Allenatori sull'orlo di una crisi di nervi

L'ultimo in ordine di tempo è stato Sergio Conceicao, a botta calda dopo aver incassato a Bologna la sconfitta che di fatto mette il suo Milan fuori dalla corsa per un posto nella prossima Champions League. Il portoghese ha travolto tutto e tutti con il suo sfogo nella pancia del Dall'Ara, toccando solo marginalmente la questione arbitrale e togliendosi una manciata di sassi dalle scarpe. Due mesi a Milanello gli sono stati sufficienti per raggiungere il picco di frustrazione respirato, prima di lui, da Paulo Fonseca di cui resteranno alla memoria i durissimi attacchi a spogliatoio e ambiente che hanno puntellato il declinare fino all'esonero a fine dicembre.

Conceicao ha usato toni fortissimi, parlando di mancanza di rispetto nei confronti della sua carriera e spiegando, non senza una punta di veleno, di essere pronto a fare le valigie ed andarsene senza pretendere un euro. E' parso consapevole della precarietà della sua situazione, dettata anche da un contratto capestro accettato in inverno con scadenza dopo sei mesi a meno di riconferma unilaterale della società: come poteva essere forte nello spogliatoio? Non poteva e, infatti, la squadra ha smesso in fretta di seguirlo.

Un uomo solo ed esasperato, quasi con l'unico obiettivo di uscire in fretta da una situazione in cui rischia di giocarsi la reputazione di una carriera costruita, come ha ricordato, vincendo molto e battendo spesso squadre e allenatori italiani che oggi vengono accostati alla sua panchina.

Prima di lui era toccato a Thiago Motta dopo l'eliminazione dalla Coppa Italia nella notte più buia della Juventus, descritta evocando la categoria della vergogna, facendo autocritica e allo stesso tempo scaricando sui suoi calciatori un'accusa durissima: pretendere sempre senza dare. E, ancora, l'irrequietezza di Gian Piero Gasperini che ha annunciato la fine del rapporto con l'Atalanta sbagliando tempi e modi, nel mezzo di un'entusiasmante volata scudetto, e che si è preso pure il rimbrotto dalla proprietà per aver irriso pubblicamente Lookman, il più forte della rosa.

Anche Antonio Conte sta vivendo sul filo di una crisi di nervi o oltre. Da primo in classifica ha spiegato di essere obbligato a confrontarsi con un ambiente spaccato, che non tira tutto dalla stessa parte e che non migliora. Resterà con o senza titolo? Non c'è certezza, se non del progressivo logoramento della sua pazienza. Perché succede a tanti di finire così? I risultati del campo sono una componente, non l'unica. La sensazione è che una stagione compressa come questa, senza possibilità di allenare veramente tra un impegno e l'altro e, dunque, senza poter incidere sia frustrante oltre ogni limite. Da qui il burnout continui degli allenatori, il vaso di coccio dentro spogliatoi in cui nella media ci sono giocatori che pensano a se stessi, guadagni e carriera, più che al bene della squadra. E che a loro volta sono impegnati a cercare di sopravvivere a fatica e stress.

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