Il campione olimpico Julio Cesar La Cruz alla Scuola nazionale di boxe dell'Avana. Nel cerchio, il pugile si fa vaccinare con Sovrana (Getty Images).
Inchieste
April 22 2021
Per enfatizzare il siero «autarchico» Sovrana, di cui manca l'autorizzazione ufficiale, L'Avana utilizza come testimonial i pugili olimpici. Al di là della propaganda, l'obiettivo è anche quello di vendere dosi a Paesi amici come il Venezuela.
Come in ogni regime che si rispetti, lo sport a Cuba è uno degli strumenti privilegiati per autocelebrarsi e un testimonial perfetto, anche in tempi di pandemia. Ecco spiegato perché a essere stata vaccinata prima della popolazione, lo scorso 25 marzo, è stata tutta la squadra olimpica cubana di boxe, storica fucina di ori ai Giochi avendone collezionati ben 37 (solo gli Stati Uniti hanno fatto meglio, mentre l'Italia ne ha 15).
Un «magic team» in lizza per vincere molte altre medaglie al prossimo appuntamento di Tokyo, che si terrà quest'estate, Covid-19 permettendo. Insieme ai lottatori, i mitici pugili cubani sono stati immunizzati contro il coronavirus con Sovrana 02, uno dei cinque vaccini sperimentali (un record mondiale) «orgogliosamente rivoluzionari» e prodotti all'Avana. Piccolo dettaglio, Sovrana 02 non ha ancora ricevuto l'autorizzazione ufficiale per il suo uso di massa sul «pueblo», in quanto ancora in fase di test, ma dovrebbe ottenerla entro maggio. Vaccinati anche allenatori e tutto lo staff tecnico che accompagneranno i pugili a Tokio, in totale 115 persone.
Il governo ha diffuso l'evento della vaccinazione ai suoi campioni con grande enfasi sui media di Stato, presentandolo come l'ennesimo successo rivoluzionario, ma senza fare cenno al fatto che gli atleti vaccinati sono stati usati, di fatto, come «cavie», essendo un siero sperimentale senza pubblicazioni scientifiche riconosciute che ne attestino l'efficacia. Del resto, in tempi di pandemia e con il settore del turismo crollato dell'80%, oggi è proprio la «sanità di Stato» la principale fonte di entrate per le disastrate finanze cubane. E la narrativa è fondamentale per far passare il messaggio, per esempio, che le brigate mediche del regime inviate (dietro compensi milionari) in decine di Paesi Italia compresa - a Torino e Crema lo scorso anno - sono meritevoli del Nobel per la pace, come ha proposto tra gli altri anche la sindaca Pd della città lombarda, Stefania Bonaldi.
In realtà, ha denunciato l'associazione Prisoners defenders, che ha raccolto le testimonianze di 500 medici e infermieri, di queste brigate fanno parte anche membri del G2, l'intelligence cubana, mentre il personale sanitario opera in condizioni di schiavitù, con L'Avana che si intasca il 90% dei salari pagati dallo Stato assistito, ritira i passaporti ai medici prima di partire e minaccia i «brigatisti» di non fargli più vedere i figli in caso di fuga.
Molti ex membri, una volta scappati, hanno denunciato Cuba per schiavitù. Certo, dietro il vaccino sperimentale Sovrana l'obiettivo è anche incassare soldi dai Paesi amici. Lo dimostra la dittatura venezuelana di Nicolás Maduro, che userà pagandolo a peso d'oro proprio il siero dell'Avana. Ma soprattutto il vaccino olimpico serve a rafforzare il mito che sull'isola la sanità e la ricerca medica sono all'avanguardia e, per questo, quali migliori testimonial dei pugili, storicamente tra i migliori al mondo?
Basti ricordare l'icona del regime, il leggendario Teófilo Stevenson, contrapposto dai tanti aedi della «nobile arte» a Mohammed Ali ma che, purtroppo, non poté mai sfidarlo per il divieto di passare a professionista impostogli da Fidel. Oggi a fare da testimonial è il campione olimpico dei mediomassimi Julio César la Cruz che a Tokyo punta a bissare l'oro.
Le sue foto mentre si fa inoculare il siero sperimentale hanno fatto il giro dei media cubani, venendo diffuse anche dal presidente Miguel Díaz-Canel su Twitter con toni trionfalistici. «È una conquista della nostra medicina, degli scienziati, possibile solo in un Paese come il nostro. Il popolo cubano sarà sempre grato e il miglior regalo di noi atleti al personale sanitario sarà allenarci con grande disciplina, andare a Tokyo e, nel mio caso, rivincere» ha dichiarato La Cruz a Cubadebate, il sito dove Fidel pubblicava le sue «riflessioni» poco prima di morire e che oggi ha scalzato il primato del quotidiano Granma come più efficace megafono del potere. Sulla stessa linea di La Cruz, Rolando Acebal, capo tecnico della squadra di boxe, che ha definito l'inoculazione «un onore, un gesto che si vede solo in una rivoluzione come la nostra e segnerà l'impegno dei pugili ai Giochi».
