Economia
May 10 2021
Una cosa è certa. Niente sarà più come prima. La rivoluzione Covid ha cambiato il mondo sotto ogni punto di vista e, se non si vuole soccombere, bisogna reinventarsi. Vale in tutti gli ambiti, tanto più in quello lavorativo stravolto dalla nuova disciplina della prossimità umana imposta come regola viste le necessarie distanze anticontagio da mantenere se si vuole lavorare
Tradotto in soldoni: quando la tempesta sarà passata, aziende, imprese, lavoratori , industrie, negozi e attività di ogni tipo dovranno fare i conti con questa "nuova normalità" destinata a diventare strutturale. Che sia "smart", "ibrido", "presenziale" o "digital" il lavoro non sarà più come prima
La parola d'ordine, quindi, è, fin da adesso, "riconversione".
La certezza che arriva sia dal mondo dell'impresa sia da quello sindacale è che la riqualificazione delle risorse umane e la riconversione degli investimenti aziendali in formazione e digitalizzazione sono le chiavi per cavalcare un'onda da sotto la quale, altrimenti, non è possibile uscire.
Le grandi imprese lo hanno già capito e colossi come Google, Facebook o Amazon si confrontano sulla soluzione migliore per sposare sviluppo imprenditoriale, gestione del personale e futuro dell'impresa.
Le opzione di scelta intorno alle quali ruota l'intero asset ideologico sono: adottare la settimana ibrida, restare in modalità smart oppure protendere per il graduale ritorno in ufficio, strada intrapresa, ad esempio, da aziende quali Verizon o Mars secondo cui l'elemento umano del lavoro e la gestione del personale non possono che avvenire in maniera presenziale. Di contro, ad esempio, Microsoft punta ad alternare presenza in ufficio con momenti smart ritenendo il brainstorming presenziale viatico allo sviluppo d'impresa. "Smart", invece, potrebbe restare Facebook, che investe nello sviluppo di tecnologie avanzate che permettano al lavoratore di operare da remoto dai quattro angoli del globo.
Questa tendenza la conferma un recente studio condotto dal McKinsey Global Institute sul futuro e il lavoro dove si evidenzia che in ottica post pandemia saranno i lavori a maggiore prossimità quelli che subiranno i più drastici cambiamenti.
La pandemia, infatti, per la prima volta, ha elevato l'importanza della dimensione fisica del lavoro e più di 800 professioni sono a rischio scomparsa per il numero di interazioni personali coinvolte e per la loro natura che implica forzata prossimità.
Rispetto alle tradizionali definizioni di settore, quindi, McKinsey ha scoperto che i posti in aree di lavoro con livelli più alti di vicinanza fisica probabilmente subiranno una maggiore trasformazione dopo la pandemia, innescando effetti a catena in altre aree di lavoro, con i modelli di business cambiaeranno di pari passo.
Il Covid, inoltre, ha accelerato quel processo di trasformazione digital che era già in atto a livello embrionale dandogli una spinta ormai irreversibile. Il mondo del lavoro, quindi, sarà fatto di riunioni virtuali, impiegati in remoto, spazi aperti e attenzione alla qualificazione delle competenze.
"Si tratta di una grande opportunità per il futuro – sostiene Tiziana Bocchi, segretaria Confederale UIL – e in questo momento è fondamentale che le aziende investano in formazione. Sarà, infatti, necessario che il personale venga riconvertito e che venga data l'opportunità ai lavoratori di sviluppare le nuove competenze che saranno necessario per rimanere in azienda".
Le aziende, sottolinea ancora McKinsey, hanno storicamente controllato i costi e mitigato l'incertezza durante le recessioni con l'adozione dell'automazione e la riprogettazione dei processi di lavoro che riducono la quota di lavori che coinvolgono principalmente compiti di routine.
Molte aziende, già in questi mesi, hanno implementato l'automazione in magazzini, negozi di alimentari, call center e impianti di produzione per ridurre la densità del posto di lavoro e far fronte ai picchi della domanda a scapito del personale umano.
In questo senso, sottolineano i sindacati, è fondamentale riprendere la "contrattazione – sottolinea la segretaria Bocchi – come luogo fondamentale della difesa del lavoro per evitare che la situazione si traduca in un dramma occupazionale maggiore di quello che è già". Al momento si parla di quasi due milioni di occupati che ancora non lavorano e di 2,6 milioni di dipendenti che vedono a forte rischio il proprio futuro lavorativo nel momento in cui arriverà lo sblocco dei licenziamenti.
"L'anello di congiunzione tra vecchio e nuovo – ribadisce la segretaria confederale UIL – è rappresentato da quegli investimenti oggi più che mai necessari in istruzione qualificata sia all'interno dell'azienda sia, in un contesto di maggior respiro, in formazione primaria e secondaria.
La rivoluzione socio economica in atto non viene presa alla leggera neppure dal mondo dei datori di lavori. L'eco dell'imprenditoria è piuttosto concorde nel ritenere che fare in "modo nuovo" l'"attività vecchia" potrebbe essere l'unico modo per non cedere il passo al futuro che incombe prima ancora che la danza della nuova normalità inizi.
La stima è che negli 8 paesi più industrializzati del mondo almeno 100 milioni di lavoratori dovranno cambiare occupazione.
Nessuno, in principio, ritiene che il mondo dell'imprenditoria cederà il passo senza lottare e, dal piccolo salumiere alla grande catena commerciale tutti tenteranno, con gli strumenti a loro disposizione, di non cedere. Poi, però, la selezione naturale avverrà e il mix di competenze e professionalità richieste per essere all'altezza dei tempi si muterà in quella che il sindacato UIL ritiene essere una "rivoluzione sociale" senza procedenti.
La riconversione delle competenze della quale si è appena parlato determina un salto culturale del concetto stesso di lavoro.
Secondo la Fondazione studi Consulenti del Lavoro, ad esempio, cavalcare l'onda significherà anche rendere sempre più autonomi i lavoratori. I dipendenti dovranno sapere cambiare velocemente habitus e contesto, essere in grado di lavorare da casa e da remoto, potersi adattare alle esigenze dell'azienda in maniera flessibile e non vincolante per l'impresa.
"A pagare il prezzo maggiore di tutto questo, purtroppo – sottolinea ancora Tiziana Brocci, segretaria UIL – saranno le donne. Se non sapremo tutelare i contratti e trovare gli accordi con i vertici aziendali saranno soprattutto le donne tra i 35 e i 45 anni quelle che pagheranno il prezzo maggiore al mondo del lavoro schiacciate tra gli impegni famigliari e quelli lavorativi, sottopagate e maltrattate da un mondo del lavoro sempre più fagocitante e sordo alle richieste del tessuto connettivo della società, ovvero la famiglia.