Dal Mondo
January 03 2022
Sono tornati a parlarsi. Joe Biden e Vladimir Putin hanno tenuto giovedì scorso una nuova conversazione sull’Ucraina, dopo quella che aveva già avuto luogo all’inizio di dicembre. Il presidente americano è tornato ad esortare l’omologo russo a una de-escalation, minacciando delle pesanti sanzioni economiche in caso di invasione dell’Ucraina. Putin, dal canto suo, ha ventilato che, davanti a eventuali sanzioni americane, potrebbe configurarsi una rottura diplomatica tra Washington e Mosca. Insomma, considerata in sé stessa, questa telefonata non ha portato a svolte eclatanti. Le posizioni restano infatti significativamente distanti.
Da una parte, il leader russo esige garanzie formali sullo stop all’allargamento della Nato a Est, mentre il fronte occidentale – dall’altra parte – ritiene fondamentale tutelare la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina. L’attesa adesso è per i colloqui russo-americani che si terranno il prossimo 10 gennaio: colloqui a cui teoricamente i due presidenti non dovrebbero prendere parte e che saranno invece condotti dal vicesegretario di Stato americano, Wendy Sherman, e dal viceministro degli Esteri russo, Sergey Ryabkov. Seguiranno, due giorni dopo, colloqui tra la Nato e Mosca. Nel frattempo, domenica Biden ha avuto una telefonata con l’omologo ucraino, Volodymyr Zelensky, per ribadire il proprio sostegno alle ragioni di Kiev.
Per il momento, l’incertezza resta quindi alta. Non è chiaro se e, in caso, fino a che punto la Casa Bianca deciderà di venire incontro alle richieste del Cremlino. Dall’altra parte, non è ancora chiaro se l’ammassamento di truppe russe al confine ucraino sia da leggersi come un bluff o, al contrario, come il preludio di un’invasione militare. Secondo un’analisi dell’American Enterprise Institute pubblicata lo scorso 11 dicembre, un’invasione russa su larga scala risulterebbe improbabile, visti i costi – umani, politici ed economici – di cui Mosca dovrebbe sobbarcarsi. Tuttavia il think tank statunitense non ritiene che Putin resterà con le mani in mano, ipotizzando che possa intraprendere altre azioni, magari più limitate ma comunque pericolosamente significative. In particolare, viene considerato probabile lo scenario di un dispiegamento di unità aeree russe in Bielorussia, oltre all’invio “di unità russe meccanizzate, di carri armati, di artiglieria e di supporto nel Donbass occupato”. E’ chiaro che, se quest’ipotesi dovesse concretizzarsi, aumenterebbe non soltanto la pressione russa sull’Ucraina ma anche sugli Stati baltici, determinando ulteriori fibrillazioni tra Mosca e la Nato. Una situazione che prevedrebbe quindi un maggiore coinvolgimento della stessa Casa Bianca.
Tuttavia Putin deve guardarsi anche da un altro problema: il suo rapporto con la Turchia. Nonostante la divergenza di interessi, Mosca e Ankara hanno più o meno agevolmente cooperato su vari dossier internazionali negli ultimi anni. La crisi ucraina sta tuttavia decisamente irrigidendo i rapporti tra le due capitali. Il Cremlino è irritato dal fatto che la Turchia rifornisca Kiev di droni militari. Ankara, dal canto suo, si è, sì, proposta come mediatrice nell’attuale crisi, ma sostiene al contempo l’integrità territoriale ucraina. E’ in questo contesto che, la scorsa settimana, il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, è sembrato “bacchettare” Mosca. “Qualsiasi proposta, per essere accettata, dovrebbe essere accettabile da entrambe le parti. La Russia ha fatto alcune proposte. Ma forse la Nato cerca lo stesso tipo di garanzie dalla Russia. Questa non è una questione unilaterale”, ha dichiarato, per poi aggiungere: “Dovrebbero venire al tavolo con proposte che entrambe le parti possano accettare”.
Ulteriore incognita risiede infine nel ruolo della Cina. Il mese scorso, l’ambasciata cinese in Ucraina ha detto di “rispettare la sovranità, l'indipendenza e l'integrità territoriale dell'Ucraina”: una posizione, questa, che certo mal si sposa con le tesi di Mosca. Dall’altra parte, è chiaro che Pechino consideri eventuali cedimenti statunitensi rispetto a Kiev come un incoraggiamento ad alzare il tiro su Taiwan. Tuttavia, come recentemente sottolineato da Nikkei Asia, è altrettanto vero che né la Russia vuole restare invischiata nella crisi taiwanese, né la Cina in quella ucraina. Tale aggrovigliata situazione determina quindi potenziali fibrillazioni nei rapporti tra Mosca e Pechino. E questa è un’ulteriore spina nel fianco di Putin.