Food
November 03 2024
Kaiseki, omakase, izakaya ormai si affiancano a termini come sushi e tempura, entrati da tempo nel nostro lessico. Milanesi e romani hanno preso confidenza con parole non più considerate aliene: indicano una cultura gastronomica varia, ricca di sapori e ricette, comprensiva di pesci, carni, verdure ai massimi livelli.
La cucina giapponese, fusion, asiatica, a Roma e Milano si esprime compiutamente in numerosi ristoranti. Le due città, con un’offerta simile a quella delle grandi metropoli estere, sono gli hub del nostro Paese, dove arrivano prima le tendenze internazionali. Chef e investitori le scelgono per osare. La scena cambia rapidamente, vale la pena fare il punto.
Partiamo da Milano, che vanta l’unico giapponese (Iyo, cucina nipponica contemporanea, in felice unione con lo stile italiano) con stella Michelin della Penisola. Traguardo non da poco. Fa onore al patron Claudio Liu, cinese naturalizzato milanese, il quale applica lo stile di famiglia: lavorare senza risparmio, non lasciare nulla al caso. Filosofia condivisa dai fratelli, altrettanto bravi e tenaci, in locali sempre di stampo asiatico: Giulia (con Gong) e Marco (con Ba Restaurant). «La cucina giapponese a Milano ha fatto passi da gigante. Era una curiosità, oggi è eccellenza» dice l’imprenditore Liu. «Aperto Iyo, nel 2007, la sfida era proporre la vera essenza della cucina nipponica, con la sua raffinatezza e il rispetto per la materia prima. A Milano la scena gastronomica orientale è sofisticata, la concorrenza forte. Il nostro segreto? Non accontentarsi mai».
Claudio Liu, infatti, non dorme sugli allori. Oltre allo stellato Iyo di via Piero della Francesca, riaperto lo scorso giugno dopo una pausa di mesi per un profondo ed elegante restyling, ha aggiunto un nuovo gioiello alla corona: Iyo Kaiseki, nella stessa sede del ristorante Iyo Omakase, la Torre Solaria in piazza Alvar Aalto, luogo simbolo della Milano che dà l’assalto al cielo. Nella cucina kaiseki, ogni piatto è una cerimonia che trasporta nel Giappone della tradizione. Vengono serviti l’owan, brodo delicatissimo di pesce bianco; gli assaggi dell’hassun (un ode ai prodotti di stagione); le cotture al carbone dello yakimono e il sashimi, fino all’apoteosi del gohan, riso accompagnato da zuppa di miso. L’arte di portare in tavola queste gastrogodurie si chiama moritzuke.
Senza lasciare il regno di Claudio Liu, il gourmet può divertirsi con la cucina kaiseki, il banco dell’omakase nel ristorante adiacente dedicato o concedersi una cena da sogno nello stellato, qualche chilometro più a ovest. Per queste esperienze va ringraziata la perizia degli chef Simone Tricarico (Iyo), Katsumi Soga (Iyo Kaiseki), Masashi Suzuki (sushi master di Iyo Omakase), Luca DeSanti (pastry chef dei tre locali) e Takeshi Iwai (travelling chef del brand). Il gruppo Iyo comprende pure un avviato take away di cucina orientale, Aji. Restiamo in famiglia, segnalando il Gong, di Giulia Liu, che propone una cucina cinese creativa e d’alta gamma, con piatti quali la pelle d’anatra laccata servita croccante con pancake cinesi. Cura massima del servizio in un ambiente elegante-metropolitano sui toni dell’oro (e lo speciale sorriso di Giulia in sala). Ancora Cina e Oriente da un altro Liu, Marco, che nel suo Ba Restaurant - di recente aggiornato negli arredi, con citazioni asiatiche e riferimenti razionalistici e di design - interpreta una cultura gastronomica conosciuta fin da bambino. Imprenditore accorto come i fratelli, Marco ha scelto lo chef Kean Wu e il sommelier Marco Spini, per far percorrere ai milanesi un viaggio tra i sapori orientali.
A Milano, altro nome di culto della cucina orientale è lo chef Wicky Priyan. Nel suo Wicky’s Innovative Japanese Cuisine, in pieno centro, ci sono spesso maestri ospiti dal Sol Levante. Di recente, abbiamo apprezzato l’arrivo di Hiroshi Ogata e Jin Ogata, dal ristorante Inaka An di Kokura in Giappone, capaci di trattare come pochi l’anguilla secondo la tradizione nipponica, con fuoco vivo e sottili spiedi a rastrelliera. Ultima novità orientale, a Milano, è Odachi, ristorante giapponese di Casa Brera, luxury lifestyle hotel gestito da Marriott International. Con la consulenza di chef Haruo Ichikawa, un’autorità, i piatti della tradizione nipponica si sposano - è ormai una buona abitudine - con prodotti italiani, per esempio ricci di mare e gamberi rossi. Lasciamo Milano non prima di ricordare il ristorante di chef Niimori Nobuya, il Nobuya appunto, tra i migliori nippo-style in città, appena entrato nella guida Michelin.
E ora Roma, una scena quanto mai ricca, un labirinto dove perdersi. Zuma, declinazione capitolina di un brand globale, resta imprescindibile: dal sushi bar al robata grill (una sorta di barbecue) ai drink, qui vibra la culinaria nipponica, in un luogo come Palazzo Fendi, dalla vista superlativa. Per altri indirizzi romani, ci siamo fatti consigliare da Francesco Preite, che con il suo Moi Omakase a Prato (sempre pieno, bisogna prenotare mesi prima) è una delle gastromete giapponesi più valide d’Italia. Eccoli. Hasekura, nel rione Monti, locale aperto oltre trent’anni fa, essenziale, ma dal forte carattere. Hiromi La Maison, con giardino zen interno e corsi di sake (il fermentato di riso), degli stessi proprietari che avevano la pasticceria giapponese Hiromi Cake. Il Kiko Sushi Bar, piccolo e delizioso, con a capo la chef donna Chiho Mikami, impegnata in una lettura contemporanea della cucina nipponica. Poi il Mikachan, unico vero «izakaya» di Roma (se non d’Italia), condotto da Micaela Giambanco e dal marito Paolo. Un luogo dove bere, mangiare qualcosa e divertirsi: questo significa izakaya.