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March 08 2017
Secondo i calcoli del Pentagono, la Corea del Nord entro i prossimi cinque anni avrà sviluppato la capacità di lanciare un missile intercontinentale armato con una testata nucleare in miniatura, e la cosa è "inaccettabile per gli Stati Uniti", a detta della Casa Bianca. Il che significa che, se la minaccia nordcoreana fosse ritenuta credibile e imminente dal Dipartimento della Difesa, o più semplicemente se Pyongyang aggredisse direttamente Seoul (la Corea del Sud è alleato di ferro degli Stati Uniti) o il Giappone, Washington potrebbe anche decidere di lanciare un attacco militare preventivo, eliminando una volta per tutte la variabile impazzita del giovane dittatore Kim Jong-Un.
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Non è un caso che, tra i primi dossier richiesti dal neo presidente americano Donald Trump alla National Intelligence, vi sia proprio quello relativo al programma nucleare nordcoreano, letto il quale ha commentato così: "La Corea del Nord ha appena affermato di essere prossima alla messa a punto di un’arma nucleare capace di raggiungere alcune aree degli Stati Uniti. Ciò non accadrà mai!".
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Per questa ragione, in risposta all’ennesimo lancio di missili - stavolta caduti nelle EEZ, ovvero le acque di competenza economica del Giappone (altro alleato di ferro di Washington) - gli Stati Uniti hanno iniziato a spostare in Corea del Sud il sistema anti-missili Thaad, acronimo di Terminal High Altitude Area Defense, un intercettore capace di colpire missili balistici a medio e corto raggio.
Lo US Command americano ha comunque sottolineato che il Thaad rafforzerà le difese sudcoreane, prevenendo le ripetute minacce della Corea del Nord. Il portavoce del Dipartimento di Stato, Mark Toner, ha inteso offrire al contempo le rassicurazioni americane a Pechino, sottolineando che il sistema Thaad "non è destinato a essere una minaccia, e non è una minaccia, a loro (la Cina, ndr) o a qualsiasi altra potenza nella regione".
Ed è vero: il Thaad ha una portata di soli 200 km e può raggiungere un’altezza di appena 150 km, ma il sistema non è una vera novità: gli Stati Uniti lo hanno già schierato a difesa di Guam e nelle Hawaii, proprio contro potenziali attacchi dalla Corea del Nord.
Tuttavia, se finora il Pentagono aveva ritenuto risibili le minacce nordcoreane, l’accresciuta capacità militare del paese comunista ha richiesto nuove contromisure in risposta ad alcuni interrogativi, che la stessa Cina si pone: anche Pechino, infatti, negli ultimi anni ha tollerato malvolentieri le ripetute provocazioni di Kim Jong-Un. E, per parte sua, inizia a spazientirsi, consapevole che una Corea del Nord guidata dall’inesperto e irrequieto figlio d’arte - lo hanno preceduto alla guida del paese comunista il nonno Kim Il Sung e il padre Kim Jong-il - potrebbe recare più guai che benefici a Pechino.
Il “fattore coree”
La Corea del Nord ha rappresentato sino a pochi anni fa un fattore di equilibrio per la Cina. Il confine contestato con la Corea del Sud è eredità di un mondo quasi scomparso che, tuttavia, a queste latitudini è rimasto come cristallizzato nel tempo: dopo la fine dell’occupazione giapponese, nel 1945 la penisola coreana fu occupata a nord dalle truppe sovietiche e a sud dalle truppe americane, nel reciproco tentativo di stabilire le rispettive zone d’influenza. Da allora, le due Coree furono separate da un confine provvisorio lungo il 38° parallelo e divennero loro malgrado pedine della più grande Guerra Fredda. Questo provocò l’inutile e infruttuosa guerra di Corea del 1950, in seguito alla quale la situazione rimase pressoché la medesima, cioè senza vincitori, come stigmatizzato dall’armistizio di Panmunjeom del 1953, tuttora in essere.
Così, oggi lungo quel confine è attivo il quarto più grande esercito al mondo: circa un milione di soldati di Pyongyang sono schierati intorno alla cosiddetta zona demilitarizzata (DMZ), che dista non più di cinquanta chilometri dalla capitale della Corea del Sud, Seoul. A vigilare la situazione oltrefrontiera, oltre ai soldati sudcoreani vi sono almeno 40mila soldati americani, che a partire da adesso presidiano e monitorano l’area anche con il sistema missilistico Thaad.
Ma tutta questa dimostrazione muscolare appare utile solo a ribadire rispettive aree di influenza e a garantire provvigioni all’industria militare, mentre l’economia del sud prolifera e compete con le fabbriche cinesi in settori come la telefonia, l’informatica e l’industria automobilistica, dando semmai impulso a guerre commerciali e allo spionaggio industriale. Un’arte che Pechino ritiene molto più interessante e remunerativa.
Il problema cinese
Ora, è interesse anzitutto della Cina che Pyongyang non compia passi falsi come appunto attaccare la Corea del Sud. In ragione di ciò, o meglio per ragion di Stato, potrebbe prima o poi voler o dover destituire, magari per mezzo di un assassinio politico, il pericoloso Kim Jong-Un. Questo perché Pechino è l’unico vero paese che adotta davvero e sino in fondo il concetto di soft power e predilige da sempre la stabilità all’avventurismo, mentre il dittatore nordcoreano rappresenta la sola variabile impazzita capace di destabilizzare davvero negativamente i piani cinesi. Mentre una vera sfida o escalation militare con Washington non è nei progetti, né nelle corde della Repubblica Popolare.
Anche dal punto di vista di Washington, un attacco militare contro la Corea del Nord è altamente improbabile, e sarebbe ipotizzabile solo in risposta a una minaccia concreta. Ciò nonostante, una simile eventualità potrebbe piacere ai falchi dell’apparato militare, perché potrebbe consentire agli Stati Uniti di conseguire un triplice obiettivo: sventare una minaccia più o meno concreta al proprio paese; dimostrare al mondo che gli USA restano una superpotenza (schiacciare Pyongyang è, infatti, alla loro portata); ottenere una leva da usare come futuro strumento di pressione per intimorire Pechino. Per questo, una Corea del Nord con a capo Kim Jong-Un rappresenterà sempre una notevole spina nel fianco per la Repubblica Popolare Cinese.