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February 09 2018
Ammesso che Donald Trump non riesca a rovinarla, l’inaugurazione delle Olimpiadi invernali di PyeongChang è la tanto attesa breccia nel muro (contro muro) che il mondo, preoccupato, attendeva.
La volontà di pace tra la Corea del Nord e la Corea del Sud che si cerca appunto di celebrare in questi giorni e che il vice di Trump, Mike Pence, ha visto bene di disertare nella forma di una cena a suggello delle strette di mano, è al momento la principale notizia di politica estera dell’anno appena iniziato.
L’assenza di Pence non può infatti sminuire la forza di un’immagine, quella di Kim Yo-jong, la sorella del dittatore nord coreano, che saluta gli atleti di tutta la Penisola coreana mentre sfliano sotto un’unica bandiera in una foto di famiglia col Presidente sudcoreano Moon Jae-in. Lei in nero partito unico, lui in bianco glamour neve.
Le cerimonie inaugurali servono, nel mondo moderno, anche a questo. A dare ai leader quei pretesti per incontrarsi senza il consueto gioco di maschere e di protocolli diplomatici, lasciando così spazio a grandi sorrisi distensivi e offrendo al mondo qualche spiraglio di speranza.
Il ricordo, tuttavia, va anche all’inaugurazione dei Giochi olimpici di Pechino, l’8 agosto del 2008, quando Vladimir Putin seduto accanto al leader cinese salutava di ottimo umore i porta bandiera del mondo all’alba della globalizzazione, mentre i suoi carri armati si apprestavano a riportare l’ordine in Ossezia del Sud, invasa dalla Georgia.
In quel caso Putin ci mise una settimana a chiudere la partita, e il mondo imparò la geopolitica guardando gli atleti; capì insomma le intenzioni della Cina e la forza dello Zar, mentre giungevano notizie da sconosciute repubbliche del Caucaso.
Se oggi la Cina è vicina ancora più di allora, i giochi di potere si sono fatti invece più remoti e ancora più seri, perché la Corea del Nord, con le sue concrete aspirazioni nucleari, con tutta evidenza non è la piccola Ossezia del Sud. L’equazione rimane quindi intatta a dieci anni di distanza e apre alla similitudine.
Nel 2008 Hu Jintao, il leader cinese, aveva infatti enfatizzato nel suo discorso inaugurale il concetto di “società armoniosa”. Vista la possanza della Cina e il ruolo di Vassallo della Corea del Nord, è chiaro come il concetto di “armonioso” non valga solo per Pechino ma abbracci, come dire, la visione complessiva della Cina come potenza regionale e oltre.
Sinora non è stato così. Di armonioso c’è stato poco e nonostante tutti i limiti diplomatici dell’Amministrazione Trump, con tanto di disputa con Kim-Jong-un sul bottone più grosso, è indubbio che sull’intemperanza nordcoreana Pechino e Mosca hanno spesso chiuso un occhio.
Eppure, guardando la foto, è ragionevole pensare come la diplomazia abbia lavorato lontano dai riflettori, per portare a questo storico risultato, al momento solo simbolico, ma si spera con ricadute pratiche nel breve periodo.
Certo perché le due Coree possano dare continuità a questa giornata e far sì che la fotografia dal palco di PyeongChang diventi storica, occorre guardare a Pechino e a Washington e anche, un poco, a Mosca. Le grandi potenze hanno tutto l’ascendente necessario per rafforzare la distensione sul 38esimo parallelo, ma prima devono chiarirsi le idee con le dinamiche interne che stanno portando ad una nuova, e prepotente, corsa al riarmo nucleare.