Dal Mondo
January 06 2022
É sempre più tesa la situazione in Kazakistan, il nono Paese più grande del mondo e la più grande economia dell'Asia centrale, che sta soffrendo per la caduta dei prezzi del petrolio (di cui è grande esportatore) e per la svalutazione del tenge (la moneta locale), dove anche stanotte ci sono stati violenti scontri tra i manifestanti e le forze dell’ordine. Sui canali Telegram circolano moltissimi video ma distinguere il vero dal falso è complicatissimo vista la propaganda delle opposte fazioni.
Da alcuni giorni la popolazione manifesta contro il nuovo aumento del prezzo del gas naturale liquido che è utilizzato per riscaldare le case ma anche come carburante per le automobili. Ma questo ennesimo aumento è l’ultima goccia di benzina sul fuoco del dissenso della popolazione kazaka che da tempo vede aumentare il prezzo dei generi alimentari, della benzina, dei materiali da costruzione e del prezzo dei servizi pubblici, per altro inefficienti, mentre i loro salari restano sempre gli stessi, la disoccupazione aumenta e i membri dell’elite politica si arricchiscono a dismisura e mostrano senza alcun pudore sui social network auto di lusso, abiti firmati e vacanze da nababbi. I problemi del Kazakistan che nel suo sottosuolo ha immense risorse naturali quali petrolio, giacimenti d’uranio, gas, ferro, carbone e molti altri minerali preziosi vedi le “terre rare”, sono iniziati nel 2014 con la crisi del prezzo petrolio poi con la pandemia da Sars-Cov 2, è arrivato il calo del 90% delle esportazioni verso la Cina, un fatto che ha messo in ginocchio l’economia kazaka dopo vent’anni di prosperità. Altro aspetto da non trascurare è quello legato ai bitcoin cinesi: secondo alcune stime negli ultimi anni in Kazakistan si sono trasferite dalla Cina migliaia di società che producono criptovalute (nel biennio 2020-2021 sarebbero state piu’ di centomila), tutte spinte dal basso costo dell’energia elettrica che serve a produrre le monete digitali tuttavia, la domanda enorme di energia ha fatto saltare anche questi equilibri.
Lo scorso 4 gennaio il Governo guidato dal primo ministro Askar Uzakbaiuly Mamin aveva tentato di fare marcia indietro (seppur parziale) annunciando una riduzione dei prezzi, ma l’operazione non è servita a fermare le proteste di piazza che hanno messo in condizioni insostenibili l’Esecutivo che è stato costretto alle dimissioni del presidente kazako Kassym Jomart Tokayev che in queste ore ha anche estromesso dal Consiglio di Sicurezza il suo predecessore e padre padrone della repubblica ex-sovietica Nursultan Nazarbayev, dopo che aveva imposto lo stato di emergenza ad Almaty, capitale finanziaria, e nella provincia occidentale di Mangystau oltre alla capitale Nur-Sultan che in kazako vuol dire ‹‹Sultano di Luce›› dove ora vige il coprifuoco notturno. Ma anche queste misure non sono bastate a fermare le proteste tanto che ad Almaty, la città più popolosa del Kazakistan, migliaia di persone sono scese ancora in strada e alcuni di loro sono riusciti a entrare nel palazzo del Municipio (mentre scriviamo è in fiamme, ndr); intanto l'aeroporto di Almaty è stato chiuso e le forze dell'ordine utilizzano granate stordenti e gas lacrimogeni contro i manifestanti.
La riposta delle autorità non si è fatta attendere visto che Tokayev ha promesso una ‹‹risposta dura›› ai tumulti tanto che già 200 persone sono finite in carcere. Ma c’è un dato da non sottovalutare: tra le forze dell’ordine ci sarebbero dei morti e più di 100 feriti, alcuni di loro colpiti da armi di fuoco che i manifestanti hanno rubato dalle stazioni di polizia assaltate mentre nella città di Aktobe secondo il sito web Orda.kz ‹‹la polizia si rifiuta di arrestare i manifestanti in quanto solidale con loro››. In queste ore, come già visto in questi casi, in altri Paesi dell’area e in Turchia le autorità stanno rendendo molto difficile l’utilizzo della rete internet, di WhatsApp, Telegram e di Signal per evitare che la protesta si allarghi in tutto il Paese ma non solo: il timore è che la miccia delle proteste di piazza si accenda anche nella altre Repubbliche dell’Asia Centrale dove i segnali di inquietudine da mesi si fanno sempre più consistenti e dove il terrorismo islamico è spettatore interessato pronto ad intervenire come lo stesso Vladimir Putin ha recentemente sottolineato parlando degli oltre 100 attentati sventati solo nella Federazione Russa nel 2021. E da dove provenivano la maggior parte di coloro che volevano fare strage di innocenti ad esempio a Mosca? Dall’Asia Centrale. Il Cremlino intanto segue con attenzione quanto accade in queste ore in Kazakistan e già fatto sapere che «non ammetteremo interferenze», mentre Tokayev nella serata di ieri ha chiesto l’intervento militare russo dopo che era apparso in diretta televisiva per dire che ‹‹Non importa cosa accadrà, rimarrò nella capitale. Questo è il mio dovere secondo la Costituzione per stare insieme al popolo. Supereremo questo periodo oscuro della storia del Kazakistan. Ne usciremo più forti››. Difficile prevedere cosa accadrà ora in Kazakistan ma di certo le proteste potrebbero influenzare l'Asia centrale e altri paesi intorno alla Russia. Sia nel 2020 che nel 2021 crisi e proteste si sono verificate in paesi in cui la Russia ha interessi, ad esempio in Bielorussia, gli scontri tra Kirghizistan e Tagikistan che si contendono un pezzo di confine, le proteste in Armenia senza dimenticare le tensioni tra Russia e Stati Uniti sull'Ucraina. Altri spettatori interessati a quanto accade in questi giorni in Kazakistan e che temono che le proteste possano arrivare in casa loro oltre alla già citata Russia, ci sono l’Iran e la Turchia mentre la Cina che è il più grande investitore in Asia centrale teme problemi sulle rotte della “Via della Seta” per le quali ha investito decine di miliardi di dollari in infrastrutture. Ora la palla passa a Vladimir Putin e ai suoi carri armati che dovrebbero arrivare in Kazakistan nelle prossime ore.