News
June 16 2017
"Mi hanno detto che era un regalo. Non avrei dovuto andare a Napoli, ma con Pelella siamo amici da anni…". Arrestato l’11 aprile scorso nell’atto di intascare una mazzetta da 7.500 euro, il direttore provinciale dell’Agenzia delle entrate di Genova, Walter Pardini, ha provato a difendersi di fronte al giudice con queste sconcertanti parole. L’avvocato la cui amicizia invocava candidamente come un alibi è un ex collega dell’Agenzia delle entrate e se si pensa che l’azienda napoletana di cui è ora consulente, la Securpol, ha aperto una sede fantasma a Genova, nel mezzo di un contenzioso con l’Agenzia, proprio in concomitanza con il trasferimento di Pardini nel capoluogo ligure, è difficile immaginare una storia di corruzione fiscale più inquietante di questa.
Inquietante ed esemplare, ma non unica e neppure rara. Qualcosa di non troppo diverso, solo per fare un esempio, accadde nel febbraio del 2013 a Firenze, con il direttore dell’Agenzia delle entrate Nunzio Garagozzo che attraverso un commercialista complice chiedeva soldi per ridurre l’evasione accertata sotto i limiti del penale (licenziato dieci mesi dopo l’arresto in flagrante e successivamente condannato dopo il patteggiamento). Ed ecco altri personaggi con ruoli di spicco finiti nei guai nei quattro anni che separano i due casi più clamorosi: il capo dell’ufficio controlli di Pesaro (arrestato a ottobre 2013 e condannato a dicembre 2016); l’ex responsabile della Campania (messo ai domiciliari il 15 luglio 2014); un giudice della Commissione tributaria di Roma (arrestato il 9 marzo 2016); il capo dell’ufficio legale dell’Abruzzo (ai domiciliari il 29 aprile 2016); l’ex direttore dell’ufficio dell’Agenzia di Forlì-Cesena (indagato il 16 febbraio 2016), il capo del team funzioni ispettive di Reggio Emilia (arrestato il 16 giugno 2014). Tutti accusati di aver messo in piedi rapporti di do ut des simili a quello di cui è accusato Pardini e per cui fu condannato Garagozzo.
È diversa, ma solo in parte, la posizione dell’ex vicedirettrice Gabriella Alemanno, indagata a maggio 2016 e per cui è stato richiesto il rinvio a giudizio il 1° marzo 2017, che in questo momento non è più vicedirettrice ma resta dirigente di vertice dell’Agenzia delle entrate. L’ipotesi di reato nel suo caso è di abuso di ufficio, in quanto avrebbe chiesto e ottenuto dal direttore regionale di Equitalia Lazio di sospendere il debito esattoriale di un’amica, evitandole con ciò il rischio di pignoramento dell’ultimo stipendio, della tredicesima e della liquidazione.
Attenzione: le vicende citate riguardano solo persone con funzioni dirigenziali o comunque di alto livello (i giudici tributari non sono dipendenti dell’Agenzia, ma fanno parte comunque del sistema fiscale, e quello arrestato a Roma operava in combutta con un ex dipendente). Contando anche i livelli più bassi riguardanti i dipendenti sia dell’Agenzia delle entrate che di Equitalia, si supera largamente la trentina di casi di cui è stata data notizia a livello nazionale o locale negli ultimi quattro o cinque anni. A parte un paio di storie anomale, come quelle del dipendente dell’Agenzia che spacciava cocaina e dei due funzionari appropriatisi di casse di prodotti Chanel che avrebbero dovuto distruggere, si trova anche qui la solita sfilza di aspiranti «esattori in proprio». Si va dal funzionario dell’Agenzia di Genova che nel 2014 ha cercato di farsi dare 10 mila euro dal titolare delle cantine del famoso spumante Bisson (che lo ha denunciato) agli ispettori di Roma che giravano per ristoranti chiedendo 25 mila euro per non far scattare severissime verifiche, passando per le decine di accessi sospetti al sistema informatico di Equitalia.
Nel periodo fra il 2012 e il 2016, secondo i dati forniti dalla stessa Agenzia delle entrate, si arriva a 493 indagati e 30 condannati in via definitiva. Sono tanti o pochi? Dall’Agenzia chiedono giustamente di valutare questi numeri in proporzione al totale dei dipendenti. "Nell’ultimo triennio" osservano "solo 83 su 40.000 sono stati i casi passibili di licenziamento e solo 27 su 40.000 sono stati i dipendenti tratti in arresto per reati contro la Pubblica amministrazione come la corruzione, l’abuso d’ufficio, la concussione. Si tratta, dunque di un fenomeno circoscritto allo 0,2 per cento dei dipendenti in tre anni".
Già, ma se a fare lo stesso senza essere scoperti fossero il doppio o il triplo? Le cronache raccontano che a denunciare i corrotti sono spesso contribuenti spremuti senza ritegno che non ne possono più. Anche ammesso che la maggior parte sia motivata dalla sacrosanta indignazione degli onesti, resta il sospetto che a tariffe convenienti (con mazzette adeguatamente inferiori a quel che si dovrebbe pagare di tasse) la faccenda fili liscia e senza intoppi almeno in un buon numero di casi.
