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April 03 2021
«Vedi le onde? S'infrangono su questa riva, ma chissà da dove vengono, da quali altri mari». Così il fumettista Jiro Taniguchi raccontava il Giappone che negli anni portava la storia e le sue tradizioni in giro per il mondo. Un universo così diverso da quello occidentale che è riuscito ad affascinare milioni di persone tra manga e sushi. Difficilmente l'artista avrebbe però pensato che le sue parole sarebbero state perfette per descrivere l'avanzare di un'altra onda, quella coreana, la cosiddetta «hallyu».
Un successo travolgente, che ti avvolge proprio come le onde dal mare. Il termine «hallyu» nasce in Cina negli anni Novanta per descrivere la popolarità delle serie televisive coreane appena sbarcate nel Paese del Dragone. Da quel momento «l'onda coreana» è diventata una priorità per il governo di Seoul che si è mosso in maniera importante per finanziare le arti. Nell'ultimo discorso alla nazione, il presidente sudcoreano Moon Jae-in ha dichiarato: «Finanzio la diffusione della nostra cultura perché ogni cittadino possa sentirsi parte di un comune senso di realizzazione».
Sono proprio le arti a guidare il fenomeno «hallyu». Prima di tutto la musica «che trascende le barriere linguistiche» come ha più volte dichiarato Kim Namjoon, leader dei BTS, una boyband di sette ragazzi simbolo del K-pop. Secondo il Wall Street Journal - che ha dedicato ai BTS un lunghissimo articolo di copertina - «la loro musica non è indirizzata a un determinato gruppo di individui, è per tutti e piace a tutte le età». Questi ragazzi esportano un modello di gioventù diversa dalla nostra. Sono curati, volti puliti, nessun tatuaggio e look da «rich kid». Anni luce dai nostri rapper e trapper sguaiati e dall'aspetto da gang di periferia. Il successo dei BTS ha portato a un cambiamento radicale nel modo di produrre ed esportare musica, ha detto John Ahn, executive vice president di CJ entertainment & media, sottolineando come la Corea non sia più il loro unico mercato di riferimento: «I nostri artisti oggi guardano allo stesso pubblico di Justin Bieber o Ariana Grande». Una bella differenza con i nostri Vasco e Ligabue che cantano in italiano per gli italiani ed esportano pochissimo.
C'è però un punto su cui il manager musicale è irremovibile. «La musica coreana non deve farsi contaminare da quella occidentale. Non voglio che il K-pop si trasformi come è successo per la cultura harajuku in Giappone che oggi è rappresentata da Gwen Stefani».
Nonostante il successo di Dynamite - la prima canzone completamente in inglese dei BTS - il gruppo è stato molto chiaro nel sottolineare l'importanza di scrivere e cantare nella sua lingua. Scelta estrema, che al mondo è piaciuta molto. Tanto che aumentano in maniera esponenziale i corsi di Hangul, idioma considerato il più semplice al mondo da imparare per chi è illetterato. L'Istituto culturale coreano in Italia offre corsi semestrali per chi vuole avvicinarsi alla lingua del Paese. «Prima della pandemia, il giorno in cui si aprivano le iscrizioni si formava sempre una lunga coda fuori dall'Istituto. Oggi con il web ci arrivano richieste da tutta Italia».
Quello della Corea del Sud è un «soft power» come definito dallo studioso di Harvard Joseph Nye. Con questo termine si definisce «il potere intangibile che uno Stato esercita attraverso la sua immagine».
Esempio principe è quello che rappresenta Hollywood per gli Stati Uniti. Ma anche quest'ultimo sembra essere stato travolto dall'onda coreana. Lo scorso anno il film Parasite diretto da Bong Joon-ho ha conquistato Golden Globe e Oscar. Quest'anno un altro film made in Corea potrebbe fare incetta di premi. Minari del regista Lee Isaac Chung è candidato a sei statuette: miglior film, regia, sceneggiatura originale, colonna sonora, migliore attore protagonista e miglior attrice non protagonista.
