"La cultura si mangia" di Bruno Arpaia e Pietro Greco

Una forchetta afferra un apostrofo già mangiucchiato, nella copertina rosso fuoco di Guido Scarabottolo che conserva La cultura si mangia, libro di Bruno Arpaia e Pietro Greco (edito da Guanda).

"Con la cultura non si mangia", aveva infatti dichiarato il 14 ottobre 2010 l'allora ministro dell'Economia Giulio Tremonti, come i due autori subito ricordano. "Di cultura non si vive, vado alla buvette a farmi un panino alla cultura, e comincio dalla Divina Commedia" aveva anche aggiunto. 
E quindi via a sforbiciare i soldi che lo Stato attribuisce alle università, alla scuola, per non parlare del Fus, Fondo unico per lo spettacolo, e questo capita a destra, che ha "sposato la cultura della non cultura", ma pure a sinistra ("o come cavolo si chiama adesso?"), al di là di tante belle parole. 

"Restano i tecnici montiani", scrivono i due autori. "Loro magari sanno che Shakespeare ha scritto l'Amleto, però, a quanto pare, il problema se aumentare o meno gli investimenti in cultura non se lo sono nemmeno posto: hanno tagliato e basta (e non solo in ambito culturale). A volte, crediamo, perfino con goduria e presunzione".
E alle ultime elezioni di febbraio, il mantra di chi voleva accalappiarsi voto è cambiato? Mica tanto. "Sul Corriere della Sera, Gian Antonio Stella aveva passato sotto la sua minuziosa lente i programmi elettorali di tutti i partiti che si erano presentati alle recenti elezioni. Ci aveva trovato qualche vaghezza sul 'patrimonio culturale', imprecisioni a bizzeffe, ma più spesso niente. Sì, niente: nemmeno un vago accenno 'manco sparpagliato qua o là ai musei, alle città d’arte, ai siti archeologici, alle gallerie, alle biblioteche...' Uniche eccezioni, Nichi Vendola e Giorgia Meloni". Sel e Fratelli d'Italia, la strana coppia.

Ma ben presto, già a pag. 45. il duo arriva al dunque, non colto dai nostri politici ciechi: "La verità è che la 'nuova globalizzazione' si è già trasformata nella 'nuova globalizzazione della conoscenza'. E che fette sempre più grandi di quel 30 per cento (e più) del Pil mondiale fondato sui saperi che si trasformano in beni e servizi hi-tech appartengono a quello che una volta chiamavamo Terzo Mondo e che ora si propone come il motore dinamico dell’innovazione". Insomma: "Come si fa a dire che la cultura non si mangia, se il mondo ormai mangia soprattutto (grazie alla) cultura?".

I due giornalisti forniscono coordinate utili: dal 2007, in piena crisi, l'occupazione nelle industrie culturali italiane è cresciuta in media dello 0,8 per cento l'anno. Analizzano esempi virtuosi, dal New Deal alla rinascita di Bilbao, dal miracolo artistico della Ruhr alla riscoperta scientifica di Trieste. E offrono idee concrete per una rivoluzione della struttura produttiva del Paese, un progetto di sviluppo fondato sulla conoscenza, che include sia le discipline umanistiche che quelle scientifiche. 

"Fisica, biologia, matematica, arte, design, architettura, tecnologia, ricerca, letteratura, formazione, cinema, radio, televisione sono elementi inscindibili, che tutti insieme concorrono a generare 'l'ambiente adatto all’innovazione'.  A generare 'l’habitat della creatività'. Sono queste, insomma, le forze da attivare se vogliamo uscire in positivo dalla crisi elaborando un progetto complessivo e una visione d’insieme per l’Italia, per portare il Paese fuori dalle secche del declino e dentro l’economia (democratica e sostenibile) della conoscenza".
Politici, ve ne preghiamo, aprite le orecchie.

La cultura si mangia
di Bruno Arpaia e Pietro Greco
Guanda
174 pagg., 12 euro

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