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(Ansa)
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La «cultura» dei benpensanti vuole boicottare Israele alla Biennale (e non solo)

Che il mondo della cultura e i cosiddetti intellettuali hanno sposato in pieno la

narrazione di Hamas è un fatto ormai acclarato, così come è certo che la loro

indignazione è sempre a senso unico. Alle 6:30 di sabato 7 ottobre 2023, Hamas,

gruppo terroristico sostenuto dall’Iran e braccio armato dei Fratelli musulmani che

dal 2007 controlla la Striscia di Gaza, lancia un massiccio attacco a sorpresa contro

Israele. Per farlo usa razzi, parapendii, barche, motociclette e altri veicoli e

qualunque altro mezzo possibile con i terroristi che si infiltrano in Israele con un solo obiettivo: uccidere e rapire israeliani. Oltre 1.200 israeliani vengono uccisi, 3.400 i feriti e oltre 230 ostaggi che di fatto sono «l’assicurazione sulla vita» dei dirigenti di Hamas vengono portati con la forza nella Striscia di Gaza. Oggi gli ostaggi sarebbero134 ma nessuno è in grado di stabilire quali siano le loro condizioni e il numero effettivo. Quel giorno centinaia di donne sono state stuprate e torturate ma di loro gli artisti e gli intellettuali progressisti non parlano, tanto che è come se tutto questo non sia mai avvenuto. Un esempio su tutti: su una donna uccisa da Hamas quel giorno sono stati rinvenuti i semi di 67 uomini diversi. Solo quella mattina sono stati lanciati oltre 5.000 missili contro villaggi e città israeliane e mentre scriviamo il numero è arrivato a oltre 15.000. Più di 14.500 artisti, istituzioni ed enti culturali hanno sollevato la richiesta di escludere Israele dalla prossima Biennale d’Arte di Venezia, in programma dal 20 aprile al 24 novembre. Tale richiesta è stata formalizzata attraverso una lettera inviata direttamente alla Fondazione della Biennale. Nel comunicato si legge: «Nel momento in cui il mondo dell’arte si preparaa esplorare il diorama degli stati-nazione ai Giardini, sottolineiamo la nostra ferma opposizione all’ospitalità di uno Stato coinvolto in atrocità in corso contro i palestinesi a Gaza. Decisamente contrari ad un Padiglione del Genocidio alla Biennale».

Secondo Pierluigi Battista «è il teppismo delle ottomila firme che intimano alla Biennale dell’arte di Venezia di discriminare gli artisti israeliani, di mettere il lucchetto al padiglione di Israele “genocida”, di boicottare l’arte, silenziare la cultura, cancellare la scienza». Cosa sta succedendo nel mondo dell’arte e della cultura? Lo chiediamo a Elena Marini, poeta visivo e attivista italiana:

«Nel mondo dell’arte e della cultura assistiamo a quello che di fatto è un capovolgimento epocale e una rivisitazione della realtà che avevo previsto da molto tempo. Assistiamo ad una cultura e ad un’arte completamente avulse dalla realtà, dove la propaganda trentennale filopalestinese e l’indottrinamento sistematico sono scambiati per informazione e completamente in balia di ideologie mortifere. Questo non può che produrre una massa di persone ostili al pensiero critico, ad una mancanza di consapevolezza, di autenticità, di creatività e di ricerca. Lo scollamento dal significato originario delle parole e il ridurre il pensiero a comunicazioni solubili, a slogan, hanno destabilizzato nel mondo della cultura e degli artisti, la capacità di sondare la realtà, che di fatto è molto impegnativa, e scegliere la via della facilità, che non è mai una via né né intellettualmente corretta né utile e che espone a degli errori di valutazione colossali e a sviste terribili, come abbiamo potuto constatare. Siamo costruiti dal linguaggio e destabilizzarlo è stato, per molti, una scelta di comodità. Comodità che ha in sé i benefits di un buon ritorno di immagine sociale e anche dei vantaggi economici. Stiamo assistendo ad un cancro morale che affligge sia gli intellettuali e gli artisti che anno prova di un provincialismo sconcertante oltre che di un assist importante a tutto quello che dicono di combattere.

