Politica
December 28 2021
I saluti prima di qualsiasi vacanza ormai in ogni classe sono una comica, per non piangere. Tutti si accommiatano dandosi appuntamento a tra qualche mese perché a scuola, col Covid, “del doman non v’è certezza”. Ed è ancora così. Rientro dopo l’Epifania come da programma, o vacanze fino al 24 gennaio, anzi tutti in Dad dal 10 gennaio causa variante Omicron. Ogni giorno una voce nuova, una suggestione, un incubo. Non solo mala informazione, ma sempre mezze ufficialità, ipotesi e smentite con un punto in comune: la scuola tutto sommato un po’ può anche rimetterci. Ovviamente si dice esattamente il contrario, ma navigare a vista per un’istituzione che si basa su apprendimenti a lungo termine significa non riuscire mai a pianificare, facendo prevalere la fretta sulla lungimiranza, scegliendo di sterzare all’ultimo anziché gestire tempi e modalità che coinvolgono milioni di persone.
Il dietrofront sulla gestione dei contagi di inizio dicembre è stato l’esempio plastico di come la scuola sia una questione politica prima che culturale e sociale: un paio di ministeri avrebbero voluto mandare in DAD al primo contagio, ma il governo ha bloccato questa decisione – già presa – perché “mai più in DAD” è una battaglia che proprio questo esecutivo si è intestato. Senza entrare nel merito della decisione, è chiaro come la scuola sia vittima di questi equilibri politici e comunicativi delicatissimi.
Poi c’è il tema dei mezzi di informazione. Il nuovo decreto ha fatto scrivere dappertutto, il giorno di Natale, che al rientro ci sarebbero state le mascherine Ffp2 in classe, ma leggendo il dispositivo si apprende che non è così. La mascherina a protezione maggiore rispetto alla chirurgica sarà necessaria per chi – docente o studente – avrà a che fare con soggetti esentati dall’uso della mascherina, per cui si passa dal coinvolgimento della comunità scolastica intera allo zero virgola delle realtà scolastiche. “Tanto rumore per nulla”, insomma, è un refrain che vale anche stavolta; intanto, caos e discussioni anche a Natale, tra antipasti e panettone.
Infine, il nodo maturità. C’è la pandemia, c’è il Covid, ci sono le varianti e ci sono stati i morti a migliaia, certo, ma questo non c’entra con la decisione, ad esempio, sulle modalità di svolgimento dell’esame di maturità. I ragazzi, che hanno svolto tre mesi in presenza, a giugno si troveranno in condizioni pandemiche verosimilmente migliori, come sempre accade in estate da due anni a questa parte, per cui non c’è molto da attendere per dare una forma definitiva all’esame. Non esiste un concorso che inizi senza sapere come si svolgerà la selezione finale, non c’è sport che non abbia regole chiare prima del via, non c’è contratto scritto a matita in una sua parte. Eppure c’è l’esame di maturità dei nostri studenti che, a metà della quinta, non sanno ancora come si svolgerà. Una sola prova orale o gli scritti co l’orale? E quali scritti? Quanti? Con quali docenti?
Non si comprende quale sia il senso di vivere e lasciare vivere in questo stato di incertezza. I ragazzi hanno svolto compiti in classe e temi nelle loro aule per tutti questi mesi, anche e soprattutto nel mese di dicembre, coi cappotti e al gelo delle loro aule con le finestre aperte, stipati in 22, 26, 29 in un’aula. Perché non farlo a giugno, in ambienti più sicuri, più ampi, con numeri di contagi verosimilmente inferiori? Se la risposta è per l’impreparazione di questi anni emergenziali, beh, questa variabile era chiara già a agosto 2021, non c’era bisogno di attendere la metà dell’anno in corso, per cui l’anno avrebbe potuto aprirsi con la definizione della prova finale, anche per favorire il lavoro di preparazione alla prova. Che non si improvvisa, e che occorre insegnare a non improvvisare.
Sia chiaro, inoltre, che dinanzi a un’emergenza, nessun problema e nessun sofismo: la maturità del 2020 è stata rimodulata all’ultimo alla luce di enormi e drammatiche novità avvenute in primavera, ed è andato benissimo così, ma adesso non c’è un solo motivo per non avere deciso come svolgere la maturità a settembre.
Eppure è così: il ministro Patrizio Bianchi ha dichiarato che avrebbe chiarito le modalità dell’esame nel secondo semestre - anche se la scuola non si organizza in semestri, ndr. Ecco, ci siamo. Docenti e studenti sono pronti ad accogliere nuove forme e ancora nuovi modi di prova, a svolgere corsi di preparazione se necessario, a svolgere il tema oppure no, gli scritti di indirizzo oppure no, nuovi scritti mai visti prima d’ora, oppure no.
Resta un popolo scolastico che ancora una volta farà fronte a nuove decisioni con il solo tempo necessario per adeguarsi. In rincorsa, ancora. Poveri noi.