Dal Mondo
December 14 2021
La crisi ucraina non accenna a risolversi. L’incontro virtuale tenutosi tra Joe Biden e Vladimir Putin lo scorso 7 dicembre non sembra aver comportato un mutamento sostanziale della situazione. Mosca continua a pretendere garanzie legali di uno stop all’espansione della Nato a Est, mentre Washington ha minacciato delle sanzioni in caso di invasione russa.
«Ho fatto presente in modo assolutamente chiaro al presidente Putin che, se invade l'Ucraina, le conseguenze economiche per la sua economia saranno devastanti, devastanti» ha ribadito Biden lo scorso 11 dicembre. Posizioni dure sono arrivate, sempre nel fine settimana, anche dal summit tra i ministri degli Esteri del G7, tenutosi a Liverpool.
«Dobbiamo difenderci dalle crescenti minacce di attori ostili e dobbiamo unirci con forza per resistere agli aggressori che cercano di limitare i confini della libertà e della democrazia» ha dichiarato nell’occasione il ministro degli Esteri britannico, Liz Truss. «Qualsiasi uso della forza per modificare i confini è severamente vietato dal diritto internazionale. La Russia non dovrebbe avere dubbi sul fatto che un'ulteriore aggressione militare contro l'Ucraina avrebbe enormi conseguenze e gravi costi in risposta» hanno dichiarato inoltre in una nota congiunta i ministri degli Esteri. «Se la Russia continuerà a intraprendere azioni avventate e aggressive, risponderemo. E non solo noi, partner e alleati in tutto il mondo» ha infine precisato il segretario di Stato americano, Tony Blinken.
La situazione resta particolarmente ingarbugliata. Nonostante Biden abbia mostrato negli scorsi mesi una certa freddezza rispetto a un ingresso di Kiev nella Nato, è altamente improbabile che Putin otterrà le garanzie legali che pretende. Ora, l’ammassamento delle truppe russe al confine ucraino nasce principalmente come strategia per cercare di mettere la Casa Bianca sotto pressione. Ne consegue che, davanti al mancato ottenimento delle sue richieste, il capo del Cremlino potrebbe procedere all’invasione. Uno scenario, questo, che non sarebbe tuttavia scevro da implicazioni rischiose per Putin.
Un intervento militare di quel genere non risulterebbe infatti problematico soltanto in termini di costi, ma anche sul piano dell’isolamento internazionale. Oltre a raffreddare ulteriormente i rapporti con l’Occidente, il leader russo finirebbe prevedibilmente con l’irritare Cina e Turchia, che sostengono al contrario l’integrità territoriale ucraina: quelle stesse Cina e Turchia che cooperano e intrattengono rapporti piuttosto stretti con la Russia su vari fronti. Putin si trova quindi davanti a un dilemma rilevante, perché potrebbe pagare a caro prezzo le conseguenze di un'azione militare.
Anche il fronte occidentale ha tuttavia i suoi problemi. La crisi ucraina oggi in atto ha, sì, radici antiche, ma è stata altresì in un certo senso favorita dall’irresoluta leadership di Biden. E qui sono ravvisabili principalmente due problemi. In primis, la disastrosa e rocambolesca evacuazione dall’Afghanistan ha dato al mondo un’immagine debolissima dell’attuale presidente statunitense, spingendo indirettamente gli avversari dell'America a osare maggiormente (al di là dell’Ucraina, si veda per esempio la crescente pressione militare cinese su Taiwan).
In secondo luogo, Biden sconta un approccio internazionale fondamentalmente prevedibile: e infatti sta trattando la crisi in atto esattamente nel modo in cui Barack Obama (di cui fu vicepresidente) trattò quella della Crimea nel 2014. In tal senso, Biden ha assicurato che, al di là delle sanzioni, non ci sarà una risposta militare da parte degli Stati Uniti. «Ciò non è sul tavolo» ha detto il presidente americano la settimana scorsa, riferendosi all’ipotesi di inviare soldati per difendere Kiev. «Abbiamo un obbligo morale e un obbligo legale nei confronti dei nostri alleati della Nato se dovessero essere attaccati ai sensi dell'articolo 5, questo è un obbligo sacro. Tale obbligo non si estende all’Ucraina».
Ora, al di là del fatto che la strategia di Obama nel 2014 non indusse Putin a retrocedere, c’è da chiedersi se scoprire in tal modo le proprie carte in una fase così delicata sia realmente una mossa brillante. Tutto questo, senza trascurare l'impatto che questa crisi sta producendo sulla politica interna degli Stati Uniti, con i repubblicani che accusano l'inquilino della Casa Bianca di eccessiva debolezza nei confronti di Mosca.
Su tutto pesa infine la posizione ambigua della Germania in riferimento al Nord Stream 2: un dossier, questo, che si interseca inevitabilmente con la crisi ucraina, vista la storica contrarietà di Kiev e Varsavia all’opera. Nonostante il sostegno dato al gasdotto dal precedente governo tedesco, una frenata è sembrata arrivare nei giorni scorsi dal nuovo ministro degli Esteri, Annalena Baerbock, secondo cui «allo stato attuale, questo gasdotto non può essere approvato perché non soddisfa i requisiti della legge europea sull'energia e le questioni di sicurezza sono comunque ancora in sospeso». Al momento, pur sottolineando il proprio supporto all’integrità territoriale ucraina, il neo cancelliere tedesco, Olaf Scholz, continua a mantenere una posizione un po’ ambigua sulla questione del gasdotto. E l'incognita di Berlino è un fattore tutt'altro che irrilevante.