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March 10 2018
La notizia di un possibile futuro incontro tra il presidente statunitense Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un è stata accolta positivamente dalla comunità internazionale, ma non mancano gli interrogativi e i dubbi sui possibili scenari futuri.
Secondo molti osservatori, l'attuale capo della Casa Bianca sarebbe l'uomo meno indicato a condurre un negoziato con la Corea del Nord, a causa della sua impulsività e del palese disprezzo nei confronti delle regole base della diplomazia internazionale mostrato finora.
C'è anche chi teme che Pyongyang, dopo questa apertura al dialogo sulla denuclearizzazione, possa fare dietrofront, come già accaduto più volte in passato, quando il regime ha approfittato delle concessioni ottenute per rafforzarsi militarmente, impoverendosi però economicamente e socialmente a causa delle successive sanzioni.
Ma chi c'è dietro questo ulteriore passo verso il disgelo?
La Corea del Sud, che sarebbe sempre più ansiosa di liberarsi dalle ingerenze statunitensi, o la Cina, che avrebbe tutto l'interesse a mantenere la leadership in Asia, contando anche su una Corea unificata più forte in chiave anti-Giappone?
Proprio il governo di Tokyo sembra essere il più scettico e meno fiducioso nei confronti dell'apertura a una possibile denuclearizzazione, manifestata dalla Corea del Nord. Ma cosa potrebbe succedere a maggio in occasione del faccia-a-faccia tra Trump e Kim Jong-un? Davvero Pyongyang sarebbe disposta ad abbandonare il programma militare e atomico?
Sono diversi i motivi che hanno spinto la comunità internazionale a salutare con ottimismo la notizia di un futuro incontro, in un luogo da definirsi (qualcuno ipotizza persino un contro-invito a Washington da parte di Trump per Kim Jong-un).
Sicuramente si tratta di un segnale di distensione, lanciato dalla Corea del Nord e accolto dagli Usa, dopo le minacce reciproche di attacco nucleare.
Inoltre, secondo una fonte del governo americano, citata dalla Reuters, per il capo della Casa Bianca "ha senso accettare un invito per incontrarsi con una persona che può realmente prendere decisioni", ovvero Kim Jong-un. In questo caso il 45esimo Presidente statunitense potrebbe ribadire il proprio ruolo di "tessitore di accordi".
Proprio la linea tenuta finora da Trump, però, fa dubitare della sua capacità di mediazione, unita alle perplessità circa le richieste che Kim Jong-un potrebbe avanzare. Secondo diversi osservatori internazionali, il dittatore nordcoreano potrebbe semplicemente mirare a un riconoscimento dello status quodi potenza mondiale con una propria dotazione militare e nucleare.
Non a caso nei giorni scorsi non ha mancato di lanciare messaggi possibilistici, in cambio della garanzia della sicurezza nazionale. E' difficile immaginare che, dopo tante provocazioni con lanci di missili intercontinentali ormai in grado di raggiungere gli Usa (il cui costo di realizzazione ha pesato sui bilanci di Pyongyang in modo massiccio), ora voglia rinunciarvi del tutto.
Un'altra ipotesi è che il leader nordcoreano voglia approfittare dell'inizio di questa fase di negoziazione per proseguire il programma di arricchimento del proprio arsenale, nel frattempo strappando qualche concessione all'alleggerimento delle sanzioni economiche che hanno messo in ginocchio buona parte della popolazione.
Non è escluso che Kim Jong-un possa anche chiedere a Trump di interrompere le esercitazioni militari con la Corea del Sud, contro le quali più volte in passato si è scagliato. Che si accontenti di questo come garanzia per la sicurezza nordcoreana?
Ad avere interesse ad una smilitarizzazione statunitense nell'area sarebbe anche la Corea del Sud, dove stazionano ormai da decenni 28.500 militari americani. Washington ha sempre usufruito delle basi sudcoreane come avamposto in quella parte dell'Asia, non senza le proteste degli stessi abitanti soprattutto in occasione dell'installazione del Tad, il sistema antimissilistico statunitense in Corea del Sud.
A creare ulteriore malcontento sono stati anche i dazi imposti dagli Usa all'esportazione sudcoreana, che hanno di fatto abrogato gli accordi commerciali firmati dal predecessore di Trump, Obama.
La posizione di Seul, dunque, risulta al momento determinante.
Il 9 maggio 2017 l'elezione del Moon Jae-in alla presidenza è stata salutata con ottimismo, proprio perché il nuovo leader di Seul aveva promesso una ferrea lotta alla corruzione e soprattutto la pace con il Nord, in discontinuità con i suoi predecessori.