Un talento, quello degli attori coreani, che Netflix è interessato a coltivare. A cinque anni dal suo debutto nella Corea del Sud, la piattaforma di streaming ha annunciato un piano per investire 500 milioni di dollari in progetti originali. Una scommessa importante che arriva dopo un anno in cui le ricerche su internet di K-drama sono aumentate del 180 per cento. A portare definitivamente l'onda hallyu negli Stati Uniti sarà però Apple TV Plus che per prima ha avviato la produzione globale globale di Pachinko, un k-drama tratto dall'omonimo romanzo di Min Ji Lee e che verrà filmato tra Corea, Giappone e Usa. Nel cast stellare spicca il nome di Lee Min-ho, «il principe» per eccellenza delle serie tv coreane. L'«hallyu» però non si ferma al mondo dell'intrattenimento. La moda sta fortemente beneficiando della popolarità del Paese e i brand made in Seul vedono arrivare ordini da tutto il pianeta. Complici gli idoli pop e cinematografici che indossano capi prodotti in Corea, presentandoli al resto del mondo. È il caso di Danha, un marchio che parte dall'hanbok, l'abito tradizionale coreano, per tradurlo in chiave moderna. A lei si devono i costumi indossati dalla girl band Blackpink durante la performance al Jimmy Fallon show americano, che hanno immediatamente contagiato tutte le teenager d'oltreoceano. Ma il vero re della moda made in Seul è il ragazzo d'oro dei BTS, Jeon Jungkook, capace di mandare esaurito qualsiasi capo indossi. Conscio del successo, il giovane ha spiegato durante una diretta che il suo desiderio è far conoscere ad Army (così vengono chiamati i fan del gruppo) nuove piccole aziende e dare loro la possibilità di beneficiare della sua esposizione mediatica. Il brand di streetwear Lamodechief ne è un esempio.
E se il Giappone ci aveva conquistato con nigiri, hosomaki e uramaki, la Corea del Sud ha il suo asso nella manica quando si tratta di cucina. Parliamo del kimchi, un piatto a base di verdure fermentate e spezie, utilizzato come contorno su tutte le tavole coreane. Si dice che ogni coreano ne consumi circa 36 chilogrammi all'anno. Secondo un recente studio, il kimchi è prodotto più esportato nel resto del mondo. Un mercato che nel suo complesso vale 12,3 miliardi di dollari, con una crescita annua del 22,4 per cento. Un tempo era la Corea che imitava l'Occidente. Ora il procedimento è inverso. Andando a scoprirlo, il Paese divenuto famoso per il ritmo di Gangnam style è molto di più.
Lee Min Ho in «The King: Eternal Monarch» (Netflix)
Senza ombra di dubbio è uno degli attori asiatici più popolari. Al mondo.
Lee Min-ho, classe 1987, ha iniziato a recitare in piccoli ruoli fin dal liceo. Il successo arriva nel 2009, con l'iconico ruolo di Goo Joon Pyo, il ricco bad boy di Boys Over Flowers, la rivisitazione coreana del più noto drama giapponese (manga e anime) Hana Yori Dango. L'interpretazione gli vale anche un premio come miglior nuovo attore alla quarantacinquesima edizione dei Baeksang Arts Awards.
Elevato nell'Olimpo degli attori coreani, Lee Min-ho vanta nel suo curriculum drama come "Personal Taste" (2010), "City Hunter" (2011), "The Great Doctor (aka Faith)" (2012), "Heirs" (2013), "The Legend of the Blue Sea" (2016-2017) e “The King: Eternal Monarch" prodotto da Netflix.
Se nel 2014, una rivista cinese di intrattenimento ha incoronato Lee Min-ho come "Asian Male God", oggi è uno dei volti preferiti dalle case di moda di tutto il mondo.
Anche l'Italia guarda con attenzione a Min-ho, tanto che Fendi l'ha scelto come ambassador del brand.
Oggi Lee Min-ho, che è il primo attore Hallyu a superare i 20 milioni di followers sui suoi social network (Facebook e Instagram), oggi è impegnato sul set del suo primo progetto internazionale, Pachinko, che sarà prodotto da Apple TV plus.
Tratto dall'omonimo romanzo di Min Ji Lee (che in italiano è stato tradotto come La Moglie Coreana), narra la saga di quarta generazioni di una famiglia coreana immigrata tra Corea, Giappone e Usa. Lee Min-ho ricoprirà il ruolo di Hansu, un ricco e potente mercante legato a un'organizzazione criminale. Conosciuto e famoso per i suoi ruoli da principe azzurro o del rich kids, questa sarà la prima volta volta per Lee Min-ho in un ruolo misterioso, di un uomo che nasconde segreti e rincorre una storia d'amore proibita. Pur non essendo il protagonista, giocherà un ruolo fondamentale nella scacchiera di Pachinko. La serie prevede 8 episodi, sarà scritta e prodotto da Son Hugh, famosa produttrice e scrittrice televisiva (tra i suoi lavori figurano The Whispers). Oltre a Lee Min Ho nel cast del drama anche Jin Ha, Anna Sawai, Minha Kim, Soji Arai e Kaho Minami.
