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Economia

Contratti a termine e apprendistato: come cambiano con Poletti

Update: L'articolo che segue è stato scritto e aggiornato mentre è in atto un braccio di ferro tra il Partito Democratico e gli alleati del Nuovo Centrodestra (Ncd), sulle modifiche da apportare al Decreto Poletti. Nella Commissione Lavoro della Camera, sono passati alcuni emendamenti voluti dal Pd ma osteggiati dai deputati Ncd, che intendono cambiare ancora il testo in aula. Ecco di seguito, qual è la situazione aggiornata a giovedì 17 aprile

Un po' più vincoli sui contratti a termine e sull'apprendistato, rispetto a quanto previsto nel testo originario della legge. E' la direzione che stanno prendendo le prossime modifiche al Decreto Poletti, che andranno presto all'esame del Parlamento, dopo essere state approvate nelle Commissioni Lavoro di Camera e Senato. Nel mese scorso, va ricordato, il governo Renzi ha messo in cantiere un contestatissimo decreto, con cui vengono eliminati molti vincoli oggi esistenti sulle assunzioni a tempo determinato e su quelle dei giovani apprendisti.

CONTRATTI A TERMINE: ECCO COSA CAMBIA

CINQUE RINNOVI AL MASSIMO

Nello specifico, per i contratti a termine è stato tolto il cosiddetto “causalone”, cioè l'obbligo per il datore di lavoro di indicare il motivo specifico per cui il dipendente è stato inquadrato con un contratto a tempo determinato e non con un rapporto stabile. Inoltre, il Decreto Poletti ha stabilito che l'assunzione a tempo determinato, una volta giunta a scadenza, può essere rinnovata consecutivamente per ben 8 volte nell'arco di 3 anni, senza che l'azienda sia obbligata a inquadrare il lavoratore in maniera stabile. I parlamentari della maggioranza, in particolare quelli del Partito Democratico, hanno ritenuto però queste regole un po' troppo blande, poiché il numero elevato di possibili rinnovi costringerebbe il dipendente a vivere nella precarietà per ben 36 mesi, con l'incubo del licenziamento a ogni scadenza del contratto. Per questo, i deputati e senatori del Pd, capeggiati Cesare Damiano, hanno proposto di ritoccare un po' il testo del Decreto Poletti, con un emendamento che ha ottenuto il via libera della Commissione lavoro di Montecitorio  I possibili rinnovi del contratto a termine saranno infatti al massimo 5 nell'arco di 3 anni, e non più 8 come previsto in precedenza. I deputati del Nuovo Centro Destra, contrari alle modifiche, hanno preannunciato però di voler dare battaglia nell'aula della Camera, dove il decreto legge verrà discusso domani, venerdì 18 aprile. 

IL NUOVO APPRENDISTATO

Nella Commissione lavoro di Montecitorio sono state apportate modifiche al Decreto Poletti anche nella parte relativa ai contratti di apprendistato. Per queste forme di assunzione, destinate ai giovani con meno di 29 anni,  il testo originario del decreto eliminava due importanti vincoli per le aziende. Innanzitutto, l'impresa non era più obbligata ad assumere almeno il 30% degli apprendisti che ha nell'organico, al termine del periodo triennale di formazione (cioè alla scadenza del contratto di assunzione del giovane). Inoltre, i datori di lavoro non erano  obbligati neppure a offrire agli apprendisti la formazione pubblica, cioè i programmi di training professionale curati dalle Regioni (che spesso, purtroppo, non funzionano come dovrebbero). Con queste nuove regole, l'azienda può scegliere di offrire al giovane neo-assunto soltanto un piano di formazione interna, curata dalla stessa impresa, magari coinvolgendo altri dipendenti più anziani.

Anche tali norme, per i parlamentari del Pd sono un po' troppo blande, poiché potrebbero spingere parecchi datori di lavoro a usare l'apprendistato soltanto perché è un contratto che costa poco (e prevede il pagamento di contributi molto ridotti), senza rispettare però gli obblighi di formazione professionale che lo accompagnano. Per questo, i deputati democratici hanno fattto approvare nella Commissione Lavoro due cambiamenti importanti al Decreto Poletti. Il primo consiste nel reintrodurre l'obbligo di assunzione di almeno il 30% degli apprendisti, ma soltanto per le aziende con più di 30 addetti. La seconda modifica prevede invece di cancellare l'obbligo della formazione pubblica, soltanto in un caso: quando la Regione, che cura i programmi di training professionale, non dà una risposta nell'arco di 45 giorni alle richieste di collaborazione dell'azienda. Anche su questo punto, però, si è registrata una netta divergenza tra il Pd e il Nuovo Centrodestra.

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