Una guerra con i "cugini" è sempre stata scongiurata da Moon, anche per le implicazioni che potrebbe portare: una città come Seul, che oltre 20 milioni di abitanti, non potrebbe sfuggire a danni collaterali ingenti. In un anno, però, la linea del presidente democratico sembra aver dato i primi importanti risultati.
I portavoce del presidente statunitense hanno confermato l'annuncio dell'inviato sudcoreano e consigliere per la sicurezza nazionale di Seul Chung Eui-yong, che Trump ha accettato l'invito di Kim Jong-un a un incontro, entro maggio. Ma non hanno mancato di sottolineare come le sanzioni e la politica della "massima pressione" adottate da Washington rimarranno in vigore (almeno) fino ad allora. Stessa linea ribadita dal capo della Casa Bianca, tramite i consueti tweet.
Secondo diverse fonti, la notizia dell'incontro ha colto di sorpresa l'amministrazione statunitense, se non altro per la tempistica: gli incontri bilaterali ai massimi livelli, infatti, sono solitamente preceduti da colloqui preparatori a livello diplomatico tra le due parti in causa, che in questo caso sono mancati. Basti pensare che gli Usa non possono contare neppure su un ambasciatore in Corea del Sud, non ancora nominato dopo le dimissioni a sorpresa di Joe Yun, rappresentante speciale degli Stati Uniti per la Corea del Nord.
Solo 24 ore prima della notizia dello storico colloquio poi, il Dipartimento di Stato americano aveva annunciato nuove sanzioni contro la Corea del Nord dicendosi certa che l'ordine di avvelenare il fratellastro del dittatore nordcoreano fosse giunto proprio da Pyongyang.
Secondo l'intelligence Usa, infatti, Kim Jong-nam è stato ucciso con gas nervino Vx, una sostanza proibita dal Chemical and Biological Control and Warfare Elimination Act del 1991.
La portavoce del Dipartimento, Heather Nauert, ha usato toni durissimi, che non lasciano spazio a mediazioni: "Questa pubblica dimostrazione di sfregio per le norme universali contro l'uso di armi chimiche dimostra ancora una volta la natura temeraria della Corea del Nord ed evidenzia che non possiamo permetterci di tollerare alcun tipo di programma di armi di distruzione di massa da parte di Pyongyang".
Da non sottovalutare, poi, la Cina, che secondo molti analisti internazionali avrebbe avuto il ruolo di regia dei recenti sviluppi. Più volte il presidente americano Trump ha esortato Pechino ad intervenire con azioni di pressione su Pyongyang.
Il peso delle sanzioni avrebbe contribuito ad ammorbidire la posizione di Kim Jong-un: nel 2016 la Corea del nord ha infatti importato dalla Cina prodotti raffinati per 115 milioni di dollari, secondo il Trade Center, agenzia congiunta dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) e delle Nazioni Unite.
Il peso dell'import e del relativo embargo è stato confermato anche dall'Us Energy Administration, secondo cui la Pyongyang importa circa 10mila barili di greggio al giorno, quasi tutti provenienti dalla Cina. Questo, unito alla volontà di Pechino di non perdere la leadership nell'area, avrebbe spinto ad aumentare le pressioni sulla Corea del nord.
A nutrire dubbi e soprattutto timori, però, è il Giappone, il nemico numero uno e più vicino geograficamente al regime nordcoreano. Non a caso la dichiarazione del Premier nipponico Shinzo Abe è stata la più "fredda": "Il Giappone e gli Stati Uniti non oscilleranno dalla loro ferma posizione di voler continuare a esercitare la massima pressione fino a quando la Corea del Nord non prende azioni concrete verso la completa, verificabile e irreversibile cessazione dello sviluppo nucleare e missilistico".
Prima dell'incontro Trump-Kim Jong-un, comunque, ci sarà un vertice bilaterale tra Giappone e Stati Uniti, proprio in chiave preparatoria.
Non manca chi ricorda il precedente dello storico incontro tra il Presidente americano Nixon e il leader cinese Mao Tse Tung nel 1972: anche in quel caso, però, si trattò di un colloquio preceduto da un lungo, delicato e certosino lavoro di negoziazione, che in questo caso pare essere del tutto assente. In meno di un anno i progressi nel dialogo con Pyongyang appaiono evidenti, soprattutto dopo l'accelerazione in occasione dei Giochi Olimpici invernali, ospitati proprio dalla Corea del Sud, ma questo non garantisce la riuscita della partita più delicata: la denuclearizzazione effettiva della regione.