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Come funzionano i servizi segreti della Corea del Nord

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La Corea del Nord è recentemente tornata a far parlare di sé, come accade ormai periodicamente da alcuni anni, grazie all’ultima prova di muscoli del suo regime. Il governo di Pyongyang ha infatti dichiarato di aver realizzato con successo il test di una bomba all’idrogeno, annuncio che però è stato accolto con diffuso scetticismo da gran parte degli esperti.

 Quando si parla del “regno eremita”, il confine tra realtà e finzione, tra minaccia reale e semplice propaganda, risulta spesso labile. L’estrema chiusura della Corea del Nord rende ostica la conoscenza approfondita di molte caratteristiche della società di questo Paese. Uno degli aspetti meno conosciuti è la modalità con cui il regime riesce ad attuare il rigido controllo sui propri cittadini e a mantenere saldo il potere totalitario dello Stato.

 Il compito di assicurare il sistema di sicurezza interna spetta al Dipartimento per la Sicurezza di Stato (SSD), la cui origine ed evoluzione è stata dettagliatamente descritta in un rapporto del Comitato per i Diritti Umani della Corea del Nord. Si tratta di un apparato di intelligence, con sede a Pyongyang e composto da circa 50.000 unità, che assolve a una vasta gamma di funzioni: dalla raccolta di informazioni allo svolgimento di attività di controspionaggio e sorveglianza, fino alla supervisione degli orientamenti politici dei funzionari e all’individuazione di soggetti coinvolti in attività anti-governative o accusati di tradimento nei confronti delle autorità.


L’attività di sorveglianza, a livello locale, si attua attraverso il sistema noto come “In-min-ban”. Ogni cittadino è tenuto obbligatoriamente a essere registrato come membro di un “In-min-ban”, generalmente costituito da un complesso di 20-40 famiglie residenti in un quartiere o in un condominio, e a partecipare alle riunioni periodiche

L’SSD, forte di una vasta rete di informatori che si estende sull’intero territorio a livello provinciale, cittadino e locale, si occupa di monitorare costantemente la popolazione, rilevando qualsiasi attività giudicata potenzialmente destabilizzante per il regime. Si tratta di un sistema di controllo totale e totalizzante, radicato nel tessuto stesso della società nordcoreana. L’attività di sorveglianza, a livello locale, si attua infatti attraverso il sistema noto come “In-min-ban” (traducibile come “quartiere, vicinato, gruppo di persone”). Ogni cittadino è tenuto obbligatoriamente a essere registrato come membro di un “In-min-ban”, che è generalmente costituito da un complesso di 20-40 famiglie residenti in un quartiere o in un condominio, e a partecipare alle riunioni periodiche. All’interno di ciascun “In-min-ban” è presente almeno un informatore, che supervisiona costantemente ogni genere di attività che si svolge al suo interno segnalando prontamente agli agenti dell’SSD comportamenti, discorsi e persino abitudini private dei propri “vicini” ritenuti sospetti, ricevendo in cambio piccoli compensi in forma di denaro o di cibo.

 L’SSD è una struttura in evoluzione. Modifiche sostanziali si ebbero già all’epoca del governo di Kim Jong-il, ma è stato sotto l’attuale leader, suo figlio Kim Jong Un, che si sono verificati i cambiamenti più significativi. L’evento più eclatante è certamente rappresentato dall’esecuzione di Jang Song-thaek, zio di Kim Jong-un e direttore del Dipartimento Amministrativo del Partito dei Lavoratori di Corea, il quale aveva anche la supervisione formale dell’SSD, che adesso risponde direttamente all’autorità del leader. È stata presa inoltre la decisione di liquidare la “Sezione 38”, ramo dei servizi segreti a cui era affidata la gestione delle operazioni commerciali e finanziarie con i Paesi stranieri.

 Le continue provocazioni militari di Pyongyang, unite all’epurazione di Jang e di gran parte della “vecchia guardia” di funzionari vicini all’entourage dell’ex leader Kim Jong-il, ha suscitato reazioni negative da parte della Cina – con la quale le elìte del governo nordcoreano avevano da sempre vantato un rapporto privilegiato – provocando tensioni tra le rispettive agenzie di intelligence e nei rapporti bilaterali. Ad oggi, a quattro anni dal suo insediamento, il giovane Kim Jong-un non sembra intenzionato, a differenza dei suoi predecessori, a rendere alcun “omaggio” diplomatico a Pechino, la cui pazienza nei confronti dello scomodo alleato sembra messa sempre più a dura prova.

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