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February 13 2018
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu lo ha sempre detto: Israele si difenderà da ogni attacco e da ogni minaccia.
È per questo motivo che dal 2011 a oggi, cioè dall’inizio della guerra civile siriana, le forze aeree di Gerusalemme (o Tel Aviv, secondo il politically correct) hanno compiuto oltre un centinaio di raid clandestini contro postazioni e depositi di armi appartenenti tanto agli Hezbollah libanesi quanto al regime siriano.
Clandestini nel senso che non sono mai stati ufficialmente riconosciuti dal governo, secondo una consolidata tradizione bellica israeliana.
Di certo però hanno avuto il loro effetto, quello di convincere il nemico del fatto che Israele risponderà colpo su colpo a ogni minaccia - spesso colpendo preventivamente - ogni volta che riterrà il rischio incombente.
L’ultimo caso si è verificato il 7 febbraio scorso quando l’IDF, Israel Defense Forces, ha lanciato una vasta operazione sopra i cieli siriani che puntava a distruggere "obiettivi iraniani" in risposta al drone di provenienza iraniana intercettato da un elicottero mentre attraversava il confine tra Siria e Israele e subito abbattuto.
Durante una di queste sortite punitive, le difese antiaeree di Damasco sono riuscite ad abbattere un jet da combattimento israeliano F-16, che si è quindi schiantato nel nord di Israele (i piloti sono riusciti a lanciarsi dall’aereo e sono stati recuperati vivi nei pressi di Harduf).
Si ritiene che dal 2006 a oggi sia la prima volta che Israele perde un caccia durante un’operazione militare. Damasco ha aggiunto che altri aerei israeliani sono stati colpiti, ma al momento non si ha conoscenza di altri episodi simili.
Secondo l’IDF, in ogni caso, le recenti incursioni aeree rappresentano gli attacchi più significativi di questo tipo contro la Siria dalla guerra del Libano del 1982.
Tanto è bastato per scatenare una ridda di polemiche internazionali sul caso. "L'Iran ha violato sfacciatamente la sovranità di Israele" si è giustificato il premier Netanyahu. "Hanno inviato un drone iraniano dal territorio siriano contro di noi. Israele ritiene l’Iran e le sue armate siriane responsabili". Teheran ha ovviamente negato.
Il Dipartimento di Stato americano ha sostenuto il diritto di Israele a difendersi, incolpando l’Iran per lo scontro aereo. In un colloquio telefonico con Netanyahu, invece, il presidente russo Vladimir Putin ha sottolineato la necessità di evitare una "pericolosa escalation" ribadendo il sostegno di Mosca al governo del presidente Assad nella guerra civile in Siria.
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha commentato le ultime manovre belliche come una «pericolosa ricaduta» sul conflitto in corso.
Di certo, chi riteneva che in Siria fosse in corso una de-escalation militare si dovrà presto ricredere.
Scomparse o quantomeno rese inoffensive le milizie che imperversano da anni nel teatro di guerra siro-iracheno, è il tempo degli eserciti ufficiali: Israele, Turchia, Russia, Stati Uniti e Iran hanno ormai ingolfato i cieli siriani e alcuni di loro hanno persino schierato truppe e tank per difendere le posizioni acquisite.
Il che porta a due semplici considerazioni:
Il che ci riporta a Israele. Dal momento che Teheran da anni ha inviato in Siria consiglieri militari, milizie volontarie e centinaia di uomini delle Forze Al Quds, ovvero il braccio armato del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Iraniane (IRGC), e poiché l’Iran foraggia le forze del presidente Bashar al-Assad e degli Hezbollah filo-iraniani fornendo loro migliaia di tonnellate di armi e munizioni, il governo di Gerusalemme ha deciso di passare all’azione.
Secondo gli strateghi israeliani, infatti, Teheran sta cercando di stabilire non soltanto un’area d’influenza quanto più vasta tra Iraq e Siria, ma anche una linea di fornitura logistica via terra che dall’Iran arrivi direttamente fino a Hezbollah in Libano, garantendo una continuità territoriale funzionale a rifornire militarmente gli alleati. In attesa di stabilire poi lungo la traiettoria di questi paesi falliti il cosiddetto "corridoio sciita", ossia una linea diretta che consentirebbe a Teheran di avere uno sbocco nel Mar Mediterraneo, replicando quanto già fatto dal Cremlino.
Ovviamente, questo rappresenta un incubo per Israele, consapevole del fatto che l’espansione dell’Iran corrisponderebbe al suo ridimensionamento e isolamento in Medio Oriente.
Se non direttamente l’annientamento, visto che il paese è notoriamente considerato dalle frange più estreme delle élite arabe regionali “un’entità da cancellare”. Per questo e per altre ragioni, nei prossimi mesi non ci si può aspettare altro che la prosecuzione di questo schema da ambo le parti.
È illusorio, infatti, immaginare che tacciano le armi e che gli eserciti coinvolti nel conflitto retrocedano, proprio adesso che è caduta la foglia di fico dello Stato Islamico e che la guerra si presenta per ciò che è davvero: un tentativo di scrivere un nuovo capitolo di storia del Medio Oriente, con la definizione di nuovi confini geografici e politici da cui le potenze vincitrici potranno ricavare un profitto non indifferente.
Tutto sta a capire chi potrà emergere come vero vincitore, dal momento che non si palesano altro che "secondi classificati".
Israele potrà ottenere obiettivi strategici nelle "terre di nessuno" lungo le Alture del Golan.
Gli Hezbollah libanesi potranno allargare il proprio raggio d’azione ed espandere i traffici vitali per sostentarsi oltre la Valle della Bekaa e fin quasi a Damasco.
La Turchia potrà sradicare la minaccia curda e allungare di molti chilometri il proprio confine, sino quasi ad Aleppo.
La Russia ha già preso la provincia di Latakia e si è assicurata lo sbocco al Mediterraneo proprio come sognavano gli Zar.
L’Iran insegue la medesima direttrice e punta a condizionare i futuri governi di ciò che resta di Siria e Iraq.
Mentre l’obiettivo strategico degli Stati Uniti resta molto confuso, chiaro soltanto nel voler arginare l’espansione dei suoi avversari storici e nel moltiplicare i profitti delle vendite di armi.
Dunque, a vincere potrebbero essere un po' tutti, mentre a perdere di sicuro è la popolazione locale. Che vivrà in miseria e nel lutto ancora a lungo, bandita da casa propria sino a data da destinarsi.