Cop 28 a Dubai, gli ostacoli da superare

Eccoci a un’altra Cop, numero 28 per l’esattezza. I grandi della Terra si riuniranno a Dubai dal 30 Novembre al 12 Dicembre 2023 per affrontare la crisi climatica ancora una volta. Alle spalle di questa ventottesima Conferenza delle Parti, questo il significato dell’acronimo Cop, c’è un anno di nuovi record di eventi estremi.

Che cosa possiamo sperare? In linea puramente teorica, Cop 28 dovrebbe porre in essere azioni volte a tenere in vita l’obiettivo stabilito a Parigi nel 2015: limitare l’aumento delle temperature medie globali a 1,5 gradi. Non è un gioco di numeri: quella è una soglia di temperatura che innesca fenomeni devastanti per gli ecosistemi e per l’uomo.

Attualmente, l’aumento delle temperature è di circa 1,2 gradi con proiezioni di 2,5 gradi nel 2100, anche considerando gli impegni di riduzione presi finora. Insomma, la Cop 28 di Dubai suona come l’ultima chiamata per stare sotto 1,5 gradi. Quello che ci possiamo aspettare è che vi sarà una discussione su come accelerare il passaggio a sorgenti di energia pulita puntando soprattutto su incentivi economici ai Paesi più poveri.

Di fronte ci sono i soliti ostacoli. Prima di tutto non c’è accordo fra le diverse nazioni su quale debba essere il futuro delle energie fossili, dal petrolio al carbone e al gas. Qui il nodo è decidere per la loro totale messa al bando o per la totale messa a bando del loro uso senza tecnologie di cattura o ancora la graduale messa al bando. L’Europa, e ancora di più gli ambientalisti, è su posizioni molto rigide, ma altre nazioni si oppongono risolutamente a una totale messa al bando.

L’Europa chiede anche un accordo di tutte le nazioni per triplicare la capacità di energia rinnovabile installata e per raddoppiare il tasso di incremento dell'efficienza energetica entro il 2030. Contemporaneamente è per la messa al bando tout court, cioè senza gradualità, dei combustibile fossili, responsabili di ben l’87 per cento delle emissioni di gas serra.

L’altro nodo è quello lasciato in eredità da Cop 27, cioè congegnare il funzionamento del cosiddetto fondo “loss and damage” per finanziare le nazioni povere. Non è chiaro come potrebbe funzionare, a livello sia organizzativo sia economico, dal momento che ci sono nazioni ricche come gli Stati Uniti non disposte a pagare per le proprie emissioni passate. È possibile che il nodo economico verrà sciolto con cifre che si aggirano sui 100 miliardi di dollari l’anno per rimpinguare il fondo.

Intanto, all’orizzonte si vede come al solito tanta buona volontà. Per esempio da riunioni appena intercorse tra rappresentanti di Cina, Stati Uniti e Unione Europea emerge un impegno comune di cooperazione per il successo della conferenza. Quello che si spera è più che altro un accordo tra Cina e Stati Uniti prima della conferenza, simile all’accordo del 2014 che ha aperto la strada al quasi successo della conferenza di Parigi. In questo caso, il nodo è il piano per la riduzione delle emissioni di metano e quello per la riduzione dell’uso del carbone in Cina. Al momento i cinesi sono intenzionati ad aumentare l’uso del carbone per migliorare la sicurezza energetica.

Saranno 197 le nazioni che dovranno trovare un accordo, con 70,000 delegati, inclusi capi di stato e leader mondiali. Troppe, forse. Ma una eventuale cooperazione tra Cina e Stati Uniti potrebbe davvero porre le basi per un esito positivo della COP28.

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