Economia
January 09 2024
Il dado è tratto. Le attuali concessioni balneari scadranno il 31 dicembre 2023 e dal 1 gennaio 2024 verranno aperti i primi bandi pubblici per affidare i 19,2 milioni di metri quadrati di spiaggia a imprenditori e imprese che possano e vogliano rispettare le nuove regole in materia di concessioni balneari che verranno inserite in forma di emendamento all’interno del ddl Concorrenza.
Per poter usufruire del demanio marittimo (“in un adeguato equilibrio tra le aree demaniali in concessione e le aree libere o libere attrezzate” come recita la bozza) bisognerà rispondere a una serie di parametri che vanno dalla qualità dei servizi offerti, all’impatto ambientale, passando dall’attenzione all’accesso per le persone disabili fino alle attrezzature proposte e al libero per il mare per chi non paga lettino e ombrellone.
In questo modo il Governo cerca di porre fine a una storia lunga 80 anni e fatta di regole, eccezioni alle medesime, proroghe ed esenzioni che hanno determinato un’anomalia tutta italiana fatta di (pochi) concessionari che pagano affitti irrisori utilizzando un demanio pubblico che potrebbe fruttare allo Stato molto più denaro di quanto non faccia. Denaro che l’erario, poi, va a chiedere sotto altra forma ai cittadini.
Basti pensare che, al momento, le concessioni balneari sono in tutto 26.689, ma di queste ben 21.581 (circa il 70 per cento) hanno un valore inferiore ai 2.500 euro all’anno, pari a 200 euro al mese. Come ricorda, poi, il portale nonsprecare.it l’Agenzia delle entrate segnala che due gestori su tre non dichiarano al fisco il dovuto dei loro incassi.
Affitti bassissimi a fronte di un giro d’affari ufficiale di oltre 2 miliardi di euro visto. Di questi lo Stato ne incassa poco più di 103 milioni.
Per capire come questo sia stato possibile bisogna riavvolgere il nastro al 1942 quando il Codice di Navigazione ha stabilito che la concessione di un bene demaniale in caso di più domande deve essere subordinata all’interesse pubblico. Nel 1992, poi, tramite una modifica al Codice della navigazione è stato introdotto il cosiddetto “diritto di insistenza” all’origine di tutte le future contestazioni europee. Tale diritto stabiliva che i soggetti già titolari di concessioni siano preferibili a nuovi pretendenti, e che le concessioni siano rinnovate automaticamente ogni 6 anni.
In pratica la legge del 1992 ha di fatto paralizzato l’accesso a nuove concessioni favorendo la cosiddetta lobby degli stabilimenti. Chi si trova in possesso di una concessione a meno che non rinunci sponte sua difficilmente se ne vedrà privato.
Nel 2006, però, la direttiva europea sui servizi nota come direttiva Bolkestein determina che sia il rilascio di nuove concessioni, sia il rinnovo di quelle in scadenza debbano seguire procedure pubbliche, trasparenti e imparziali che consentano a nuovi operatori di concorrere su un piano paritario. Il tutto in nome del diritto al libero commercio e alla lecita concorrenza.
Da allora, come ricorda Corriere della Sera è iniziata la battaglia tutta italiana per (non) applicare la norma UE.
Intanto – siamo al 2009 – la Commissione manda una prima moratoria all’Italia ricordando che il diritto all’insistenza è in palese contraddizione con la direttiva Bolkestein. Il Parlamento italiano per non incorrere in pesanti sanzione abroga (2010) il diritto all’insistenza e anche al tacito rinnovo. L’UE cancella la procedura d’infrazione e la questione sembra risolta.
Peccato che la norma che aveva abrogato il diritto all’inisistenza era la stessa che stabiliva il termine di scadenza delle concessioni esistenti nel 2015.
E così nel 2012, puntuale, è arrivata una nuova legge per prorogare fino al 2020 le stesse concessioni. Nel 2016 l’UE apre una nuova procedura d’infrazione e, nonostante questo, la Legge di Bilancio del 2018 procrastina ancora una volta il termine ultimo delle concessioni fino al 2034.