Non ci vuole molto a immaginare che cosa passi per la testa di un contribuente onesto, magari tartassato dal Fisco per un’inadempienza formale, di fronte alla scoperta di episodi del genere, ed è forse anche per questo che le istituzioni tendono un po’ a minimizzare. In occasione degli episodi di corruzione più gravi l’Agenzia emette di solito un comunicato in cui si dichiara a fianco degli inquirenti, deplora i comportamenti disonesti e preannuncia provvedimenti disciplinari nei confronti dei dipendenti colti sul fatto, cosa che effettivamente avviene quando la legge lo consente. Dalle verifiche fatte per questo articolo risulta che su 34 casi di corruzione presunta o accertata di dipendenti dell’Agenzia siano scattati 21 licenziamenti (di cui uno revocato dopo un contenzioso, ahimé, per presunto vizio di notifica) e 11 provvedimenti disciplinari, di cui 9 sospesi "per carenza di elementi istruttori", più un collocamento a riposo e un caso di dimissioni spontanee. Per quanto riguarda Equitalia, su dieci casi segnalati ci sono stati 7 licenziamenti e una sospensione disciplinare in attesa del giudizio.
In qualche caso l’Agenzia delle entrate sottolinea con orgoglio come le indagini della magistratura siano partite proprio su segnalazione dei suoi organismi di vigilanza. Peccato che tale circostanza si verifichi assai di rado e la grande maggioranza delle indagini sia dovuta a iniziative autonome della magistratura. C’è un problema di scarsa efficacia dei controlli? Qualche perplessità è sollevata sicuramente dall’identità dei controllori. "La legge istitutiva dell’Agenzia delle entrate" ricorda l’ex sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti "prevedeva testualmente che il ministero dell’Economia avrebbe esercitato un’azione di vigilanza sul nuovo organismo. Ma questa non è mai stata effettuata se non a livello puramente formale. In altre parole, l’Agenzia si controlla da sola, cosa che rappresenta indiscutibilmente un’anomalia e che non favorisce certo la fiducia dei cittadini". Qui il tema della corruzione si intreccia con quello del potere eccessivo che secondo i più critici sarebbe concentrato nell’Agenzia delle entrate. "Anche gli accordi sui contenziosi fiscali con i contribuenti maggiori, come quello appena chiuso con Google" prosegue Zanetti "non rassicurano affatto. Ci vogliono regole trasparenti e valide per tutti, mentre i vertici attuali dell’Agenzia sono abituati a muoversi con la più grande discrezionalità. E sono perfino riusciti a convincere Ocse e Fondo monetario, autori ciascuno di un rapporto sull’Agenzia a cavallo fra il 2015 e il 2016, che c’è bisogno una dose maggiore di autonomia!".
Un ruolo centrale nella lotta alla corruzione è affidato all’Audit dell’Agenzia. Alle persone che fanno capo a questa direzione spetta il compito di svolgere indagini per prevenire tutto ciò che possa impattare negativamente sulla attività degli uffici (dalle frodi interne ai possibili danni erariali), anche tenendo conto dei reati riscontrati in passato nei singoli territori. In pratica i suoi funzionari e dirigenti vano in giro per le sedi tenendo d’occhio ogni tipo di criticità: la regolarità amministrativa e contabile, il rispetto dei principi di autonomia e di indipendenza da parte del personale, la presenza di eventuali casi di incompatibilità. Per far questo raccolgono documenti, accedono a banche dati, registrano dichiarazioni sia di dipendenti dell’Agenzia che di contribuenti. E all’occorrenza, segnalano gli episodi sospetti all’autorità giudiziaria.
L’area responsabile di questi controlli è stata ampiamente ridisegnata a dicembre scorso e il nuovo assetto è entrato in funzione poche settimane fa. La novità principale è rappresentata dalla nascita di quattro macroaree (Nordovest, Nordest, Centro e Sud) al posto delle vecchie strutture regionali, con lo spostamento del personale che prima era sparso in giro per l’Italia in quattro città: Milano, Venezia, Roma e Napoli. Ma più che dall’intento di migliorare le performance l’operazione sembra dettata da esigenze di taglio dei costi, visto che nella relativa disposizione interna è indicato, fra gli altri, l’obiettivo di eliminare 32 posizioni dirigenziali e 31 posizioni organizzative speciali. E c’è chi se ne lamenta apertamente. "Rispetto all’organico precedente" protestano dal sindacato di dirigenti e funzionari Dirstat "la diminuzione sfiora il 50 per cento. Ed è grave, perché fra corruzione ed evasione fiscale c’è una correlazione strettissima, con gli effetti perniciosi sui conti pubblici che tutti conoscono. Ma come è possibile fare controlli più accurati se le persone che se ne occupano sono sempre di meno?".
Resta la strada della vigilanza degli stessi dipendenti, a cui si chiede di tenere gli occhi aperti per stanare i colleghi infedeli. Si chiama whistleblowing una procedura sperimentata nel mondo anglosassone per consentire di segnalare comportamenti illeciti nella Pubblica amministrazione senza esporsi in prima persona. All’Agenzia delle entrate un apposito indirizzo email è stato attivato a febbraio 2015. Da allora sono arrivate 223 segnalazioni, un numero non proprio trascurabile (l’email dell’Anticorruzione per tutta la Pubblica amministrazione italiana ne ha contate 299 in un anno e mezzo) che si spera funzioni da deterrente per i malintenzionati che ci rendono più amaro il dovere di pagare le tasse.