Politica
July 20 2022
Comunque vada a finire, è stata la legislatura più pazza della storia. Con tre governi, due crisi, e decine di leader che hanno detto tutto e il suo contrario. E su tutto c’è, indiscutibilmente, anche la firma del presidente della repubblica, il demiurgo di questi cinque anni che oggi sembrano finire meschinamente, con le comiche finali.
Le ultime elezioni politiche certificarono da subito che la paralisi era dietro l’angolo, e le pressioni del Quirinale furono da subito molto potenti. I contatti frenetici tra Salvini e Di Maio, poi i primi abboccamenti tra Pd (allora retto dal reggente Martina) con i Cinque Stelle. Poi lo stop di Mattarella al nome di Paolo Savona come ministro (troppo euroscettico), il mandato a vuoto per Cottarelli. Poi il miracolo del governo gialloverde, abbattuto dal Papeete di Salvini.
Andare al voto? L’ipotesi infernale che tutti, da subito hanno cercato di evitare. In primis il capo dello stato. Con la scusa di evitare la presa di “pieni poteri” da parte di Salvini, il Pd stringe il patto con i Cinque Stelle per battezzare il governo giallo-rosso, conquistando la poltrona di governo e blindando Roberto Speranza alla Salute: il premier è sempre lo stesso, Giuseppe Conte, l’uomo per tutte le stagioni e per tutte le coalizioni, populista o europeista a seconda della convenienza. Stavolta ci pensa Renzi, staccandosi dal Pd, a segare le gambe al Conte due, piazzando una mina sulla riforma della giustizia targata Bonafede.
Dunque altro esperimento fallito, mentre i lockdown pandemici mettevano in ginocchio l’economia italiana. Anche stavolta l’imperativo è uno soltanto: evitare le elezioni. Altro giro, altra giostra, il coniglio dal cappello quirinalizio si chiama governo di unità nazionale, a guida Draghi. Una navigazione travagliata, tra partiti ideologicamente ed elettoralmente diversi e a tratti opposti. Non poteva che finire così: con le dimissioni di Draghi in un primo momento respinte, e per finire con il caos del Senato di oggi.
A conti fatti, nel nome della stabilità, abbiamo avuto tre governi altamente instabili. Non esattamente un capolavoro. Certo, c’erano e ci sono ancora fascicoli scottanti da gestire: ma sta di fatto che stiamo consegnando alla storia una legislatura in perenne ebollizione. A causa della debolezza della classe dirigente (che non ha avuto la forza di imporre un altro nome al Quirinale), e forse anche a causa di un’esondazione del potere quirinalizio, che di fatto ha commissariato, dall’alto, le forze politiche. I posteri giudicheranno se questo commissariamento sarà qualificato come salvifico o rovinoso. Una cosa è certa: in questo periodo di emergenza continua (della quale non si vede fine), la Costituzione ne esce visibilmente stirata, al punto che qualcuno stenta ormai a riconoscerla. La conseguenza è che mai, come al termine di questa legislatura, le istituzioni e il sentire comune degli italiani sono stati così distanti. Palazzo e cittadini sono su due mondi diversi: e questo non è un bene per nessuno.