April 15 2013
Cupe vampe
Tommaso Giancarli
Ad
Chissà, forse il novantasettenne Enrico Dandolo, avesse conosciuto in anticipo le conseguenze delle proprie azioni temerarie, avrebbe ritirato la propria immensa flotta dalle mura di Costantinopoli e l’avrebbe condotta in Terrasanta, invece di portare a termine quell’assalto coraggioso e sacrilego alla più grande città cristiana del tempo.
Era l’aprile del 1204 ed Enrico Dandolo era il Doge di Venezia; per via di vicende che sarebbe troppo lungo spiegare, la Serenissima aveva trasformato la Quarta Crociata, indetta dal papa Innocenzo III in aiuto agli stati cristiani di Palestina e Siria, in un attacco all’Impero Bizantino, che aveva diversi conti in sospeso con Venezia. Si vide perciò, in quell’aprile del 1204, il vecchio doge Dandolo, cieco o orbo per via di una ferita ricevuta molti anni prima proprio a Bisanzio, reggere lo stendardo di San Marco e guidare personalmente l’assedio; e lo fece con tale capacità che le navi veneziane conquistarono una torre, poi un’altra, e gli equipaggi diedero fuoco alle case vicine, dando origine a un incendio che impedì il contrattacco greco e sparse il panico fra i difensori. Quello stesso giorno la città, che non era mai caduta di fronte a eserciti sterminati, fu presa dai marinai veneziani e dai crociati francesi, i quali la saccheggiarono e umiliarono per giorni.
Il bottino accumulato fu incalcolabile, tale da arricchire per secoli numerose casate e soprattutto il tesoro veneziano; la perdita di vite umane non venne calcolata da nessuno. Costantinopoli, povera e svuotata, non sarebbe mai più risorta, neanche dopo la cacciata degli usurpatori latini. La caduta definitiva della città e dell’Impero romano d’Oriente, il primo stato cristiano a considerarsi universale, avvenne due secoli e mezzo più tardi, ma fu indubbiamente provocata anche da quel trauma.
La presa della città ebbe tuttavia altre conseguenze: la prima fu l’incancrenirsi dell’odio fra cristiani ed europei orientali e occidentali, che già esisteva in precedenza sotto forma di ostilità e diffidenza (questo sentimento vive ancora oggi, soprattutto nelle chiese ortodosse e nella loro paura di tutto ciò che è “latino”); la seconda, anche più grave, fu la scomparsa dell’Oriente dalle carte della Cristianità e più in generale della civiltà europea. L’Occidente trionfante cancellò di fatto dalla storia Bisanzio, l’erede diretta di Roma e la più importante civiltà europea del Medioevo. Con la sconfitta del 1204 sparì anche la resistenza decisiva dei romaioi all’avanzata araba o il contributo di molti secoli dato da Bisanzio, attraverso i suoi monaci, i suoi artisti, i suoi generali, alla costruzione di uno spazio comune che poi divenne l’Europa.
Invece, nei secoli successivi e in maniera sempre crescente, l’Occidente inventò un complesso di superiorità o addirittura di unicità (come se potesse esistere una sola civiltà europea) e lo applicò anche a secoli in cui tale atteggiamento era pura mitomania e impudenza: penso ad esempio alla supposta frattura del Mediterraneo fra Maometto e Carlo Magno – quando esisteva una terza civiltà ben superiore all’Islam come al Cristianesimo occidentale – o all’atteggiamento paternalistico di alcuni philosophes che credettero di aver scoperto l’Oriente per aver letto un saggio più naturalistico che antropologico. E in realtà il paternalismo e il rifiuto più o meno inconscio di accettare che anche gli altri sono europei è una costante del pensiero e della politica occidentale che è giunta fino ai nostri giorni, e che ha avvelenato la vita del continente.
L’anniversario della presa e del saccheggio di Costantinopoli si pone accanto a quello del volo di Gagarin che abbiamo festeggiato l’altro giorno; ma se questo è un anniversario di pace e di speranza per tutta l’umanità, quella è invece una data piena di rancore e di ingiustizia. Eppure, lo dico da storico, non si può chiedere alla storia di essere giusta; ma si deve chiedere a ognuno, soprattutto a chi ha responsabilità politiche e culturali e a chi forma la cosiddetta opinione pubblica, di non dimenticare che i fatti umani non sono forgiati dal destino o da superiorità di carattere etico o genetico, bensì da numerose concause (più o meno indipendenti fra loro, più o meno inevitabili). Cosicché, forse, senza il genio militare e il cupo desiderio di rivalsa di un vegliardo cieco oggi descriveremmo un’altra storia e un altro continente.
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