A porre fino a questo imbarazzante balletto di interessi pubblici e privati ci ha pensato il Consiglio di Stato, massimo organo di giustizia amministrativa che, ribadendo la priorità della direttiva Bolkestain, ha fissato la scadenza improrogabile delle concessioni in essere al 31 dicembre 2023.
Da gennaio 2024, quindi, le concessioni demaniali delle spiagge, cioè gli affitti, dovranno essere rapportati al valore e allo spazio concesso e il criterio di ripartizione dovrà essere trasparente e motivato.
Le concessioni demaniali, infatti, sono un’entrata preziosa per le casse pubbliche, eppure fino ad ora le spiagge – una potenziale miniera d’oro per lo Stato – venivano concesse per pochi spicci. Complessivamente, lo Stato mette nel salvadanaio, come detto, solo 103 milioni di euro l’anno per concessioni demaniali delle spiagge, pari a una cifra media di 6.106 euro a chilometro quadrato. In sostanza, in termini spaziali, è più costoso mettere un carretto della frutta e verdura in mezzo alla strada che gestire un lussuoso stabilimento balneare.
Un gigantesco business che favorisce pochi eletti a discapito di moltissime persone. I contratti firmati sono 52.619 per 25mila concessioni che valgono il possesso e la gestione di 19,2 milioni di metri quadrati di spiagge. Non solo: i canoni di concessione di tutte le spiagge italiane rappresentano appena il 2 per cento del fatturato di tutti gli stabilimenti balneari del Paese.
E l’Italia è un unicum nell’Unione. In Francia, ad esempio, le concessioni, con le relative tariffe, vengono aggiornate ogni anno. In Spagna e Portogallo la concessione massima è di 75 anni, ma le tariffe vengono adeguate e il prezzo degli affitti aumenta a seconda del prestigio della zona. Situazione simile quella di Grecia e Croazia dove gli stabilimenti, calmierati e proporzionali agli spazi di arenile libero, non ostacolano l’accesso al mare che resta un libero diritto di tutti.
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha firmato il ddl Concorrenza, ma non ha potuto esimersi dallo scrivere il 2 gennaio 2024, al Presidente del Senato della Repubblica, Ignazio La Russa, al Presidente della Camera dei Deputati, Lorenzo Fontana, e al Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, una lettera di osservazioni nella quale sottolinea «i profili di contrasto con il diritto europeo» e rilevando come siano «indispensabili, a breve, ulteriori iniziative di Governo e Parlamento». In particolare, il Capo dello Stato ha richiamato l'attenzione del Governo e del Parlamento sull’articolo 11 della legge, in materia di assegnazione delle concessioni per il commercio su aree pubbliche, che, oltre a disciplinare le modalità di rilascio delle nuove concessioni, introduce l’ennesima proroga automatica delle concessioni in essere, per un periodo estremamente lungo, in modo che appare incompatibile con i principi più volte ribaditi dalla Corte di Giustizia, dalla Corte costituzionale, dalla giurisprudenza amministrativa e dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato in materia di apertura al mercato dei servizi».
«L'appello del presidente Mattarella non rimarrà inascoltato», ha assicurato Giorgia Meloni in conferenza stampa, annunciando nuovi interventi normativi in materia di concorrenza. Un incontro con Salvini e l'altro vicepremier nonché leader di Forza Italia Antonio Tajani non è ancora nell'agenda di Palazzo Chigi ma ci sarà presumibilmente nei prossimi giorni. Entro il prossimo 16 gennaio il governo Meloni dovrà fornire delle risposte alle osservazioni dell'Ue in materia di uso degli arenili, con la Commissione europea che potrebbe deferire l'Italia alla Corte di Giustizia europea (con il rischio di relative sanzioni).
Intanto buona parte delle regioni, sebbene non abbiano competenza in tema di concessioni demaniali marittime, hanno indicato ai comuni di optare per la via del differimento delle attuali concessioni che scadranno il prossimo 31 dicembre.
Ad alimentare polemiche è anche la decisione del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di ridurre del 4,5% il canone 2024. "Deriva dall'automatico adeguamento all'inflazione di qualsiasi contratto di locazione, mentre veniamo dall'anno precedente dove l'aumento è stato del +25%", specifica Licordari. Il Sib, aderente a Fipe-Confcommercio, ricorda che la modifica "è dovuta alle variazioni dell'indice Istat".