Economia
September 14 2018
Le parole vanno pesate, soprattutto quando gli investitori, che prestano all'Italia circa 30 -40 miliardi di euro ogni mese comprando i nostri Btp, soldi che servono per pagare pensioni, stipendi della Pa e quant'altro è necessario a mandare avanti uno Stato, cominciano a dubitare che un paese sia in grado di restituire quanto ricevuto.
È questo il ragionamento che sta dietro alle dichiarazioni rilasciate da Mario Draghi durante la conferenza stampa che si è tenuta al termine dell'ultima riunione della Bce. Draghi resterà alla guida della banca centrale fino all'autunno del 2019, giusto in tempo per spegnere il bottone del QE che aveva come obiettivo (dichiarato) quello di portare l'inflazione al 2 per cento, ma anche quello (sottinteso) di stabilizzare lo spread tra i titoli governativi del Nord e Sud Europa.
Il presidente dell'Eurotower, riferendosi all'Italia e alle dichiarazioni degli esponenti del governo che hanno fatto impennare i tassi dei titoli di stato negli scorsi mesi, ha detto che "le parole hanno fatto alcuni danni, i tassi sono saliti, per le famiglie e le imprese" anche se "tutto ciò non ha contagiato granché altri paesi dell'Eurozona" e sostanzialmente "rimane un episodio principalmente italiano".
Senza citare i diretti interessati, ha fatto intuire insomma che si stava riferendo agli annunci (anche via twitter) fatti dai principali membri del governo negli scorsi mesi, in particolare dai due vice premier Matteo Salvini e Luigi Di Maio, cui sono seguite le puntuali smentite da parte del ministro dell'Economia Giovanni Tria. Per molti trader, infatti, questo tira e molla è una vera e propria pacchia: non è altro che un sali e scendi piuttosto prevedibile che permette agli speculatori di fare molti soldi, comprando e rivendendo i nostri Btp nel giro di poche ore o giorni.
Gli esempi, del resto, sono sotto gli occhi di tutti. Lo scorso maggio sono scattate le vendite dopo le sortite di esponenti giallo-verdi che hanno fatto immaginare una possibile uscita dell'euro del nostro paese, soprattutto quando si ventilava l'ipotesi di un ministero dell'Economia guidato dall'euroscettico Paolo Savona. Lo sforamento della soglia del 3 per cento del rapporto deficit/Pil, invece, è il principale timore all'origine delle ultime turbolenze di agosto e di settembre.
A fine mese, infatti, dovrà essere varata la legge di bilancio: "reddito di cittadinanza", "flat tax", ma anche "nazionalizzazioni" (è il caso delle dichiarazioni su Alitalia e autostrade) sono le key words che hanno spinto molti investitori a scaricare i nostri titoli di stato, così come tutto ciò che fa pensare a un aumento non controllato della spesa pubblica.
"Negli ultimi mesi le parole sono cambiate molte volte e quello che ora aspettiamo sono i fatti, principalmente la legge di bilancio e la successiva discussione parlamentare" ha specificato il presidente della Bce. A scanso di equivoci, ha poi aggiunto che le sue antenne sono sintonizzate con i ministri più allineati a Bruxelles e a Francoforte (e Mattarella): "La Banca centrale europea - ha detto - si atterrà a ciò che hanno detto il primo ministro italiano, il ministro dell'Economia e il ministro degli Esteri, e cioè che l'Italia rispetterà le regole".
Che la situazione sia critica secondo Draghi, lo indica proprio questa difesa dell'operato del ministero dell'Economia, del tutto inusuale da parte di un banchiere centrale, che di solito non mette il becco negli affari interni di un paese membro e tantomeno si schiera pro o contro alcuni esponenti di un esecutivo. Del resto, Tria è seduto sulla poltrona più scomoda: è così per ogni ministro dell'Economia, ma soprattutto per quello dell'attuale governo.
L'ex ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan, intervistato da LaPresse il 13 settembre, lo stesso giorno della riunione della Bce, ha riassunto in modo efficace la condizione del suo successore: "Il problema è che ogni giorno i suoi colleghi di governo dicono cose diverse tra di loro, e diverse da quelle che dice lui".