim Kye Gwan ha risposto in maniera conciliante alla lettera di Trump, sottolineando come La Corea del Nord sia ancora aperta "al dialogo con gli Stati Uniti in qualsiasi momento, in qualsiasi forma", e disposta a "dare agli Usa tempo e opportunità" per riconsiderare i negoziati.
Osservando i movimenti della Cina su vari scacchieri diventa più facile capire quali siano le priorità del regime.
Secondo Swaran Singh, docente di relazioni internazionali alla Jawaharlal Nehru University di New Delhi, "Russia e Cina sono più vicine che mai, e lo stesso vale per Cina e Pakistan". Tuttavia, ha spiegato l'analista indiano, nel riallacciare i contatti con Mosca e Islamabad Pechino è stata molto attenta ad evitare di andare oltre il limite che avrebbe potuto metterla al centro di una serie di polemiche internazionali. "La Cina ha indebolito la posizione dei suoi nemici nella regione", vale a dire India e Stati Uniti, senza "esagerare".
Il che vuol dire che sta diventanto sempre più scaltra nel gestire i propri interessi strategici. In fin dei conti Pechino ha fatto lo stesso in Corea del Nord, appoggiando le sanzioni (ma, così dicono gli esperti, creando "esenzioni tollerabili" ogni volta che se ne è presentata la possibilità) suggerendo (probabilmente) di negoziare con Trump una formula di denuclearizzazione progressiva basata sulle concessioni reciproche.
Oltre a maggiore prestigio e controllo su talune regioni la cui stabilità è per la Cina molto importante, come la Penisola coreana e l'Asia Centrale, la Cina sta sfruttando con grande intelligenza ogni situazione che può permetterle di ottenere dei vantaggi sul tavolo americano.
Più Pechino riesce a influenzare paesi con i quali l'America ha questioni importanti in sospeso, più può ottenere concessioni dall'Amministrazione Trump il cambio del sostegno su questi tavoli. Più diventa necessario per Washington collaborare con Pechino per risolvere crisi pericolose, più la prima sarà costretta ad accomodare le richieste della seconda, ammorbidendo quindi la sua linea nei suoi confronti.
Il compromesso su quella che fino a pochi giorni fa sembrava una guerra commercialegià scoppiata, compromesso che, è bene sottolinearlo, ha portato a un impegno da parte cinese a ridurre il deficit con gli Stati Uniti e ad implementare il prima possibile una serie di riforme strutturali che possano favorire una maggiore e più rapida liberalizzazione dei mercati, quindi nulla di più di ciò che qualche mese fa Pechino si era impegnata a fare e Trump aveva considerato inaccettabile, è un chiaro esempio di successo della strategia cinese.