The Cure
(Sam Rockman)
Musica

Cure, Songs of a lost world: il grande ritorno di Robert Smith

Ci vogliono tre minuti perché arrivi la voce di Robert Smith nel primo brano del nuovo album dei Cure, il ritorno dopo sedici anni. Tre minuti in cui Alone si dipana in maniera potente e orchestrale, quasi una mini suite dall'incedere malinconico e drammatico. E non potrebbe essere altrimenti visto che appare evidente fin dal primo ascolto come i temi della morte, del dolore e del rimpianto per tutto ciò che è andato perduto siano centrali in ogni canzone.

In questo senso è una dichiarazione esplicita And nothing is forever, un'altra pièce dall'incedere epico, grandioso, ricca di archi e di malinconia che come al solito Smith riesce ad esprimere magistralmente con uno stile ed un'attitudine che nel corso dei decenni sono diventati il marchio di un modo di intendere la musica e la vita.

A rompere la grandeur sonora arriva inaspettatamente Drone: Nodrone, un gran pezzo industrial pop, pulsante melodico, rumoroso, in cui il leader della band racconta l'irruzione di un drone nel suo giardino di casa. Un gioiello impreziosito da una chitarra tagliente quanto ispirata. I can never say goodbye è sicuramente il brano più diretto e immediato, un ballad old style evocativa e vibrante, dedicata al fratello scomparso da poco. Sono tutte buone vibrazioni quelle che attraversano i 49 minuti di Songs of a lost world, che in Warsong trova uno dei suoi momenti migliori, un pezzo "duro" che parla di conflitti interni ed esterni.

Sono lunghe ed elaborate le canzoni del disco e richiedono tempo ed ascolti per essere metabolizzate del tutto, ma è un tempo che vale la pena prendersi, soprattutto per i dieci minuti trionfali e finali di Endsong che cresce magistralmente di intensità con il passare dei secondi, con la chitarra solista sempre più in evidenza. Viene da dire, un capolavoro. Ma forse è meglio riascoltarla un paio di volte, magari poi per arrivare alla conclusione che un capolavoro lo è davvero.

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