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January 31 2017
È cosi antipatico che finisce per piacere. È antirenziano ma è la più grande risorsa dei renziani.
Con i piedi per aria («sono sbarcato all’alba a Fiumicino dall’Iran, dove Vodafone non prende…») ma con la testa sempre in Italia, Massimo D’Alema organizza lo scisma democratico, vuole intronare il governatore pugliese Michele Emiliano e riprendersi la sinistra che crede una sua invenzione quanto i libri che nel Pd, si sa, legge solo lui.
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Insomma, non solo è tornato massimo ma addirittura si pesa, «una formazione di sinistra vale fra il 10 e il 15 per cento», commissiona sondaggi per misurare la temperatura, alta, del Pd, un partito, parole sue, «che come lo abbiamo conosciuto già non esiste più».
Il suo Pd è quello che masticava parole come "Base", "Apparato", è quello della "Ditta" di Pierluigi Bersani che è evaporizzato ma non scomparso, più meridionale che settentrionale, meno liquido di quello di Renzi e molto solido come appunto piaceva ai vecchi dirigenti del Pci. È un'umanità sbandata di cui D'Alema è ancora un riferimento più culturale che materiale, è un popolo terremotato che D'Alema sogna ancora di poter capeggiare.
Dunque la rottamazione non solo lo ha rinvigorito ma ne ha lucidato le ambizioni, ne ha affinato la protervia che, insieme a Renzi, D'Alema continua a conservare.
Con un sottosopra fenomenale, D’Alema si è infatti impossessato dello storico j’accuse che il regista Nanni Moretti gli rivolse nel 2013 a piazza Navona, «con questi dirigenti non vinceremo mai», per capovolgerlo contro l’ex premier: «Con Renzi non vinceremo mai».
È stata un’epifania, e non solo perché, per una volta, D’Alema ha praticato l’autoironia di cui sempre difetta, ma perchè, finalmente, ha riconosciuto a Renzi gli stessi limiti che sempre hanno rimproverato a lui.
Apparentemente inconciliabili, Renzi e D’Alema, sono in realtà straordinariamente complementari. La verità è che D’Alema si alza quando Renzi si eclissa ed è quando attacca D’Alema che Renzi torna a essere rottamatore. Uno ha bisogno dell’altro.
E infatti con linguaggio militare, D’Alema ha annunciato il reclutamento e la selezione dei «riservisti» che al circolo Frentani di Roma, domenica scorsa, si sono ritrovati e accettato l’ingaggio.
È il popolo del “No” al referendum costituzionale, una ganga compatta, che D’Alema ha scoperto di poter maneggiare, la brace rimasta per infiammare ancora la casa.
D’Alema si è così sorpreso movimentista, lui che ha sempre disprezzato i girotondi, sta vivendo la stagione della subalternità nonostante sia stato sempre élite.
Di sicuro era un altro D’Alema, ma forse meno vero, quello che regalò la maglia di Francesco Totti a Renzi, era il 2014, quando ancora aspirava a essere il suo candidato in Europa.
E c’era malinconia ma non ancora il rancore di oggi quando a Bianca Berlinguer disse: «A noi rottamati non è stata concessa neppure una disonorevole sepoltura».
«Pronti a qualsiasi evenienza» ha dunque avvertito, D’Alema sta oggi raccogliendo fondi, adesioni per il suo nuovo movimento che ha chiamato, non a caso, ConSenso che secondo lui (e i sondaggi) potrebbe valere il 10 per cento, una nuova cosa rossa per proteggersi da Renzi che ha creato nel Pd "un clima d'intimidazione". Ce la farà?
Come tutti i diavolacci nazionali, D’Alema di sicuro consenso ne gode tra i quieti che non riescono a essere feroci, fra gli impudenti che non riescono a eguagliarlo in alterigia.
Dunque ha consenso D’Alema? Non misurabile con i sondaggi, inspiegabile dagli studiosi, D’Alema è l’alter(Ego) nazionale, è la vanità del sobrio che in lui non si vede ma si specchia. Piace più a chi lo combatte che ai dalemiani che ha sempre rinnegato come categoria: "I Dalemiani non esistono".
Insomma, D'Alema è una garanzia d'immortalità, perchè come ha spiegato una volta per tutte l’umorista Marcello Marchesi: “I simpatici invecchiano ma solo gli antipatici non muoiono”.