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Una polemica che ruota tutta intorno a un cavolo. E più precisamente al cavolo utilizzato nella preparazione del kimchi da tutti chiamato, erroneamente, cavolo cinese o cavolo di Pechino. Visto il crescente interesse verso questo piatto semplice all'apparenza ma estremamente complesso, la Cina, che di per se vanta un patrimonio storico e culturale immenso, ha ben pensato di avanzare l'idea che in realtà i natali del kimchi appartengano alla terra del Dragone. Con buona pace dei Coreani che, invece, si ridurrebbero a dei semplici consumatori e usurpatori del piatto. Eppure, per onor di cronaca, le cose non sono proprio come la Cina racconta. Già nel 2012 il governo cinese iniziò a contrastare il kimchi vietando le importazioni del tipo coreano sostenendo che queste fossero in contrasto con gli standard definiti dal Codex Alimentarius e che il cavolo utilizzato per la sua preparazione fosse un derivato del pao cai, una variante del Sichuan. Se si va a leggere il Codex, tuttavia, si scopre che il cavolo utilizzato per la preparazione del kimchi ha un nome ben preciso che, con la Cina, ha poco a che vedere: cavolo kimchi. Come il piatto di cui è alla base. Eppure la polemica non sembra placarsi e, dopo che da qualche settimana infiamma le cronache nazionali coreane, ora non è passata inosservata nemmeno in Italia.
Ma che cosa intendiamo quando parliamo di kimchi?
Elemento di base della cucina coreana, la prima volta che si legge la parola kimchi è in un testo, simile a un ricettario, risalente al periodo Goryeo (918-1392). Nel registro sono riportate diverse etichette e varie tipologie di kimchi (dal classico a quello con la rapa passando per quello composto da germogli di bambù) che venivano utilizzati per alcuni rituali ancestrali. Sempre nel periodo Goryeo, il kimchi è il protagonista indiscusso di un poema del letterato Yi-Gyu-bo che in un suo poema descrive la preparazione e il consumo di un kimchi leggero composto di rapa in salamoia. Anche nel periodo Joseon (1392-1910) vi sono tracce di testi letterari di tipo agricolo e culinario in cui viene citato e descritto nel dettaglio il kimchi.
«Nel campo dietro casa piantiamo rape, rafano, lattuga e filipendula, assieme a zenzero, aglio e cipolle verdi, e facciamo il kimchi con cinque condimenti»
Questa piccola poesia è tratta da uno dei volumi storici di Seo Geo-jeong, un letterato che visse tra il 1420 e il 1488 che spesso si dedicò al racconto del kimchi, della sua produzione e del consumo.
Sebbene la ricetta non sia mai stata stravolta, oggi il kimchi si può preparare con tutte le verdure che crescono sulla terra e ne esistono oltre 300 varietà differenti che variano a seconda della stagione, ma anche della regione o degli ingredienti utilizzati nella sua preparazione. Ciò che tutte le varietà di kimchi hanno in comune è che tutte le verdure utilizzate devono prima essere messe sotto sale, poi condite con varie salse e fatte fermentare. Se la tradizione vuole differenze non solo regionali, ma anche di casa in casa, è noto che nelle zone più fredde del Nord il kimchi sia più insipido, preparato con poco peperoncino in polvere e molto acquoso. Al contrario, nelle regioni più calde del Sud, per accrescerne la conservabilità si aggiungono sale, pesce fermentato e molto peperoncino in polvere. Il risultato è un piatto molto piccante, salatissimo e poco acquoso.
Tutte le qualità di kimchi sono però accomunate dal fatto che questo piatto sia ricco di vitamine, minerali e fibre e porti effettivi benefici al nostro organismo. Riconosciuto a livello mondiale come un ottimo alimento dietetico, grazie al processo di fermentazione vi si formano dei fermenti lattici e dei componenti aromatici che aiutano e favoriscono la digestione, la rivista americana Health lo ha posto al quinto posto nella classifica dei cibi anticancerogeni e ricchi di fermenti lattici. In Corea tutti lo consumano perché si pensa che questo alimento aiuti ad affrontare le vite frenetiche delle metropoli coreane tanto che si stima che in un anno, solo i sudcoreani, consumino in media 1,85 milioni di tonnellate di kimchi, circa 36 chilogrammi pro capite.
Il kimchi è così radicato nella tradizione che il gimjang, la cerimonia di preparazione in grandi quantità che di solito avviene tra ottobre e novembre, è stato riconosciuto nel 2013 come Patrimonio Culturale Intangibile dell'Umanità dall'Unesco. Durante il gimmjang, le famiglie si riuniscono e preparano grandi quantità di kimchi per condividerlo con la famiglia e i meno fortunati rafforzando così i rapporti di amicizia. In passato, il gimjang era visto come una necessità per affrontare gli inverni freddi e difficili in cui le verdure scarseggiavano.
