Claudio Trotta: quando Bruce Springsteen la notte scappa dai bodyguard

«Davanti alla porta del camerino di Bruce non ci sono guardaspalle palestrati, solo un orsacchiotto di peluche. Sempre lì, sempre nella stessa posizione: gli ricorda Terry, la sua storica guardia del corpo deceduta qualche anno fa». Ha un accesso unico e privilegiato al mondo segreto di Bruce Springsteen , Claudio Trotta , fondatore della Barley Arts e organizzatore degli ultimi 26 concerti italiani del Boss (il 7 giugno torna a Milano dopo 4 anni). Un nomignolo che però il rocker non sembra gradire. «No, la parola Boss non gli piace. Quando viene chiamato così, i ragazzi della band iniziano a sfotterlo. Per questo, prima dell’inizio di ogni tour, arriva un’email dal suo staff con scritto a chiare lettere “No Boss Word, please”».

Dall’atterraggio al decollo, Trotta è l’unico che osserva in diretta e da vicino quello che lui definisce «il più grande performer di tutti i tempi». «Arriva con un aereo privato, non vuole una limousine ad aspettarlo, ma un van su cui salgono solo lui e i musicisti. Negli spostamenti vuole stare davanti, di fianco all’autista». Questione delicata quella dei trasporti. «Diciotto musicisti con mogli, figli, parenti e amici al seguito: una carovana. Per questo negli stadi viene allestita la E Street lounge, dove si ritrovano tutti prima del concerto. Bruce arriva alle 5 e subito si dedica alle prove sul palco con la band. Quando esce dallo stadio, è notte fonda, ma il bello deve ancora venire».

Già, perché fra gli svariati motivi che ne fanno il più venerato dei rocker c’è l’insolito, per una star planetaria, rapporto con i fan. «Esiste uno zoccolo duro di appassionati» racconta Trotta «che lo segue in tour, data dopo data. Sono ragazzi e ragazze che lui conosce e frequenta. Si telefonano e si danno appuntamento all’esterno dell’albergo per una camminata notturna nella città che li ospita. So per certo che è successo a Roma, in piazza Navona, intorno alle 3 del mattino. A Milano c’ero anch’io quella volta che è sfuggito al controllo dei suoi bodyguard, a notte fonda, in piazza Vetra. Per mezz’ora si è dato alla macchia. Si era confuso in mezzo a un gruppo di ragazzi. Aveva una coppola in testa e nessuno l’ha riconosciuto. Venivamo da un ristorante bolognese dove clienti e camerieri lo avevano congedato con una standing ovation alla fine della cena».

Un’attitudine alle ore piccole, quella di Springsteen, che trova riscontro anche in famiglia. «Sua madre e sua zia, 80 e 79 anni, sono micidiali. Una volta, mentre giravano l’Europa in pullman con un gruppo di turisti americani, sono fuggite a Roma per vedere il concerto di Bruce. Che le ha pure invitate sul palco. Dopo lo show, instancabili, si sono unite alla cena: al tavolo c’erano Springsteen, mamma, zia e due musicisti dei R.E.M., Michael Stipe e Mike Mills: uno spettacolo».

Saluta tutti Springsteen una volta entrato nello stadio, parla con i facchini, con i vigili del fuoco, regala un sorriso a quelli che si avvicinano. «Il suo camerino è sempre aperto» racconta Trotta. «Ma mezz’ora prima dello show diventa zona off limits. In quei 30 minuti sacri e inviolabili scrive a mano la scaletta del concerto e butta giù spunti per nuove canzoni. Poi esce e trova la band pronta a salire in scena. Lui, naturalmente, è l’ultimo della fila. Negli ultimi anni Clarence Clemons (lo storico sassofonista morto nel giugno del 2011, ndr) faceva molta fatica a muoversi, aveva grossi problemi alle anche, ma non ha mai mollato, fino all’ultimo. Bruce e gli altri erano la sua famiglia». Un mondo perfetto, dunque? «No, solo un uomo speciale. L’ho capito a Bologna, quando per la neve non arrivavano i camion con la scenografia: Tranquillo, Claudio, mi dice, ci siamo noi e il pubblico. Non serve altro».

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