Il parlamento della Repubblica popolare cinese ha approvato domenica 11 marzo la modifica della Costituzione che sopprime il limite dei due mandati consecutivi per il presidente.
Xi Jinping governerà la Cina per un terzo mandato. Potenzialmente potrebbe governarla a vita. Ci sono dei leader politici che godono di buona stampa perché appaiono moderni, orientati al futuro, efficienti ed energici in modo plasticamente operativo e capace di guardare avanti. È come se le ombre che essi proiettano sulle società che governano - ombre che celano violazioni dei diritti umani, accentramento dei poteri, controllo assoluto dei media che contano - fossero meno degne di attenzione. Vladimir Putin è un caso tipico, ma ancora di più lo è il presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping. Perché rispetto a Putin è più abile, più efficiente, più moderno, più potente. E più autoritario e, forse, ancora più pericoloso.
Il 25 febbraio il Partito comunista della Cina aveva annunciato di voler rimuovere il limite di due mandati consecutivi per il presidente della Repubblica, proposta che l'11 marzo il Congresso nazionale del popolo cinese ha approvato quasi all'unanimità.
La presidenza della Repubblica, diretta emanazione del partito, è dunque una carica a vita. Gli osservatori attribuiscono questa scelta della leadership di Pechino a un'esigenza di estrema stabilità del sistema statuale cinese.
Il paradosso cinese
La faccenda si può riassumere così: abbiamo un paese, la Cina, che è superpotenza economica e militare, responsabile in politica estera, molto attiva a favore della globalizzazione e addirittura nel controllo del riscaldamento globale, che investe tantissimo in nuove tecnologie. Eppure questo paese si regge su un sistema politico autoritario, premoderno, chiuso su se stesso e brutale con i dissidenti, che nega ai propri cittadini i diritti elementari proprie delle democrazie liberali, compreso il diritto di informarsi, visto che i media sono asserviti al Partito e Internet viene regolarmente censurata.
Xi è Segretario generale del Comitato centrale del Partito, Capo della Commissione militare centrale del Partito, Presidente della Repubblica popolare, Comandante delle Forze Armate.
Solo Mao Zedong aveva accumulato su di sé un potere paragonabile a quello di Xi. Il che fa capire anche quanto l'attuale dirigenza politica cinese abbia operato una restaurazione. Perché il dopo-Mao aveva avviato un processo di distribuzione del potere fra più organi dello stato e personalità, pur restando nel quadro di un sistema politico autoritario, governato dal partito unico.
Era stato Deng Xiaoping negli anni '80 del secolo scorso, dopo la morte di Mao (1976), a riformare il sistema politico-statuale della Cina per renderlo meno dipendente dalle decisioni di una persona, dargli stabilità e regolarlo con norme certe e un certo bilanciamento dei poteri. Una di queste riforme prevedeva, appunto, il limite di due mandati consecutivi per il presidente ed era stata inserita nella costituzione del 1982. Deng aveva anche a cuore la separazione fra il ruolo del partito e quello del governo e dell’amministrazione pubblica.
La leadership di Xi ha invece effettuato una restaurazione del potere nelle mani del presidente e Segretario del Partito, rafforzando senza limiti l'unità di fatto del partito e dell'apparato statale.
Oltre all’emendamento alla costituzione che rimuove il limite temporale del mandato del presidente, verranno introdotte anche due norme che rafforzano il diritto del Partito a governare, con una ulteriore riduzione della separazione dei poteri.
Anche se alcuni osservatori della politica cinese avevano previsto la mossa di Xi, per i difensori dei diritti umani e chi sperava in una svolta in senso più liberale del sistema si tratta di un'indubbia sterzata - anche sorprendente - verso un ulteriore rafforzamento della struttura autoritaria del potere cinese.
Le democrazie occidentali, come nota Kerry Brown in un pezzo di opinione per la Cnn, non hanno fatto sentire la loro voce. Come del resto, non si sono fatte sentire in passato. Il fatto è che per le potenze, e soprattutto le economie occidentali, quel che conta è che la Cina sia stabile e prevedibile. I diritti umani e la democrazia liberale sono un fatto secondario.
Ma il rafforzamento di Xi trasmette tranquillità a chi osserva da dentro l'economia cinese. Il Financial Times ha riportato il parere di Ai Tangming, uno dei commentatori di Sina Finance, un sito web locale specializzato. "Ci sono stati, in passato, casi di obiettivi delle riforme economiche che non sono stati raggiunti", ha scritto. "In futuro, invece, le politiche economiche saranno implementate con forza" dopo che la riforma costituzionale avrà assicurato una maggiore coerenza nell'indirizzo del paese".