A raccontare e a far conoscere in Italia la storia del kimchi e le sue modalità di preparazione ci pensa l'Istituto Culturale Coreano con sede a Roma che organizza online corsi di cucina tipica locale ma anche eventi in cui racconta, attraverso la voce di ambasciatori d'eccezione, la storia del Paese. Tra questi figura Costantino della Gherardesca, noto volto televisivo con cui abbiamo partecipato a una lezione di cucina sulla preparazione del kimchi. «Il kimchi è un piatto molto buono e saporito e accende l'attenzione sul microbiota, ovvero la salute dell'intestino piatto.» ha commentato il conduttore «Questo piatto millenario favorisce la flora intestinale ed è estremamente sano». «Pur essendo un piatto apparentemente semplice» ha continuato «al suo interno si trovano decine di verdure e spezie e il ragionamento sui sapori è tutto calcolato». «La Corea è l'Italia sono sempre più vicine» ha concluso Costantino «e la Corea in questo periodo sta vivendo un vero boom culturale ed economico. Aprendoci ad altre culture possiamo solo guadagnarci, scambiandoci informazioni e aprendoci a un Paese che - pur essendo ancorato alle tradizioni come il nostro - è diventato un paradigma per quanto riguarda la modernità e lo slancio verso il futuro e una cultura cosmopolita».
BTS, Justin Bieber e Ariana Grande (BigHit Music/Hybe/Kevin Mazur/Getty Images for AG)
Non avranno portato a casa un Grammy, ma i BTS sono ormai i re dell'industria musicale globale. Non bastava infatti il cambio di nome, da Big Hit Entertainment ad Hybe Corporation, e il trasferimento in un palazzo nuovo di zecca nel cuore di Seoul. Bang Si-hyuk, ceo dell'azienda e uno dei leader internazionali nel campo della musica, ha chiuso ieri un accordo storico che proietta la ex Big Hit Ent oltreoceano.
Hybe ha infatti annunciato la fusione con la Ithaca Holdings, la società guidata dal fondatore di SB Projects (SBP) Scooter Braun. Nell'affare, HYBE acquisirà attraverso HYBE America, il 100% della società di Scooter Braun e con essa anche le sue proprietà, ovvero la SB Projects, la Big Machine Label group e i molteplici artisti rappresentati. Tra questi, figurano i nomi di star del pop internazionale come Justin Bieber, Ariana Grande e Demi Lovato.
Al fine di acquisire Ithaca Holdings, Hybe America pagherà 1,19 trilioni di Won (circa 1,05 miliardi di dollari) agli attuali azionisti e creditori di Ithaca Holdings. Ma non solo. Circa 860.000 azioni dal valore di 182 miliardi di Won (circa 161 milioni di dollari), saranno emesse a favore di Scooter Braun, Ariana Grande, Justin Bieber, e altre 30 altre persone. Se Scooter Braun riceverà 462.380 azioni, Ariana Grande e Justin Bieber riceveranno 53.557 azioni ciascuno. Ogni membro dei BTS aveva ricevuto 68.385 azioni ciascuno quando la ex Big Hit Entertainment era stata quotata in borsa per la prima volta.
BTS e Justin Bieber da soli portano all'interno della Hybe due fanbase che contano centinaia di milioni di membri da tutto il mondo, mentre Ariana Grande ha recentemente superato i 90 miliardi di streams consumati in tutto il mondo, il massimo mai raggiunto da un artista femminile, e una recente vittoria ai Grammy.
«L'inevitabile unione di Hybe e Ithaca Holdings segna l'inizio di una nuova avventura che nessuno avrebbe potuto immaginare» ha detto il presidente e amministratore delegato di Hybe Bang Si-Hyuk. «Le due aziende lavoreranno a stretto contatto facendo leva sulle nostre comprovate esperienze di successo, know-how e competenze per creare sinergie, trascendere i confini e abbattere le barriere culturali. Attendiamo con ansia le infinite possibilità di Hybe e Ithaca Holdings, e il nuovo paradigma che la partnership stabilirà nell'industria musicale».
«Questa sarà la prima volta che i sistemi innovativi saranno integrati nel mercato statunitense» ha commentato Scooter Braun. «Questa è un'opportunità per noi di fare la storia e innovare e rivoluzionare ulteriormente l'industria musicale. Sono incredibilmente grato per l'amicizia del presidente Bang e la sua volontà di sostenere il viaggio creativo di un artista».
L'accordo comprende una serie di servizi tra cui gestione, servizi di etichetta e pubblicazione per un roster combinato che comprende BTS,TXT, SEVENTEEN, con Justin Bieber, Ariana Grande, J Balvin, Demi Lovato, Thomas Rhett, Florida Georgia Line, Lady A e altri artisti nei roster SB Projects e Big Machine.
Esclusa dall'accordo Taylor Swift. Nel novembre 2020, Braun ha infatti venduto i diritti master dei primi sei album di Taylor Swift, pubblicati da Big Machine, per un accordo che si ritiene valga più di 300 milioni di dollari.