Propaganda all'ennesima potenza, ma di dati scientifici nemmeno l'ombra. Ultima curiosità. La seconda dose di Sovrana 02 sarà inoculata ai pugili a fine aprile, ma a sorpresa, ce ne sarà una terza, a base di Sovrana plus, un siero più potente - conferma Ana María Montalvo, vicedirettrice dell'Istituto nazionale di medicina sportiva - ma anch'esso, ovvio, è avvolto dal mistero.
«Avevo grandi aspettative, sono rimasto deluso» ammette amaramente Martin Ackermann, capo della task force scientifica anti Covid-19 della Confederazione elvetica, oggi precipitata in fondo alle classifiche per risposta alla pandemia. «La ricca Svizzera, dove il debito pubblico è irrisorio e le maggiori aziende farmaceutiche mondiali hanno la sede madre, ha accumulato un imbarazzante ritardo nella vaccinazione, relegandoci alle spalle di Paesi quali il Marocco» affonda il colpo Piero Marchesi, presidente del partito centrista Udc Ticino.
Non è un giudizio soltanto politico. Persino al vertice l'aria è pesante. Il neo presidente della Confederazione Guy Parmelin tradisce sconforto: «La coordinazione non è stata perfetta tra Confederazione e Cantoni. Dobbiamo dialogare meglio» dice, quasi alzando bandiera bianca.
Simili dichiarazioni rappresentano una presa di coscienza trasversale e condivisa a tutti i livelli. Specie se si seguono le statistiche: ancora a metà aprile, nessun dato appare in controtendenza. Paragonabile per numero di abitanti allo Stato di Israele (8,5 milioni circa), Zurigo arranca: sia nelle vaccinazioni, ancora ferme al 21% (Gerusalemme è al 60%) a fronte di un minor numero di contagi (625.367 contro 836.000); sia nel numero di morti (9.830 contro 6.304).
È in questo modo che il mito dell'efficienza elvetica risulta oggi fortemente intaccato. Ma come è potuto accadere? «Il Covid-19 è il virus della verità: dove appare, la smaschera. Se in Italia ha evidenziato la notoria scarsa capacità amministrativa, in Svizzera non è stato da meno, ma qui nessuno se lo aspettava» è la feroce battuta del politologo americano Edward Luttwak, perplesso come molti sulla pessima performance del Paese.
Un numero su tutti: al 7 aprile la Confederazione ha segnato addirittura un -20% di somministrazioni rispetto alla settimana precedente. Insomma, si arretra anziché avanzare. Un fatto sconcertante, in controtendenza persino con l'Ue, e che - almeno stavolta - non riguarda solo il «cantone italiano»: il Ticino non ha fatto peggio delle altre regioni nell'affrontare la pandemia, ma ne condivide comunque le gravi lacune gestionali.
Tre in particolare: ospedali, vaccini, amministrazione. Nulla è stato fatto, per esempio, per potenziare i reparti di cure intensive e i posti letto nelle strutture pubbliche e private in vista della seconda ondata, pur consapevoli che il numero di posti disponibili per cure acute è in costante calo da 10 anni. Ma si è preferito fingere che la carenza si sarebbe risolta da sé. Con la logica conseguenza che, al crescere della popolazione, il numero assoluto di posti è rimasto invariato. Fin all'arrivo del coronavirus. Così, con sempre meno letti disponibili per ogni abitante, la Svizzera si ritrova dietro a Paesi come Grecia ed Estonia quanto a cure acute ogni 100.000 abitanti (dati Ocse).
Non ci si è preparati adeguatamente neanche per ricevere le forniture necessarie alla somministrazione del vaccino. Complici una logistica non impeccabile, i numerosi No vax elvetici (fino a febbraio il 40% della popolazione non intendeva vaccinarsi), ma anche la ritrosia della classe medica. Che lamenta, tra gli altri, problemi relativi alla retribuzione forfettaria garantita per ogni dose somministrata. Un sistema che «comporta enormi ritardi nella strategia di vaccinazione» secondo Felix Huber, presidente di Medix, associazione dei medici di famiglia. «L'approccio scelto per la retribuzione della nostra categoria è un sistema complesso di cui dobbiamo vergognarci» ha tuonato.
