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October 10 2014
"Siamo nel ventunesimo secolo: prima loro temevano noi, ora noi temiamo loro". In questa frase gravida di rassegnata consapevolezza, che la preside Zdenka (Nataša Barbara Gračner) pronuncia in merito al rapporto studenti-docenti, c'è tutta l'essenza della scuola di oggi e di Class Enemy, film sloveno dal 9 ottobre al cinema. Applaudito alla Settimana della critica della 70^ Mostra di Venezia, è il primo lungometraggio del ventottenne Rok Biček.
Tra atmosfere livide va in scena la quotidianità di una classe qualsiasi di un liceo sloveno. La professoressa di tedesco, estremamente comprensiva e dolce coi suoi scolari, va in maternità e cede le redini all'inflessibile professor Robert (Igor Samobor, star del cinema sloveno). Il nuovo arrivato ha una concezione "vecchio stile" del sistema scolastico: pretende massimo rispetto e attenzione, la formalità di gesti esteriori, studio attento ma anche lo sforzo di andare oltre le cose lette e studiate. Ha dei metodi rigidi e lapidari, tutt'altro che empatici. Quando un evento inatteso scuote la sempre più tesa normalità, la relazione tra alunni e docente si infiamma e Robert sembra il giusto capro espiatorio contro cui ferve la rabbia della classe. Ancorato ai suoi principi, Robert resterà quasi disarmato di fronte alla cascata di aggressività che ha alimentato.
Biček viviseziona con cupo realismo e toni algidi la vulnerabilità dei giovani di oggi, che riflette lo scontento sociale globale. Stana però anche la superficialità con cui i ragazzi si aggrappano ai primi ideali che passano, avanzando motivazioni prive di logica e arruffate, spinti da una partecipazione tutt'altro che intima. La maggior parte dei professori, dall'altra parte della barricata, ha trovato la sua strategia di sopravvivenza nel permissivismo docile e nella ricerca estrema di bonarietà. Il loro è uno sforzo di indulgenza e quasi cameratismo con gli studenti, a mo' di captatio benevolentiae.
Agghiacciante e chiave di volta dell'incomunicabilità tra nuove generazioni e istituzioni, è il breve spaccato che Biček apre sui genitori, egoisti, ostili al dialogo, subito pronti a giustificare i loro figli in maniera aprioristica. Acuta e divertente, invece, la pennallata sui genitori cinesi: appena sanno che loro figlio non è coinvolto nella rivolta in corso, con gentilezza abbandonano la riunione con la preside (loro hanno da lavorare, non hanno tempo da perdere in baruffe).
Class Enemy deriva da un ricordo scolastico buio e spigoloso vissuto dal regista, che unisce attori professionisti e non professionisti e si lascia ispirare da Cristian Mungiu (soprattutto 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni), Andrej Petrovič Zvjagince (Il ritorno) e Michael Haneke (Niente da nascondere).
Tra le tonalità spente del liceo sloveno si eleva, non casualmente, il giallo limone della tormentata Sabina (Daša Cupevski), la studentessa che suona Chopin e cattura l'attenzione del freddo prof. Proprio nella costruzione dell'intrigo attorno a Sabina, però, Class Enemy mostra delle incoerenze e dei tasselli che sembrano applicati in maniera forzata e poco fluida (l'incontro con il prof, la sua confusa realtà famigliare, il discorso che ascolta in palestra).
Interessante seppur non del tutto appassionante e a tratti faticoso, Class Enemy si muove nella zona grigia in cui nessuno è totalmente buono, nessuno del tutto cattivo. Non lo è neanche Sabina, colei che inizialmente sembra solo vittima. Sta lì a scuotere la riflessione la frase di Thomas Mann "La morte di un uomo è meno affar suo che di chi gli sopravvive".
L'opera di Biček richiama alla memoria L'onda (2008) del tedesco Dennis Gansel, anche se non riesce a scuotere inquietudini e considerazioni altrettanto vibranti e stimolanti.