Politica
November 23 2021
E' braccio di ferro legale tra Trump e la commissione. Una situazione destinata a surriscaldarsi ulteriormente in vista delle elezioni di metà mandato
Si fa sempre più serrata la battaglia sull'irruzione in Campidoglio. La commissione parlamentare di inchiesta sul 6 gennaio della Camera sta infatti emettendo numerosi ordini di comparizione nei confronti degli ex consiglieri di Donald Trump (gli ultimi, in ordine di tempo, sono Roger Stone e Alex Jones). Tutto questo, mentre – pochi giorni fa – Steve Bannon è stato incriminato da un grand jury per oltraggio al Congresso, dopo essersi rifiutato di conformarsi a due di questi ordini. Nelle scorse ore, inoltre, la commissione ha riferito alla corte d'appello di Washington DC di necessitare urgentemente dei documenti appartenenti all'ex presidente americano. "Il ritardo stesso infliggerebbe un grave danno costituzionale alla commissione interferendo con il suo dovere legislativo. La commissione ha bisogno dei documenti ora perché plasmeranno la direzione dell'indagine", hanno dichiarato gli avvocati del panel. A tal proposito, ricordiamo che Trump abbia fatto ricorso, dopo che un giudice aveva respinto la sua causa per impedire alla National Archives and Records Administration di soddisfare le richieste avanzate dai membri della commissione.
A livello generale, la strategia legale dell'ex inquilino della Casa Bianca poggia tutto sull'invocazione del cosiddetto "privilegio dell'esecutivo": si tratta di un potere che la Corte Suprema ha riconosciuto negli anni a presidenti ed ex presidente per respingere eventuali interferenze indebite da parte degli altri poteri costituzionali. La commissione, dal canto suo, ritiene di avere il diritto di ottenere informazioni da Trump e dai suoi vecchi collaboratori: una posizione, questa, che è stata sposata anche dall'attuale presidente americano, Joe Biden. Come che sia, bisognerà attendere un pronunciamento dei giudici per capire se Trump possa invocare o meno il privilegio dell'esecutivo.
E proprio la centralità dei giudici è citata nella strategia difensiva dell'ex capo dello staff della Casa Bianca, Mark Meadows: anche lui rifiutatosi di rispettare gli ordini di comparizione. "Le controversie legali sono adeguatamente risolte dai tribunali. Sarebbe irresponsabile per il signor Meadows risolvere prematuramente tale controversia rinunciando volontariamente ai privilegi che sono al centro di tali questioni legali", ha dichiarato il suo legale George Terwilliger. "Non importa", ha proseguito, "quanto sia importante l'oggetto del lavoro della commissione: decenni di controversie sul privilegio esecutivo mostrano quanto sia di fondamentale importanza per un presidente avere accesso a consigli e consulenza senza temere che gli oppositori politici al Congresso possano in seguito rimuovere lo scudo di riservatezza, che protegge la franchezza in quelle comunicazioni".
In attesa di novità sul piano legale, infuria intanto lo scontro dal punto di vista politico. Secondo la maggioranza dei parlamentari repubblicani, la commissione parlamentare condurrebbe infatti un'attività fondamentalmente faziosa. Ricordiamo che l'organo è costituito da nove deputati (sette democratici e due repubblicani) tutti nominati dalla Speaker della Camera, Nancy Pelosi. Una situazione insolita, dettata prevalentemente dal fatto che la stessa Pelosi avesse bloccato la nomina di due repubblicani, tra quelli scelti dal capogruppo dell'Elefantino alla Camera, Kevin McCarthy. Una mossa, quella della Speaker, che ha irritato McCarthy, portandolo a ritirare l'intera delegazione da lui nominata. Il risultato è che adesso, nella commissione, siedono – come detto – due deputati repubblicani (Liz Cheney e Adam Kinzinger), scelti dalla Pelosi e - probabilmente non a caso - apertamente anti-trumpisti. In tutto questo, è chiaro che la partita si farà sempre più serrata in vista delle prossime elezioni di metà mandato.