Insomma, tutti concordi nel dichiarare il fallimento delle politiche svizzere di gestione dell'emergenza. Con l'aspetto sanitario schiacciato da priorità economiche, e con la task force Covid-19 che ha compiuto scelte inefficaci e incoerenti.
E pure costose: «Invece di accettare la convivenza con il virus, si è preferito impedire di lavorare a chi potrebbe farlo in sicurezza, accumulando debito pubblico e mettendo a rischio sempre più aziende e posti di lavoro» riprende il discorso Marchesi. «La Svizzera avrebbe dovuto fare come Israele e invece, penosamente , ha seguito l'Ue. Si è così ritrovata all'inizio del 2021 con poche dosi di vaccini».
Tutto ciò, unito alle carenze di cui sopra, ha diffuso «l'opinione che si dovesse scegliere tra salute ed economia, perciò è stato difficile agire con coraggio» mastica amaro Ackermann nel commentare la strada in salita per la sua task force. Il responsabile fa però notare come la sua squadra di consiglieri si limiti a dare indicazioni scientifiche, ma a decidere poi è la politica. Ed è così che ci si è ritrovati, per esempio, con 400 mila dosi di vaccino disponibili e i centri vaccinali chiusi nel fine settimana. Una circostanza che ha sintetizzato via Twitter l'epidemiologo Marcel Salathé: «Quella di non immunizzare nei weekend e nei giorni festivi, nonostante le dosi a disposizione, è una scelta incomprensibile».
Sul banco degli imputati c'è il capo del dipartimento dell'Interno, il socialista Alain Berset, attaccato dalla Svp-Udc, in pressing sul Consiglio federale perché gli venga tolta la delega. La politica svizzera ora sembra tornata a ruggire, dopo decenni in cui ogni dibattito politico è stato silenziato in virtù della concordanza e dell'interesse superiore. Dal punto di vista sociale, gli indennizzi alle imprese per le chiusure e le restrizioni nel 2021 non sono stati più così rapidi come in precedenza.
Il malessere è talmente cresciuto che si moltiplicano le manifestazioni pubbliche di dissenso, e le violenze (che nella Confederazione non si è certo abituati a vedere). Come accaduto nell'austera San Gallo, ottava città del Paese per popolazione con circa 80.000 abitanti, dove nelle ultime settimane si sono susseguite quattro proteste, con giovani che si sono scagliati con pietre e bombe Molotov contro le forze dell'ordine; le quali, a loro volta, hanno risposto con proiettili di gomma e spray al peperoncino.
Anche il mondo della finanza è vittima del «virus delle verità». Primo tra tutti, il colosso bancario Crédit Suisse, che nei primi mesi 2021 è rimasto coinvolto in tre gravi episodi: la svalutazione di 450 milioni di dollari della partecipazione di minoranza in York Capital Management; il fallimento dell'anglo-australiana Greensill, nel settore del finanziamento alle imprese; la clamorosa insolvenza di Archegos, fondo d'investimento che si era esposto in Borsa per un importo miliardario. Crédit Suisse potrebbe aver perso qualcosa come 4,4 miliardi di franchi svizzeri (pari a circa 4 mld di euro).
Secondo Alfonso Tuor, giornalista di Teleticino, «anche se Crédit Suisse è in grado di sostenere le perdite, oggi è indubbiamente più debole. E questa debolezza potrebbe invogliare qualche concorrente a proporre una fusione o addirittura una sua acquisizione. Già da alcuni mesi circola la voce di una possibile fusione con Ubs. Un'unione che sarebbe negativa per la Svizzera, perché vorrebbe dire forte perdita di posti di lavoro e soprattutto la creazione di un unico grande operatore con il monopolio del mercato interno». Il caso Greensill è ancora più grave: «Si tratta di una truffa in cui sono coinvolti i grandi nomi della finanza internazionale, che vanno dalla giapponese Softbank alla famiglia reale saudita, fino all'ex primo ministro inglese David Cameron».
Infine, gli stessi media non sono esenti da colpe. Afferma una fonte che di rotative e telecamere se ne intende: «L'informazione svizzera è scivolata nel servilismo, nel sostegno acritico alle decisioni politiche discutibili, non ha esercitato il suo spirito critico e non ha approfondito i dati, che pure erano e sono disponibili. È mancato il pluralismo. I media hanno sposato acriticamente ciò che dettavano le autorità e gli esperti designati dalle autorità. Una pagina negativa per la democrazia di questo Paese, a fronte si tentazioni e pulsioni liberticide dettate da paura e panico».
La neutrale, felice Svizzera, assomiglia sempre più al resto del mondo.
Stefano Piazza e Luciano Tirinnanzi