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September 19 2018
Come sempre, sarà il pragmatismo economico a salvare l'Asia. Ed è puntando su investimenti, crescita e sviluppo che il presidente della Corea del Sud Moon Jae-inè riuscito a chiudere l'incontro di Pyongyang con Kim Jong-un con l'ennesima conferma di quanto la Corea del Nord sia determinata ad abbandonare il nucleare.
Procediamo con ordine. L'incontro tra i due leader a Pyongyang è di per se' un avvenimento dalla portata storica. Ma ciò che è ancora più "entusiasmante", per rimanere sui toni dei tweet con cui Donald Trump si è complimentato per il successo dell'incontro, è scoprire che Kim Jong-un ha promesso di chiudere in maniera permanente il sito di arricchimento dell'uranio di Yongbyon, di smantellare la rampa di Dongchang-ri, sulla costa occidentale, utilizzata fino ad oggi per effettuare i test missilistici e nucleari, e di autorizzare l'ingresso degli ispettori internazionali affnché possano confermare il suo impegno attivo sul fronte della denuclearizzazione.
Tuttavia, chi ha seguito con regolarità l'andamento dei negoziati troverà molto strano l'enfasi con cui il comunicato finale parla di denuclearizzazione, visto che fino a una manciata di giorni fa Kim Jong-un aveva ribadito di essere sì disponibile a un nuovo incontro con il presidente statunitense Donald Trump (cui ha fatto ache pervenire una lettera al riguardo), ma di poter portare avanti questo importante negoziato solo a fronte di "concessioni reciproche". Riferendosi esplicitamente alla collaborazione economica e alla firma di un trattato di pace.
Moon è certamente il leader che ha permesso di trasformare una minaccia di guerra nucleare sempre più concreta, che ha raggiunto il suo apice verso la fine del 2017, in un processo di pace. In cui ci sono ancora tanti ostacoli da superare ma che sta andando avanti. Come? Anzitutto con il sostegno della sua nazione, che da anni si sente in balia degli umori di Pyongyang e che desidera ardentemente la pace.E poi con il pragmatismo che da sempre contraddistingue la maggior parte dei leader asiatici. Ovvero facendosi carico delle questioni che più preoccupano Kim: salvare la faccia (sul nucleare, che gli serve come simbolo di potere da utilizzare come collante interno), e regalare al paese il sogno di una vita più serena e confortevole (nella speranza di poter usare il benessere per mantenere il consenso rinunciando, parzialmente, al nucleare? E' quello che speriamo tutti, pur senza poter rispondere a questo interrogativo).
Moon ha conquistato la fiducia di Kim rimanendo sempre disponibile ad approfondire la collaborazione economica e sociale. E ancora una volta ha utilizzato il palcoscenico di Pyongyang per sottolineare come l'obiettivo di Seul sia quello di "ripristinare la vita normale" nella Penisola. Cosa vuol dire? Far lavorare la nuova "Ambasciata" aperta a Kaesong, dove da qualche giorno lavorano insieme venti ufficiali del Sud e venti del Nord, proprio per rendere le comunicazioni tra i due paesi più rapide e regolari, collegando strade e ferrovie, favorendo i contatti tra le famiglie separate dalla guerra, cooperando nel settore della sanità e via dicendo. L'importante è non spingersi (ancora) sui settori colpiti da sanzioni, per non indispettire gli Stati Uniti e non ritrovarsi a dover fare passi indietro non voluti. Quel che ormai è certo è che ovunque verrà individuato uno spiraglio la Corea del Sud interverrà per trasformarlo in una nuova area di collaborazione.
Quello che forse dall'esterno non si vede è che sulla Penisola coreana non si stano confrontando tre attori guidati da interessi e strategie diverse, quanto leader che non riescono a dialogare utilizzando la stessa lingua. Il coordinamento tra Washington e Seul sulle iniziative economiche (e non solo) da portare avanti al Nord è quotidiano. Il che vuol dire che anche gli Stati Uniti apprezzano l'impegno con cui la Corea del Sud sta cercando da mesi di instaurare al Nord un clima di fiducia che possa favorire la pace.
Dal canto suo, la Corea del Nord continua a sottolineare l'importanza di essere diventata una potenza nucleare, ma è anche vero che quando, a inizio settembre, ha festeggiato il 70esimo anniversario della fondazione del regime non ha fatto sfilare nessun missile a medio-lungo raggio o intercontinentale nella parata militare di rito, a differenza di quanto è avvenuto negli anni precedenti. Un segnale di distensione? Certamente sì.
Il presidente della Corea del Sud ha capito che gli Stati Uniti, anche per una questione di credibilità, non vogliono cedere ne' sulla denuclearizzazione ne' sulle sanzioni, mentre la Corea del Nord potrebbe essere disposta a fare concessioni importanti a fronte di una revisione graduale e progressiva della linea americana. E così si fa intermediario di queste due esigenze che, in realtà, portano allo stesso risultato finale: una Penisola coreana sicura e pronta ad abbracciare il boom economico che l'integrazione con il resto della regione inevitabilmente innescherà.