Quando inverti l’aggredito con l’aggressore non puoi che perorare il genocidio che Hamas compie verso il popolo palestinese, del tutto incosciente di se stesso e in balia di scelte sciagurate, e soprattutto il pogrom che Israele ha subito che è stato un atto pianificato, vile e di una violenza senza eguali nella storia».

Fa impressione leggere che un’organizzazione terroristica viene osannata come un gruppo di “dei combattenti per la libertà”». Che ne pensa?

«Tutto questo fa di questi intellettuali ed artisti degli imam e dei dhimmi occidentali che non solo sostengono il terrorismo di matrice islamica, ma che nutrono un profondo disprezzo per la democrazia, per la libertà, per il progresso, per il rispetto della vita e delle differenze, con un odio misto ad invidia che è un classico di chi si ritrova in un cortocircuito intellettuale fatto di un forte senso di inadeguatezza, di invidia sociale, di terzomondismo, di cultura woke, di politically correct, di un antiamericanismo d’accatto. Siamo alla banalità del male dei tetri pasdaran della cultura ufficiale, sta nei nomi dei 14905 firmatari. Cercare di imbavagliare e far scomparire Israele alla Biennale di Venezia è un’azione liberticida inaccettabile che si fonda sull’idea di distruzione di Israele, unico stato ebraico nel mondo e sullo sterminio di tutti gli ebrei, ovunque essi si trovino, ed è sostenere apertamente quanto si trova scritto nello Statuto di Hamas. Questo non è altro che antisemitismo. Lavorando a stretto contatto con le parole, a differenza loro, le so usare molto bene».


Elena Marini

I promotori di questa iniziativa sottolineano che richieste di questo tipo non sono senza precedenti nella storia della Biennale. Si fa riferimento al periodo dal 1950 al 1968, quando, a seguito di una vasta condanna globale e appelli al boicottaggio, il Sudafrica dell’Apartheid fu escluso dalla partecipazione e non riammesso fino all’abolizione del regime dell’apartheid nel 1993. Gli artisti firmatari dell’appello estendono le loro considerazioni agli assurdi provvedimenti presi in relazione al conflitto in Ucraina, ricordando che nel 2022 la Biennale ha condannato l’aggressione militare russa e dichiarato il rifiuto di collaborare con coloro che l’hanno perpetrata o sostenuta. Infine, perché il mondo della cultura non manifesta per le donne israeliane stuprate da Hamas?

Per Elena Marini «non si è trattato solo di stupro, ma di un femminicidio di massa, di torture, di mutilazioni, di donne, bambine e anziane innocenti e indifese bruciate vive. Di rapimenti e di violenze durante la prigionia. Di donne ancora nelle mani dei terroristi, forse incinta. Il silenzio delle femministe la dice lunga sull’indottrinamento culturale, volto a destabilizzare, femminilizzare e ridicolizzare l’uomo occidentale e l’incapacità di fare la differenza fra il vigore maschile e la più bieca violenza, in una lotta per il potere senza esclusione di colpi che, adesso, assume i tratti di una farsa grottesca. Una sorta di sindrome di Stoccolma che affligge una buona parte delle donne occidentali e che sfocia addirittura nella vittimizzazione secondaria dell’aggredita e a tutto quel corollario di atteggiamenti inaccettabili e meschini, volti a nascondere in maniera infantile o a difendere il femminicidio di massa compiuto da Hamas scambiandolo per una lotta di liberazione. La cosa incredibile è la totale cecità verso quello che rappresenta Hamas e quello che rappresenterebbe per loro ritrovarsi a vivere in una società come quella palestinese. Il silenzio verso le donne israeliane è il silenzio di chi sta dalla parte dei carnefici e di chi si schiera apertamente con essi: è il loro essere ebree che non le rende visibili e difendibili. Non una di meno, salvo le israeliane. Questo però è antisemitismo».

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